TUNISIA. Samir Tarhouni, ‘Quel giorno che scelsi di non sparare sulla folla’. Verità e ombre del capo dell’Anti-terrorismo tunisino

dal nostro inviato Saber Yakoubi –

La ‘Primavera Araba’ sembra essere destinata ai tormenti di dichiarazioni su dichiarazioni e continui colpi di scena. Il 9 agosto scorso è avvenuto l’ennesimo episodio che però non ha riguardato l’ultima figura dell’epoca di Ben Alì che voleva liberarsi dei rimorsi più o meno autentici o i soliti ragazzi dei social network: è stato il direttore dell’Anti-terrorimo dello Stato tunisino a farsi avanti e a raccontare il suo 14 gennaio.
Un racconto che ha suscitato non poca perplessità e che ha scatenato un mare di polemiche sia nel paese che nel mondo arabo in generale.
Samir Tarhouni, il direttore della sezione Anti-terrorismo, ha infatti convocato una conferenza stampa con tanto di possibilità per i giornalisti di fare domande, un fatto che ha colto il paese di sorpresa in un momento in cui si sta arrivando alla difficile ed inusuale prova elettorale.
Tarhouni ha raccontato di aver preso una decisione critica e difficile il giorno della fuga di Ben Ali: alle ore 14.10 dello stesso giorno aveva infatti avuto l’informazione che la Famiglia di Ben Ali si preparava a lasciare il paese e a volare verso una destinazione ignota ed aveva ricevuto l’ordine d’allerta per la sua squadra di tenersi pronti a disperdere la folla di 500.000 persone radunatesi in rivolta nel più grande corso della capitale, Tunisi, con la possibilità di sparare ad altezza d’uomo.
Il capo dell’Anti-terrorismo ha raccontato di aver vissuto gli attimi più lunghi della sua vita, cioè se ubbidire all’ordine di aprire il fuoco sui civili o se affrontare un processo per insubordinazione: la sua scelta è stata quella di confrontarsi con i colleghi e di sentire il parere dei comandanti di altri corpi.
Tarhouni ha poi detto poi di essere riuscito a convincere tutti e quindi di aver dato l’ordine di circondare la sala VIP dell’aeroporto di Tunisi dove, appunto, si trovava la famiglia di Ben Alì. Si trattava di un totale di 30 persone che sono state da lui fatte prelevare ed accompagnare nella caserma di Alauina. “In diversi erano armati  – ha raccontato – ed erano in possesso di oro e di pietre preziose”.
La conferenza stampa ha lasciato però diversi quesiti aperti, ovvero ci si è chiesti come mai il capo dell’Anti-terrorismo ha deciso di informare l’opinione pubblica di un fatto così importante solo dopo 7 mesi l’accaduto, ed ancora quale audacia ineguagliabile abbia spinto il capo dell’Anti-terrorismo a sfidare un Ben Alì ancora non caduto, o perché si è deciso a parlare solo a due giorni dal processo contro l’ex presidente. D’altro canto Ben Alì era già fuggito alle 14.30, mentre la sicurezza nazionale era rimasta compromessa fino alle 21.00.
Indubbiamente si è trattato di un grosso rischio, perché se il regime di Ben Alì non fosse caduto, di sicuro Samir Tarhouni e la sua squadra avrebbero passato un guaio inimmaginabile, ma è quindi legittimo chiedersi se il capo dell’Anti-terrorismo e la sua squadra non si siano presi il lusso di aver messo fra le possibilità anche il fallimento del golpe.
Inoltre incuriosisce il fatto che Tarhouni, essendo a capo di un corpo importante dello stato e non un politico di rilievo, non poteva disporre un mandato di cattura per arrestare la famiglia di Ben Alì.
Si tratta di domande legittime che portano a pensare che sia nella caduta del regime di Ben Alì, che nella sua fuga, vi siano state diverse messe in scena e quindi è lecito il sospetto che in Tunisia vi sia stato un colpo di stato ancor più bianco di quello che portò all’ascesa, nel 1987, di Ben Alì stesso.
Seguiremo l’evolversi dei fatti ed i nuovi sviluppi dalle piazze popolari.