Ucraina. La catastrofe della diga di Kakhovka e il ruolo della comunità internazionale

di Maurizio Delli Santi * –

Il livello delle conseguenze per la popolazione e l’ambiente provocate dalla distruzione della diga sul Dnipro dovrebbe imporre una immediata risposta di quella parte della comunità internazionale che ancora indugia nel condannare l’aggressione all’Ucraina. Sono ancora Cina e India, ma anche quel “sud globale” incerto, a doversi pronunciare sulle scelte irresponsabili di una leadership politico-militare che viola deliberatamente i principi fondamentali dell’ Humanitarian International Law e sta causando la più grave catastrofe umanitaria.
Per cautela occorre non escludere un sabotaggio ucraino, o un incidente come ipotizzato da alcuni media che però denunciano le responsabilità della Russia che ha causato la guerra, in precedenza aveva danneggiato la diga e ora la occupa in maniera stabile. Le tesi prevalenti propendono per una deliberata demolizione dei russi, praticata con mine. L’ampiezza del varco di circa 200 metri esclude il bombardamento con missili, e la demolizione con mine per un sabotaggio degli ucraini, al centro della diga, risulta improbabile in un’area sotto pieno controllo russo. D’altronde l’attacco alle dighe rientra in una deliberata strategia dell’aggressore: lo dimostrano gli attacchi ai bacini di Karachunivske, Zaprorizhzhia, Kremenchuk e Karlivskyi, tutti compiuti per danneggiare i rifornimenti idroelettrici e intimorire la popolazione, mentre ora quello di Kakhovka è stato chiaramente rivolto a bloccare la controffensiva su una importante direttrice che controlla l’accesso alla Crimea.
I riscontri sugli effetti della distruzione sono indicativi del livello della catastrofe: 24 cittadine allagate e 20mila i residenti evacuati. Si prevedono ulteriori innalzamenti del livello dell’acqua con rischi per almeno altri 80 insediamenti e la stessa centrale nucleare di Zaporizhzhia, per la quale al momento l’Aiea ha escluso emergenze. Otre 40mila persone potrebbero essere costrette ad evacuare, di cui 25mila nei territori occupati dagli stessi russi. La diga è il principale fornitore di acqua alla Crimea, che non ha risorse idriche proprie, per cui la sua compromissione potrebbe esporre le popolazioni della penisola occupata dai russi all’insufficienza di risorse idriche. I russi avrebbero comunque adottato misure per consentire manovre di pompaggio dirette ad alimentare la Crimea. Gli esperti dell’Onu hanno richiamato il rischio di contaminazione delle acque per effetto di sostanze pericolose sia degli esplosivi sia di altri residui fangosi e nocivi presenti sui fondali del bacino. La sala delle turbine risulta sommersa da 150 tonnellate di lubrificanti industriali, e Olena Kravchenko, direttrice di una Ong esperta di diritto ambientale, denuncia l’“ecocidio”: gli effetti di un inquinamento chimico e batteriologico potrebbero interessare tutta l’area a Sud, fino all’estuario del Dnipro, e tutto l’ecosistema del Mar Nero, con una mortalità di massa delle specie acquatiche, la devastazione dell’ambiente e impatti sui parchi naturali di tutta la fascia marittima e costiera, anche degli Stati confinanti.
Sotto il profilo del diritto internazionale il quadro giuridico è molto preciso, e non vi sono dubbi che l’attacco alla diga rientri tra i crimini di guerra sanzionati dall’articolo 8 dello Statuto della Corte penale internazionale. Si può prevedere l’obiezione dei comandanti incriminati in un processo internazionale: l’attacco alla diga risponde ad una “necessità militare”, ammessa dal diritto internazionale, per perseguire il vantaggio “complessivo, diretto e concreto”, di bloccare una controffensiva. Tuttavia gli orientamenti del Tribunale per la ex Jugoslavia, gli indirizzi delle Risoluzioni e di altre determinazioni delle Nazioni Unite (la più nota è il Rapporto Goldstone approvato dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite sulla operazione israeliana “Piombo fuso” a Gaza, 2008-2009) hanno sempre rimarcato che il criterio della necessità militare va declinato con quello della proporzionalità. A dirimere dubbi sovvengono più specifiche previsioni del I Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra, adottato nel 1977. L’ articolo 52 stabilisce che “i beni di carattere civile non dovranno essere oggetto di attacchi né di rappresaglie. L’articolo 54 prescrive il divieto di ricorrere a metodi di guerra che compromettano l’utilizzo di beni necessari alla sopravvivenza della popolazione civile. L’articolo 55 impone che la guerra debba essere condotta curando di “proteggere l’ambiente naturale contro danni estesi, durevoli e gravi”. Infine, più centrate sono le previsioni dell’articolo 56 “Protezione delle opere e installazioni che racchiudono forze pericolose”. Le dighe e le centrali nucleari per la produzione di energia elettrica “non saranno oggetto di attacchi, anche se costituiscono obiettivi militari, se tali attacchi possono provocare la liberazione di dette forze e causare, di conseguenza, gravi perdite alla popolazione civile”. Vale il principio di precauzione del para 3, secondo cui la popolazione civile deve a beneficiare di tutte le protezioni previste dal diritto internazionale, e “tutte le precauzioni praticamente possibili dovranno essere prese per evitare che le forze pericolose siano liberate”, incluso “un avvertimento in tempo utile e con mezzi efficaci” previsto dall’articolo 57.
Per ultimo è bene richiamare quanto prima della distruzione della diga di Kakhovka è stato intimato alla Russia. Con la Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite A/ES-11/L.2, Conseguenze umanitarie contro l’Ucraina, si è chiesto di garantire la tutela dei civili, la protezione per i beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile, per le infrastrutture civili, nonché per la fornitura dei servizi essenziali. La Risoluzione del Parlamento europeo del 23 novembre 2022 (adottata con 494 voti favorevoli, 58 contrari e 44 astensioni) ha formulato la prima accusa alla Russia di “terrorismo di Stato”, perché ha tra l’altro colpito “deliberatamente le infrastrutture critiche ucraine nell’intero paese allo scopo di terrorizzare la popolazione e impedirle l’accesso a gas, elettricità, acqua, internet e ad altri beni e servizi di prima necessità”. Le accuse del Parlamento di Strasburgo sono state rivolte anche al “terrorismo geopolitico” della Russia per aver causato la crisi mondiale della sicurezza alimentare.
Molti guardano con speranza alle iniziative di pace del Vaticano, ma una decisa presa di posizione di potenze come Cina e India, e anche del c.d. “Sud globale”, potrebbe avere maggior peso nel ricondurre la Federazione Russa alla ragione. Il ruolo dell’Occidente e preferibilmente quello rinnovato delle Nazioni Unite dovranno essere comunque determinati a porre in essere quelle “garanzie di sicurezza” per una tregua che non si rilevi fragile e ingannevole per il futuro dell’Ucraina e la sicurezza dell’Europa. Anche per questo sarà necessario sostenere la Corte penale internazionale perché prosegua il suo percorso per affermare le regole dell’Humanitarian International Law e i principi di effettività della giustizia penale internazionale.

* Membro dell’International Law Association.