Tortura di Stato: l’Onu convoca gli Usa

di C. Alessandro Mauceri

guantanamoIn questi giorni, anche se molti media non ne parlano affatto, proprio gli Stati Uniti d’America, più volte presentatisi come paladini della democrazia e dei diritti civili su tutto il globo, sono sotto processo per aver violato la Convenzione Onu contro la tortura.
Quando era un “semplice” senatore, Obama supportò la proposta di legge (poi convertita in legge) che proibiva espressamente ai funzionari Usa l’uso della tortura. Erano gli anni della presidenza di Bush, lo stesso che aveva dichiarato legittimo l’uso di tecniche di interrogatorio rafforzate, “enhanced interrogation techniques“ (chiamarle con il loro vero nome, “torture”, non sarebbe stato politically correct), nonché l’uso di tortura vera e propria in siti come Guantanamo (veri e propri lager definiti, nel 2006 da Bush, “black sites”, sparsi in molti Paesi del mondo: dall’Iraq all’Afghanistan fino al Pakistan e alla Tailandia).
Gli Stati Uniti adottano queste “pratiche” da molto tempo. Lo sanno loro e lo sanno tutti gli altri Paesi. Ma, almeno fino a poco tempo fa, la politica del governo statunitense era quella di negare sempre. A volte anche in modo pacchiano. Così facendo sia l’amministrazione Bush che quella Obama sono riuscite a bloccare i ricorsi giudiziari delle persone che avevano denunciato di essere state sottoposte a detenzione illegale, tortura e altre violazioni dei diritti umani.
Recentemente, però, qualcosa è cambiato: è stato pubblicato un rapporto “ufficiale” sulle tecniche di detenzione e interrogatorio adottate dalla Cia dopo i fatti dell’11 settembre 2001. Un’analisi dettagliata (6mila e 300 pagine) del Senato USA dimostrerebbe che queste pratiche sono state adoperate “al di la di ogni ragionevole dubbio”. Secondo il rapporto, riportato in parte dal Washington Post, agenti della Central Intelligence Agency, sparsi per tutto il mondo, avrebbero perpetrato ai prigionieri violenze e torture, spesso inutili. Annegamento simulato, prigionieri tenuti ore e ore in posizioni di stress, violenze fisiche e privazione del sonno a lungo termine non hanno prodotto alcun tipo di risultato, né hanno consentito di individuare figure chiave della rete terroristica (lo dice lo stesso rapporto). Niente di nuovo, se non il fatto che questo modo di fare, per la prima volta, si ha la conferma ufficiale del modo di fare dell’amministrazione Usa. Conferma che è giunta anche grazie all’invito che, nei giorni scorsi, dodici premi Nobel per la Pace hanno rivolto al loro “collega” Obama (ha ricevuto l’onorificenza nel 2009), chiedendogli di pubblicare il rapporto del Senato sulle torture della Cia e di aumentare gli sforzi per arrivare alla chiusura di Guantanamo e di tutte le prigioni segrete in cui sono stati torturati sospetti terroristi. La lettera, firmata da José Ramos-Horta, l’arcivescovo Desmond Tutu, F.W. De Klerk, Leymah Gbowee, Muhammad Yunus, John Hume, Bishop Carlos X. Belo, Betty Williams, Adolfo Perez Esquivel, Jody Williams, Oscar Arias Sanchez e Mohammad ElBaradei, chiedeva che “si permettesse al popolo americano di conoscere la verità sulle torture ed i rapimenti commessi da militari, agenti e contractors americani, e sulle autorizzazione date dall’amministrazione americana”.
Così è stato, e ora il presidente Obama è stato chiamato a rispondere del comportamento degli Usa davanti al Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura. In altre parole è stato chiamato a dichiarare, una volta per tutte, qual è la posizione degli Usa riguardo il trattato.
Sì perchè da sempre gli Usa hanno mostrato alcune riserve sulla rinuncia ufficiale e totale alle tecniche di “tortura”: nel 1994, infatti, ratificarono la Convenzione Onu contro la tortura, ma con “riserva” (avrebbero aderito al divieto di trattamenti crudeli, disumani e degradanti solo se questo avesse corrisposto agli standard giuridici nazionali).
In questi giorni presso il palazzo Wilson, sede dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani, sono iniziate le audizioni che vedono gli Usa accusati dal comitato e dalle maggiori organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani per l’uso e l’abuso di pratiche non lecite, quali le torture, sotto il cappello giustificativo della lotta internazionale al terrorismo. L’elenco delle associazioni che accusano gli USA e che sono state chiamate a deporre è lunghissimo. Amnesty International, ad esempio, ha consegnato al comitato una relazione per sostenere che, nonostante gli impegni sulla carta, i governi Bush e Obama non hanno fatto niente per migliorare le condizioni dei prigionieri (Guantanamo valga come esempio, ma sono decine i campi simili sparsi per i 5 continenti). Nel memorandum presentato al Comitato Onu contro la tortura, Amnesty International accusa gli Usa di essere responsabili delle torture commesse in passato dalla polizia di Chicago, dell’uso dell’isolamento solitario nei confronti di migliaia di prigionieri, dell’impiego di armi a carica elettrica nel corso delle operazioni di controllo dell’ordine pubblico, della pena di morte e dell’applicazione dell’ergastolo senza fine pena per i minorenni. “Le schiaccianti prove sulle multiple violazioni dei diritti umani commesse, – ha detto Zeke Johnson di Amnesty International Usa – compresi crimini di diritto internazionale, non hanno dato luogo ad alcuna indagine e i responsabili continuano a beneficiare dell’impunità. Il vuoto di responsabilità è veramente impressionante”.
Sarebbe stato naturale, oltre che coerente, avere una conferma delle posizioni assunte da Obama quando era ancora senatore e durante la campagna elettorale per le presidenziali.
Macy McLeod, assistente legale del Dipartimento di Stato, e una dei circa trenta alti funzionari statunitensi che si trovano a Ginevra per rispondere alle domande del comitato delle Nazioni Unite chiamato a esaminare l’aderenza degli Stati Uniti alla convenzione contro la tortura, ha affermato che “Gli Stati Uniti sono fieri del loro ruolo di leader nel rispetto, nella promozione e nella difesa dei diritti umani e della legge, in patria e in tutto il mondo”. “Subito dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 non siamo stati, purtroppo, sempre all’altezza dei nostri valori” ha aggiunto McLeod. “Abbiamo superato il limite e ce ne siamo presi la responsabilità” ha aggiunto, citando il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.
Niente di nuovo, quindi. Gli Usa hanno semplicemente (ma forse sarebbe più corretto di “semplicisticamente”) ammesso di avere fatto il contrario di ciò avrebbero dovuto fare. E, almeno stando a quanto riportato dal New York Times, di voler continuare a farlo. Gli avvocati dei servizi di intelligence e militari, infatti, stanno esercitando forti pressioni sul presidente perché tuteli i funzionari coinvolti nella “questione”. Lo confermerebbe anche la risposta di Obama a chi, nei giorni scorsi ha accusato gli USA di aver continuato a praticare la tortura anche dopo che lo stesso presidente le aveva vietate nel 2009. “Abbiamo torturato un po’ di gente […]. Abbiamo fatto cose contrarie ai nostri valori. Capisco perché questo è successo. Penso che sia importante che quando guardiamo al passato ci ricordiamo di quanto la gente fosse spaventata quando le Torri crollarono” ha detto Obama.
In questi giorni, per la prima volta, gli Stati Uniti sono stati costretti ad ammettere di aver fatto ricorso alla tortura.
Ma la cosa che, più di ogni altra, dovrebbe far riflettere (e scatenare la reazione di tutti gli altri Paesi membri delle Nazioni Unite) è che (lo riferisce sempre il New York Times), la Casa Bianca potrebbe decidere di “legalizzare” o di “giustificare formalmente” la tortura a patto che le sevizie avvengano fuori dal Paese.
“Gli Usa sostenevano di essere un leader globale nella lotta alla tortura, anche quando la tortura e le sparizioni forzate venivano autorizzate dai più alti livelli dell’amministrazione Bush. Oggi, dichiarano di aderire ai principi della Convenzione contro la tortura, anche se non portano di fronte alla giustizia i responsabili delle torture in passato” – ha detto Zeke Johnson di Amnesty International Usa.
Secondo i legali della Casa Bianca, infatti, sembrerebbe che “non ci sia divieto all’uso di tortura fuori dal Paese”. Una soluzione “diplomatica” in pieno stile americano: da una parte si condanna la torture e veri e propri lager come Guantanamo (in teoria tutti i black sites avrebbero dovuto essere chiusi già dal 2009), dall’altro, nascondendosi dietro finte giustificazioni morali (“è necessario per combattere il terrorismo” oppure “a patto che lo si faccia all’estero”) si continua a torturare persone innocenti e a operare in aperta violazione di tutti i diritti civili.
Gli stessi diritti che gli Stati Uniti d’America hanno detto di voler tutelare quando hanno inviato i propri eserciti alla conquista di Paesi dove, poi, spesso hanno aperto i loro black sites.