Tunisia. Presidenziali: in gara 26 candidati, ma poche idee

di Vanessa Tomassini

TUNISI. La campagna elettorale in Tunisia entra ufficialmente nella sua fase finale in vista della chiamata alle urne per oltre 10 milioni di tunisini il 15 settembre. Questa settimana sono stati presentati i 28 osservatori della Missione Europea (MOE UE), garante del corretto svolgimento del voto. I 26 candidati alla presidenza della Repubblica, Mongi Rahoui, Mohamed Abbou, Abir Moussi, Nabil Karoui, Moncef Marzouki, Mohsen Marzouk, Mohamed Nouri, Hechmi Hamdi, Youssef Chahed, Kais Saïed, Elyès Fakhfakh, Slim Riahi, Hatem Boulabiar, Abid Briki, Seifeddine Makhlouf, Mohamed Mraïhi, Mehdi Jomaâ, Hamadi Jebali, Hamma Hammami, Abdelkrim Zbidi, Abdelfattah Mourou, Omar Mansour, Selma Elloumi, Saïd Aydi, Safi Saïd, Neji Jalloul stanno battendo il Paese da nord a sud per cercare di convincere i tanti indecisi. Cresce l’attesa per i confronti in diretta tv all’americana, mentre politici ed aspiranti tali si accavallano negli studi radio-televisivi, controllatissimi dall’Alta autorità indipendente per le comunicazioni audiovisuali (Haica).
Tra i favoriti nei sondaggi, il patron di Nessma Tv, principale rete televisiva privata del Paese e leader del partito ‘Al cuore della Tunisia’, Nabil Karoui, in carcere dal 23 agosto con l’accusa di riciclaggio ed evasione fiscale; il presidente di Corrente democratica, Mohamed Abbou, la pasionaria Abir Moussi per il Free Destourian Party; il giurista indipendente Kais Saied; l’ex ministro della Difesa Abdelkarim Zbidi,; il premier Youssef Chahed e il numero due di Ennhadha, Abdelfattah Mourou. La lunga lista di candidati ha creato ancora più incertezza nel popolo tunisino, il 30% degli aventi diritto al voto hanno dichiarato di non sapere chi scegliere, mentre si prevede già un alto tasso di astensionismo soprattutto tra i più giovani.
Se nel 2014 i candidati erano 27, le elezioni presidenziali 2019 lasciano l’elettore medio spiazzato per diversi motivi. Il primo è la mancanza di programmi politici seri che definisca un’identità politica convinta dei concorrenti. Nel 2014 si è assistito ad una polarizzazione della scena politica, da un lato c’era il campo islamista-rivoluzionario, rappresentato da Moncef Marzouki, e dall’altro il polo modernista di Béji Caïd Essebsi. Oggi le differenze tra progressisti ed islamisti si sono sempre più assottigliate, mentre si assiste, sulla scia della vita politica europea, all’ascesa di nuovi movimenti populisti in particolare quelli di Karoui e Moussi, che fanno leva sulla crisi economica parlando alla pancia degli elettori attraverso slogan elettorali del tipo “si stava meglio prima del 2011” o “sradicheremo la povertà”.
Altra differenza con le elezioni del 2014 è che per la prima volta nella storia della Tunisia, a concorrere alla presidenza vi è anche il primo ministro in carica Youssef Chahed, per il partito Tahya Tounes. Come immaginabile, il premier è divenuto la vittima preferita dei suoi avversari che lo accusano della responsabilità dei problemi economico-sociali del Paese, nonché di utilizzare i fondi pubblici per fare campagna elettorale. Ogni famiglia politica conta almeno tre candidati a cui si aggiungono gli indipendenti. Il pensiero politico islamico punta tutto su Abdelfattah Mourou, Hammadi Jebali e Hatem Boulabiar, tutti appartenenti o ex esponenti di Ennahdha, il partito politico della Fratellanza Musulmana. Anche la sinistra può contare su tre cavalli in corsa: Hamma Hammami, Abid Briki e Mongi Rahoui. Secondo gli osservatori, l’avvicinamento delle due correnti islamicp-politica e progressiva ha eliminato il rischio di una polarizzazione eccessiva.
L’incertezza economica, il continuo rischio di fallimento del processo democratico e l’estensione dello stato di emergenza per la prolungata minaccia terroristica pesano sulla coscienza del popolo tunisino che in gran parte potrebbe rinunciare al voto o affidarsi alle fasi di effetto dei populisti, considerata l’assenza di proposte o strategie concrete per risollevare l’economia nazionale. Malgrado le pesanti accuse contro il magnate Nabil Karoui, il suo arresto a ridosso della chiamata alle urne gli ha fornito un’aura di martire, di vittima degli islamisti, che potrebbe agevolarlo.