Umanità e disumanità: lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo

di Cincia Palmacci –

somalo senza rene ng grande_FotorLa tratta di esseri umani è una delle peggiori schiavitù del XXI secolo. E riguarda il mondo intero. Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) e l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc) circa 21 milioni di persone, spesso povere e vulnerabili, sono vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale o lavoro forzato, espianto di organi, accattonaggio forzato, servitù domestica, matrimonio forzato, adozione illegale, maternità surrogata e altre forme di sfruttamento. Ogni anno, circa 2,5 milioni di persone sono vittime di traffico di esseri umani e riduzione in schiavitù; il 70 per cento sono donne e minori. Spesso subiscono abusi e violenze inaudite. D’altro canto, per trafficanti e sfruttatori la tratta di esseri umani è una delle attività illegali più lucrative al mondo: rende complessivamente oltre 32 miliardi di dollari l’anno ed è il terzo “business” più redditizio, dopo il traffico di droga e di armi.
In Italia ci sarebbero dalle 50 alle 70 mila donne vittime di tratta per lo sfruttamento sessuale, la maggior parte straniere, oltre la metà nigeriane e moltissime minorenni. Ci sono pure circa 400 mila lavoratori (di cui l’80 per cento immigrati) che rischiano di essere vittime del caporalato e di ritrovarsi sfruttati e ridotti in condizioni servili. La Caritas e le congregazioni religiose femminili sono state tra le prime, in Italia, a leggere il fenomeno e a offrire soluzioni alternative ai nuovi schiavi, specialmente alle donne vittime di sfruttamento sessuale. Solo nelle case famiglia gestite dalle religiose in tutta Italia sono state accolte e offerte opportunità di libertà, dignità e legalità a oltre 6.000 donne in gran parte straniere. Purtroppo, dopo tanti anni di contrasto e di interventi a favore delle vittime, non si nota una diminuzione del fenomeno, bensì ci troviamo di fronte a un costante aumento e mutamento delle forme delle tratta e delle modalità dello sfruttamento. C’è quindi un grande bisogno di intensificare gli interventi sia di prevenzione e sia di contrasto, nonché rilanciare i programmi di reintegrazione sociale e i rimpatri assistiti di coloro che desiderano ritornare a casa con dignità.

L’odioso fenomeno della tratta dei “più deboli”.
La tratta e sfruttamento anche di bambini e adolescenti si conferma un fenomeno persistente e feroce che colpisce soprattutto i minori migranti: in particolare le ragazze nigeriane sono il gruppo maggiormente coinvolto nella tratta mentre gli adolescenti egiziani sono tra i più esposti allo sfruttamento lavorativo.
Dal 2012 ad oggi sono 1.679 le vittime accertate di tratta in Italia, delle quali una quota significativa è costituita da minori. In particolare dal 2013 al 22 giugno 2015 sono 130 i minori vittime di tratta inseriti in progetti di protezione (ex art. 18 Dlgs 286/98 66 e ex art. 13 L. 228/2003. Fonte Dipartimento per le pari Opportunità luglio 2015).
La Nigeria il principale paese di provenienza, seguita da Romania, Marocco, Ghana, Senegal e Albania. Le giovani vittime sono forzate soprattutto a prostituirsi e sfruttate sessualmente ma si rilevano anche altre forme di tratta e sfruttamento, quale quello in attività illegali, in particolare fra le adolescenti di origine rom e rumena, in associazione, spesso, a matrimoni precoci, e lo sfruttamento lavorativo fra i minori migranti, in particolare egiziani. Tra i minori vulnerabili e a rischio anche i minori afgani ed eritrei in transito nel nostro paese. Sono 7.357 i minori migranti arrivati in Italia via mare da soli dall’inizio dell’anno (Fonte: Ministero dell’Interno agosto 2015). Pur rimanendo la prostituzione forzata la tipologia di tratta più conosciuta, nel corso dell’ultimo decennio, è progressivamente aumentato il numero di casi identificati di persone trafficate e sfruttate in altri ambiti, tra cui quelli economico-produttivi (in particolare, in agricoltura, pastorizia, edilizia, manifatture e lavoro di cura, accattonaggio forzato e ad attività illegali coercitive) ma anche casi di vittime soggette a sfruttamento multiplo. Il 16 maggio 2005 è stata firmata la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani e con essa è stato istituito un meccanismo di controllo tramite un “Gruppo di esperti sulla lotta contro la tratta di esseri umani” (GRETA), composto da 10 a 15 membri eletti dagli Stati Parti. Il Presidente del Greta, Nicolas le Coz ha dichiarato: “I minori non accompagnati sono oggi tra i gruppi più vulnerabili di migranti e rifugiati che arrivano in Europa. Numerose le lacune per quanto riguarda la protezione. Queste lacune persistono e si moltiplicano alla luce del numero crescente di persone in fuga da persecuzioni e conflitti armati che l’Europa ospita. E’ “indispensabile che i Governi agiscano con urgenza per affrontare queste lacune e diano maggiori garanzie soprattutto ai bambini affinchè non siano più vittime di questo crimine efferato”. Le vittime di tratta sono uomini, donne e minori: si stima che a livello mondiale siano ca. 2,5 milioni, di cui un terzo sarebbero minori. Non c’è Paese oggi nel mondo che non ne sia colpito. Ogni Paese può essere di origine transito e destinazione, a seconda dei momenti storici e dei vari assetti geopolitici.
Si parla di traffico di minori a partire dal momento in cui un bambino è trasferito da un luogo all’altro legalmente o illegalmente, all’interno di un paese o al di fuori delle frontiere del suo paese. Il fenomeno prevede sempre il coinvolgimento di intermediari. L’obiettivo principale del traffico è l’arricchimento. Il bambino è sfruttato e costretto al lavoro attraverso l’uso della forza o dell’inganno, o venduto per altri scopi, come lo sfruttamento sessuale (pornografia e la prostituzione), lo sfruttamento attraverso delle attività illegali (il traffico di droga o l’accattonaggio), l’adozione o il matrimonio forzato. Il fenomeno si è aggravato nei paesi dell’Europa centrale e dell’est così come in tutti i paesi in cui è caduto il regime comunista (Romania, Albania ma anche Vietnam, Cambogia ecc.). Si riscontra in tutti i paesi dove la grande maggioranza della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, ma anche nelle categorie più povere dei paesi ricchi, in particolare tra i bambini che vivono nel paese come clandestini. L’accattonaggio imperversa in Europa con provenienza dai paesi dell’Europa centrale verso quella dell’Europa occidentale, dai paesi del sotto-continente indiano verso i paesi ararbi, ma anche in modo più generale in tutti i paesi più poveri. Alcuni di questi paesi pensano di lottare contro il fenomeno criminalizzando l’accattonaggio; i bambini diventano allora doppiamente vittime, prima dei trafficanti e poi della giustizia. Il traffico di minori esiste nei contesti di miseria e di condizioni di sopravvivenza dei paesi più poveri. In quest’ultimi lo Stato se ne disinteressa sempre di più nel quadro della riduzione dei budget per i servizi pubblici più elementari.
L’ideologia secondo la quale l’essere umano è una mercanzia è inaccettabile. La globalizazione dell’economia mondiale è una concausa (un esempio sono le migrazioni a fini economici che creano situazioni favorevoli a diverse forme moderne di schiavitù). A ciò si aggiunge la diminuzione dei mezzi finanziari per adempiere ai propri doveri in materia di polizia e di giustizia.
La definizione dei reati contro i minori è migliorata in numerosi paesi. In tutti i paesi del mondo ci sono esseri umani vittime di traffico. Quello che può portare un danno all’immagine di un paese non è tanto l’essere vittima di questo flagello, ma di sapere come e con quale volontà le autorità reagiscono, per il miglioramento delle leggi, delle procedure e la persecuzione reale dei trafficanti.

La piaga del commercio di organi umani.
Oggi, esiste internet, ed i narcotrafficanti, i mercanti di armi ed i commercianti di organi umani, come spesso avviene, sono stati tra i primi a scoprire e sperimentare “con successo” le straordinarie risorse della Rete per effettuare, coperti dalla maschera dell’anonimato e del villaggio globale, i propri traffici illegali. Il traffico di organi on-line avviene da tempo ed è balzato alla cronaca nel 1999 quando più di un sito c’era un’offerta decisamente illegale: “vendesi rene perfettamente funzionante. Potete scegliere uno dei due. Ovviamente un solo rene è in vendita, perchè l’altro mi serve a vivere. I compratori devono pagare le spese dell’espianto e le cure mediche”. Offerte: dai 25 mila dollari di partenza in pochi giorni il battitore elettronico è arrivato sino a 5,7 milioni di dollari. E’ risultato che altri 17 reni e un fegato erano in vendita all’asta. Si trova un po’ di tutto: reni, cuori, occhi, testicoli, sperma, ovuli da fecondare e quant’altro. Esistono ancora le aste, c’è infatti chi vende i propri organi (ma saranno veramente i loro? O saranno sottratti a vittime non consenzienti nel Terzo Mondo?). Poi ci sono le vendite dai forum o dagli e-group, dove si tratta l’insolita vendita on-line di “1 (chilo di) fegato” o roba simile. E infine ci sono i siti di sostegno “politico” alla vendita di organi.

A chi giova l’immigrazione clandestina?
Turchia – 
Alcuni immigrati curdi, giunti in Italia con evidenti segni di un recente espianto di rene, potrebbero essere la prova che i trafficanti turchi di clandestini si fanno pagare il «viaggio della speranza» in questo modo.
Italia – 
Anche l’Italia è coinvolta nel traffico d’organi: infatti accade che gli immigrati clandestini, ricattati dagli usurai e manovrati dalla malavita organizzata, finiscano per pagare il loro viaggio con un organo (di solito un rene) proprio o di qualche parente.
Russia, Ucraina, Moldavia, Romania
 – Per questi paesi passa la nuova autostrada dei traffici di organi. Gli adulti vengono portati in Turchia e in Georgia con il visto turistico. I bambini vengono rapiti e venduti localmente, oppure passano per le vie della prostituzione infantile, mentre i loro organi vengono recapitati per via aerea in Europa e Usa.
Cina – 
Il mercato coinvolge i condannati a morte, che vengono depredati dei loro organi subito prima dell’esecuzione. I maggiori acquirenti sono ricchi malesi, che si fanno operare nelle cliniche cinesi di Stato.
Afghanistan – Durante il regime dei talebani, centinaia di bambini dai 4 ai 10 anni sono stati rapiti in strada. I genitori li ritrovavano qualche giorno dopo tra le immondizie: senza cuore, occhi e reni. Non è certo che il mercato si sia interrotto dopo la sconfitta degli integralisti.
Filippine
 – Anche le Filippine sono tristemente note come serbatoio per i trapianti di reni nei paesi arabi.
India e Pakistan – 
Con il pretesto di effettuare le analisi necessarie a trovare un lavoro, si viene ricoverati e ci si risveglia con un rene in meno.
Sudafrica
 – Il prelievo illegale di organi avviene negli obitori della polizia, con il consenso degli ufficiali corrotti dai trafficanti.
Iraq
 – Da quando è sottoposto a embargo, l’Iraq è diventato un fornitore di reni per le cliniche di lusso dei paesi arabi.
Brasile, Argentina, Messico, Ecuador, Honduras, Paraguay – 
In questi paesi ogni anno spariscono decine di bambini, rapiti dalla malavita locale.
Egitto
 – E’ considerato uno dei paesi fornitori di reni per i ricchi che vanno a operarsi nei paesi del golfo, Arabia Saudita in testa.
La malavita fa affari d’oro con il traffico di organi e di neonati: “vittime prescelte sono prima di tutto i bambini, poveri o abbandonati che sono venduti e spariscono nel nulla ingoiati nel vortice dell’immigrazione clandestina e dello sfruttamento minorile, e poi i miserabili dimenticati dal mondo, che per sopravvivere sono costretti a svendersi”. E’ stato individuato anche un traffico di organi mascherato da adozioni internazionali, “donazioni da rimborso” avvengono prima che l’immigrato giunga in Italia. Orlando Amedeo, un medico della polizia di Crotone incaricato di visitare i clandestini sbarcati nel Sud, ha scorto due giovani curdi con un’ampia cicatrice sulla schiena. Hanno detto di aver “perso” il rene a causa di una calcolosi, ma il sospetto è che si siano pagati il viaggio vendendo un organo.
Moldavia: qui i “donatori” partono in gruppo con tanto di visto turistico per la Turchia e la Georgia, dove si fermano in gita per l’espianto. Turcanu, il ministro moldavo dell’Interno fa sapere anche di casi in cui vengono rapiti dei bambini per venderli “interi” sul mercato asiatico.
Viste le numerose richieste da soddisfare, sembra ovvio, che dietro a queste vendite in rete non ci siano solo poveri disperati disposti a privarsi di un proprio organo, ma un vero mercato, gestito da organizzazioni criminali. Anche in Italia diverse richieste hanno accertato che agisce un vero e proprio “commecio dei pezzi di ricambio”. Esistono agenzie che organizzano i viaggi della speranza all’estero, dall’Asia all’America latina. Ora gli organi si ricevono a casa. Come? Nei modi più impensabili e atroci. Nella rete della criminalità organizzata cadono spesso gli immigrati clandestini che, non riuscendo a restituire i soldi per la fuga all’estero prestati a tassi usurai, vengono obbligati a “donare volontariamente” qualche organo che verrà poi venduto on-line. A volte, gli organi vengono sottratti anche a figli (o altri parenti) del clandestino.

Parliamo di affari (sporchi)…
Siamo a Dok Kaamtai, all’interno della Thailandia; zona di contadini poveri, pochi campi e un po’ di artigianato tradizionale come unica fonte di reddito.
Vengono ogni 2-3 mesi, con i loro fuoristrada e gli orologi d’oro al polso, sempre faccie diverse, sempre lo stesso discorso. Chiedono se voglio vendere le mie figlie, dicono che le porteranno in città a lavorare, che guadagneranno bene. Offrono molti soldi in anticipo, centinaia di migliaia di baht. Ne hanno vendute tre, di figlie, a 30000 baht l’una. Ma loro continuano a essere poveri, i soldi sono finiti subito. E le ragazze non si sono più viste. Una aveva 11 anni appena.
”Quelli” i mezzani, i mercanti di carne umana da anni battono le campagne thailandesi alla ricerca di bambine da avviare alla prostituzione nei locali a luci rosse di Bangkok, di Pattaya e delle altre località turistiche della Thailandia. Perchè c’è un turismo speciale che viene da queste parti a cercare proprio loro, le bambine e i bambini schiavi dei trafficanti del sesso. Sono 80000 i minori vittime della prostituzione in Thailandia e fra i loro clienti sono molti gli europei. E il prezzo che i bambini pagano è altissimo: devastati nel corpo e nell’anima dalle violenze subite, quasi mai riescono a tornare a casa.
I centri di recupero creati dall’UNICEF e da vari organismi per salvare le piccole vittime della prostituzione devono accogliere un numero crescente di bambini, sottratti allo sfruttamento, ma privi di alternative di vita. Il problema non riguarda solo la Thailandia: in India si stimano in mezzo milione le piccole prostitute , in Brasile, in Sri Lanka e in molti altri paesi la situazione è gravissima. Ogni anno, nel mondo, sono milioni i bambini costretti a prostituirsi o ad alimentare l’industria pornografica. Tra questi anche bambini e bambine di città come New York, Sidney, Parigi o Amsterdam. E questi abusi sono “in allarmante e rapida progressione in tutto il mondo”.
Il primo Congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei bambini, promosso dall’UNICEF con la partecipazione di organizzazioni di tutto il mondo a Stoccolma nel 1997, ha denunciato con violenza l’industria del sesso infantile, che coinvolge bambini di ogni età. Per eliminare questa vergogna l’UNICEF sottolinea la necessità di lottare contro quell’erosione dei valori che è tra le cause del crescente sfruttamento sessuale e commerciale dei bambini, ma anche soprattutto di combattere la povertà e le discriminazioni che spesso sono alla radice del problema. Servono campagne di informazione, serva un’azione di polizia e magistratura per punire duramente col carcere ogni abuso sui bambini, dovunque commesso, ma più di ogni altra cosa- ricorda l’UNICEF serve un aiuto concreto alle famiglie più povere della terra: perchè nessuno sia più tentato di vendere i suoi figli, perchè tutte le madri possano rispondere un chiaro e secco “NO” a “quelli” che tentano di comprare la vita dei bambini.

La maternità surrogata o “utero in affitto” rasenta lo sfruttamento umano.
La prassi biomedicale della maternità surrogata, detta anche “utero in affitto” o “maternità su commissione” è, e lo è sempre stata, una delle più dibattute questioni bioetiche: considerata immorale e scandalosa, tale pratica consente l’impianto di un embrione già formato nell’utero di una donna che porterà a termine la gravidanza, “prestando” o “affittando” il proprio utero ad un’altra donna, la madre biologica del feto. Tale madre “committente”, dopo aver partorito il figlio di altri, dovrà, in ottemperanza ad un contratto sottoscritto preventivamente, “restituirlo” ai genitori biologici (la questione si rende più complessa nel caso in cui la madre surrogata non solo impresta il suo utero, ma dona anche un suo ovulo). Invero tale tecnica è vista con sospetto sia dalla bioetica cattolica che da gran parte della bioetica laica per il plurificarsi delle figure genitoriali e per l’uso strumentale del corpo della donna. Di essa tecnica si tende di norma a salvare solo l’uso “donativo”, intendendo l’affitto dell’utero come una donazione di solidarietà alle coppie con difficoltà a generare, in quanto qualsiasi ragione economica viene considerata illegittima. In effetti lungi da pregiudiziali e fobiche paure sproporzionate va detto che si tratta di mettere a disposizione parti del proprio corpo per consentire a terzi di vedere realizzato il proprio desiderio di filiazione, in maniera non troppo dissimile rispetto alla fecondazione eterologa.
Diffusa in America quale estremo ricorso di molte donne per avere un figlio, da un po’ di tempo praticata anche da uomini single o coppie di omosessuali per soddisfare quel desiderio, legittimo ma inappagato, di paternità. Come è evidente si tratta di una tecnica biomedicale che va ricompresa nell’epocale rivolgimento della rivoluzione procreativa degli ultimi decenni, intimamente connessa alla contemporanea e contestuale rivoluzione culturale ed antropologica: il prima incredibile, ma adesso ineludibile sviluppo tecnoscentifico, soprattutto per ciò che attiene alla filiazione, ci obbliga a rivedere e ridefinire il ruolo della donna, a riconsiderare l’istituto della famiglia basato tradizionalmente sulla dualità padre-madre, ad accettare una diversa concezione della sessualità. Diviene infatti sempre più routinario avere un figlio ad età avanzata anche per le donne, soddisfare il proprio desiderio di paternità o di maternità senza il sostegno di un legame istituzionale come la famiglia, e anche tra sessi omologhi. Ma nell’ottica di una riflessione sulla plausibilità dell’economicità sottostante la maternità surrogata, va volta l’attenzione ai paesi più disagiati e poveri, nei quali tale prassi apre ad un mercato senza regole gestito da spregiudicate agenzie internazionali.
Vietata in gran parte dell’Occidente, in Cina ed in Australia, la maternità surrogata è particolarmente praticata nel territorio thailandese: si calcola che solo a Bangkok siano nati centinaia dei 6mila bambini nel mondo frutto dell’impianto di ovuli fecondati negli uteri in affitto. L’anno appena trascorso ha visto la denuncia di due scandali di uteri in affitto in Thailandia, e ad oggi il parlamento thailandese ha approvato una norma che pone forti limiti alla maternità surrogata. Si ricordi, infatti, la vicenda del luglio 2014 che vide una coppia australiana rinunciare ad uno dei due gemelli nati dall’impianto degli embrioni in utero di una donna thailandese non appena fu evidente la disabilità del bambino (affetto dalla sindrome di Down e malformazione cardiaca). Dopo solo pochi giorni un altro scandalo: fu noto che un ventiquattrenne giapponese aveva pagato almeno undici donne in Thailandia per portare in grembo sedici bambini. Il suo obiettivo era di avere dieci figli all’anno fino ad età avanzata per costruire una base elettorale fedele in vista di una futura carriera politica in Giappone. O almeno questo pare abbia dichiarato. Forse, cosa più probabile, intendeva dare inizio ad un traffico di adozioni.
Come è evidente si tratta di casi estremi, scaturenti però da una questione di indubbia rilevanza etica e giuridica di livello internazionale: estremamente delicata è la mediazione da rintracciare tra le aspettative dei genitori che altrimenti sarebbero impossibilitati ad avere figli biologici e la tutela delle madri surrogate in difficoltà economiche. Inoltre l’incertezza sopraccennata delle regolamentazioni crea episodi di incomprensione e complicazione estrema: si pensi alla circostanza in forza della quale l’ambasciata francese in Ucraina (paese in cui la maternità surrogata è legale) ha rifiutato di dare la cittadinanza e regolari documenti di viaggio ai gemelli nati da una gravidanza portata a termine per conto di una coppia che vive in Francia (dove la surrogazione è illegale), lasciandoli in un limbo a tempo indeterminato.
Tuttavia nonostante i dubbi giuridici le agenzie del settore sanno bene come aggirare gli ostacoli normativi: le più grandi tendono a indirizzare gli utenti verso paesi dai governi deboli, in cui i contratti di maternità surrogata non sono regolamentati. Ma proprio per questo il rischio di sfruttamento è maggiore. Le agenzie tuttavia dichiarano l’intento di aiutare donne in difficoltà economiche, negando di partecipare al loro sfruttamento. Una delle organizzazioni più grandi è “New Life”, la cui sede centrale è a Tbilisi, in Georgia (paese che consente l’affitto degli uteri), ma altre sedi della stessa agenzia sono sparse in tutto il mondo, dall’India, all’Ucraina, al Messico e, a seconda del Paese, le madri surrogate ricevono una quota variabile tra i 10 mila e i 15 mila dollari, a fronte di un pagamento da parte degli aspiranti genitori che varia tra i 30 mila e i 38 mila dollari. La differenza dovrebbe coprire i costi sanitari e i diritti di agenzia. In Georgia, con il “ricavato” di una maternità surrogata una donna può comprarsi un monolocale fuori dalla capitale e crescere meglio i propri figli biologici. Le organizzazioni in linea di massima monitorano le condizioni fisiche e mentali delle madri surrogate nel corso della gravidanza e per alcuni mesi dopo il parto. Le madri devono aver avuto figli in precedenza e rientrare nella fascia d’età dai 25 ai 35 anni ed anche gli aspiranti genitori devono rientrare in una fascia precisa di età.
Dopo gli scandali anzidetti adesso la nuova normativa thailandese impone limiti ben più severi consentendo la surrogazione esclusivamente alle coppie eterosessuali e solo se almeno uno dei partner è di nazionalità thailandese. Gli aspiranti genitori devono essere sposati da almeno tre anni e dimostrare di non essere fertili e di non avere parenti fertili. La madre surrogata deve essere una cittadina thailandese sopra i 25 anni d’età e l’accordo deve avvenire su base “altruistica” più che “commerciale”: la madre surrogata cioè non deve ricevere un compenso, ma solo la copertura delle spese mediche del caso. Le agenzie che offrono o pubblicizzano servizi di maternità surrogata sono state messe fuori legge, con pene previste fino a dieci anni di reclusione per chi usa l’affitto degli uteri a scopo commerciale. C’è chi teme che la nuova legge spinga a praticare la maternità surrogata in clandestinità. Altri la considerano di severità eccessiva. Le nuove limitazioni vanno a scapito soprattutto delle coppie omosessuali e degli aspiranti genitori single, in particolar modo gay. 
La pratica dell’utero in affitto è legale anche in India, altra destinazione molto gettonata, ma una circolare governativa alla fine del 2012 ha negato l’idoneità alle coppie non sposate e omosessuali, alle quali oggi restano ben poche alternative legali, tra cui il Messico, gli Stai Uniti – laddove in alcuni Stati l’utero in affitto è vietato, in altri consentito, in altri ancora limitato in base allo stato civile e all’orientamento sessuale degli aspiranti genitori – la Russia e il Nepal. I costi degli Usa erano un tempo proibitivi, spingendo gli aspiranti genitori a cercare altrove soluzioni più rischiose, ma lo scorso anno hanno subito una significativa riduzione. Per motivi di sicurezza si tende ad escludere il Messico e il Nepal. In Russia il mercato della surrogazione, un tempo fiorente, ha subito un calo, da attribuire probabilmente alla svolta in corso verso politiche sociali di stampo conservatore. Il Nepal ha recentemente autorizzato la surrogazione a beneficio degli stranieri, ma mancano ancora molte disposizioni precise circa i molti aspetti di carattere giuridico, come il rilascio dei certificati di nascita; in più alle donne nepalesi non è consentito di affittare l’utero, quindi sono le donne indiane che attraversano il confine con questo obiettivo. Certo la pratica della maternità surrogata internazionale non è il sistema ideale per diventare genitori perché risulta estremamente stressante a livello emotivo e finanziario, venendosi a riproporre il pluricontestato cd. “turismo procreativo”, e poi per ovvi motivi bioetici e morali.
A proposito di utero in affitto, i politici chiamati a discutere le varie proposte dovrebbero mettersi una mano sulla coscienza. Ma siccome la coscienza deve essere rettamente formata, è indispensabile conoscere le storie concrete di vita reale. LifeSiteNews ce ne racconta una davvero commovente, che ancora una volta dimostra quanto sia forte il legame tra una madre ed il proprio figlio. Eva May, poco dopo la nascita, avvenuta nel 1933, è stata data in adozione prendendo il nome di Betty Morrell. La sua mamma naturale, Lena Pierce, poiché all’epoca aveva solo 13 anni, non poteva prendersi cura di lei. La famiglia adottiva, di Long Island, l’ha cresciuta come figlia unica regalandole un’infanzia felice. “Sono stata davvero contenta di essere stata adottata da questa famiglia, sono cresciuta come una bambina molto felice” ha dichiarato la Morrey. Ma come spesso accade, quando all’età di 30 anni ha scoperto che la sua madre biologica non era morta di parto ed era ancora in vita, è nato in lei il desiderio di conoscerla. Così, dopo la morte dei suoi genitori adottivi, Betty si è messa alla ricerca delle proprie origini. Una ricerca che ha incontrato molti ostacoli ma che alla fine, dopo ben cinquant’anni, ha avuto l’esito sperato: un duro lavoro che per la Morrey è valsa la pena. È stato grazie a sua nipote, Kimberly Miccio, che dall’età di 12 anni ha iniziato ad aiutare la nonna tramite internet. Dopo 20 anni di ricerche infatti, Kimberly, che adesso ha 32 anni, tramite il sito Ancestry.com è riuscita a contattare uno dei lontani parenti della nonna, che a sua volta l’ha messa in contatto con Millie Hawk, una delle quattro sorelle della Morrell. Dopo aver parlato con la sorella ritrovata, la Hawk si è precipitata dalla madre per raccontarle l’accaduto. “Appena gliel’ho detto è scoppiata in lacrime, racconta Hawk, e ha chiesto “hai trovato la mia Eva May?””. Così, nel mese di gennaio, dopo 80 anni, Betty Morrell, accompagnata dalla nipote Kimberly, ha potuto riabbracciare la madre ritrovata e sua sorella Millie. Questa storia ci viene a ricordare che nonostante l’adozione sia un meraviglioso strumento con il merito di restituire una famiglia al bambino che, per motivi contingenti, ha perso la propria, gli anni non diminuiscono il dolore della separazione tra una madre ed il proprio figlio. Per questo bisogna battersi senza sconti contro l’abominevole pratica dell’utero in affitto, da chiunque venga utilizzata: con essa il bambino viene deliberatamente e crudelmente privato della sua mamma. E dopo tutte le ragioni addotte contro la maternità surrogata, viene da chiedersi se esista ancora qualcuno che accetti la propria condizione umana con cristiana rassegnazione, soprattutto l’impossibilità biologica di avere dei figli senza viverla con frustrazione nell’imposizione violenta, verso un altro essere umano, dei propri desideri egoistici.

Corte di Giustizia Ue: “Un ovulo umano non fecondato è brevettabile”. La vita umana “commercializzata” tra orrore e aberrazione.
La decisione apre le porte all’utilizzo per scopi commerciali, per sperimentazioni e ricerca su malattie, ma anche alla vendita. Una decisione che ribalta quanto stabilito il 18 ottobre del 2011, quando la stessa Corte vietava lo sfruttamento commerciale dei farmaci ricavati da cellule staminali con procedimenti che comportano la distruzione degli embrioni umani. Un ovulo umano manipolato ma non fecondato può essere brevettato a fini industriali. Lo ha stabilito oggi la Corte di giustizia Ue. Nella loro sentenza i giudici europei hanno stabilito che, per essere qualificato come embrione umano, un ovulo umano non fecondato “deve necessariamente avere la capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano”. Quindi, per la Corte, un ovulo attivato per partenogenesi che abbia iniziato un processo di sviluppo non va considerato come un embrione umano. Qual è il significato pratico della decisione? Che se un ovulo umano che non è mai stato fecondato si sviluppa in laboratorio, può essere utilizzato con scopi commerciali, per sperimentazioni e ricerca su malattie, ma si presta anche ad essere comprato e venduto. Una decisione che ribalta quanto stabilito il 18 ottobre del 2011, giorno in cui la stessa Corte vietava la brevettabilità e quindi lo sfruttamento commerciale dei farmaci ricavati da cellule staminali con procedimenti che comportano la distruzione degli embrioni umani. Il caso sul quale si era espressa la Corte era quello del trattamento per il morbo di Parkinson messo a punto dal ricercatore tedesco Oliver Brustle, docente di Neurobiologia ricostruttiva all’Università di Bonn. Nel 1997 Brustle scoprì e brevettò un metodo per curare il Parkinson utilizzando cellule staminali ricavate da un embrione umano nello stadio di blastocisti, vale a dire circa cinque giorni dopo la fecondazione, trasformandole in cellule in grado di produrre tessuti nervosi. Contro la registrazione di un procedimento che utilizza gli embrioni come materia prima, aveva fatto ricorso la sezione tedesca di Greenpeace, che aveva ottenuto l’annullamento del brevetto da parte del Bundespatentgericht, il competente tribunale federale tedesco. Brustle ha pero’ fatto controricorso alla Corte federale di Cassazione che nel 2009 ha deciso di interpellare la Corte di Giustizia europea per avere una precisazione sulla nozione di “embrione umano”, visto che il ricercatore negava tale qualifica agli ovuli fecondati da meno di cinque giorni. E i giudici del Lussemburgo davano torto a Brustle. La direttiva comunitaria del 1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche prevede invece che non siano brevettabili le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali. Ma la sentenza della Corte di giustizia della Ue stabilisce che un organismo non in grado di svilupparsi in essere umano non costituisce un embrione umano ai sensi della direttiva: “La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito brevettabile un ovulo umano non fecondato. Un organismo non in grado di svilupparsi in essere umano non costituisce un embrione umano ai sensi della direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche – sostiene la Corte. Pertanto le utilizzazioni di un organismo del genere a fini industriali o commerciali possono essere, in linea di principio, oggetto di brevetto”.
Ma perché dovrebbe essere brevettabile l’ovulo non fecondato? La proprietà intellettuale, se vogliamo chiamarla brutalmente così, cioè l’innovativa creazione biologica dell’ovulo, avviene nel corpo di ogni donna. Quindi, stando alla legge sui brevetti, delle donne è la proprietà intellettuale di ogni ovulo umano. Così provocatoriamente mi chiedo: ma alle donne che forniranno la materia prima sulla quale hanno il brevetto in forza del “Diritto d’autore”, saranno riconosciute delle royalties per l’uso a scopo di ricerca, ma a fini di lucro, sull’ovulo non fecondato fornito?
O gli ovuli si intendono forniti a titolo di gratuito tributo all’umanità intera, mentre le royalties sui brevetti andranno alle industrie farmaceutiche cui viene con questa sentenza riconosciuta la libertà di ricerca e quindi il diritto alla “…brevettabilità di cellule uovo umane non fecondate” ed esclusivamente loro saranno quindi “i proventi di ciò che può derivare dalla loro attivazione”? Tenere fisso il ragionamento sull’embrione nell’emettere tale sentenza è saltare un passaggio fondamentale, cioè di chi sia la proprietà degli ovuli non fecondati che ora possono essere brevettati.
Il pretestuoso motivo della ricerca per trovare farmaci fondamentali per curare gravi malattie, non convince. Perché, se davvero avessero a cuore Corte e ricercatori la salute degli umani sulla Terra, dovrebbero tutti concentrarsi prima e soprattutto sui danni biologici provocati dalle fonti di inquinamento ambientale prodotti quotidianamente dalle aziende farmaceutiche, chimiche, agroalimentari, militari, etc., causa prima riconosciuta dalla scienza medica come responsabile dell’aumento di molte devastanti patologie. Senza contare poi che la Corte Europea, fosse una cosa seria e davvero terza nel prendere decisioni, dovrebbe quantomeno iniziare a imporre la gratuità di qualunque cura a chiunque, prima di aprire le porte degli uteri femminili allo scavo scientifico in quanto miniere di ovuli brevettabili a gratis, cioè utili a garantire futuri lucrosissimi brevetti a industrie farmaceutiche, le quali farmaci a gratis non li danno proprio a nessuno. A meno che non siano ovviamente farmaci in fase di test, nel qual caso si trovano cavie umane inconsapevoli e gratuite nei paesi sottosviluppati. O ancora, a meno che non si tratti di farmaci scaduti, nel qual caso sono ancora utilissimi per essere dispensati nelle favelas del terzo mondo così da porsi sul capo l’aura di azienda farmaceutica attenta al sociale. Credo che se ogni donna fosse consapevole dell’improvviso valore monetario che assume il suo utero, grazie alla mensile produzione di ovuli di scarto, potrebbe da oggi determinare con questa sola consapevolezza il valore di ogni vita partendo dal prezzo di un ovulo, ma non certo a prezzo della propria vita.
In America il Center for Bioethics and Culture, un network pro life, ha prodotto un documentario che ha appena vinto il premio del Festival californiano di cinema indipendente. Sono riportate interviste scioccanti a donne che hanno donato i loro ovuli, in Stati americani in cui la fecondazione eterologa è permessa. Le interviste ritraggono ragazze la cui vita è stata stravolta. A volte spezzata. Perché, allora, si chiedono alcuni medici nel video, non esiste letteratura scientifica in merito ai rischi della stimolazione ovarica necessaria per la donazione di ovuli? Perché nei campus dei college, nei media e sui giornali esistono pubblicità che offrono centinaia di dollari in cambio di ovuli, in nome del fatto che quel gesto “aiuterà un altro a realizzare il suo desiderio”? Se si cercasse di rispondere, l’industria della fertilità, che in America fattura miliardi di dollari l’anno, dovrebbe chiudere i battenti.
Nel documentario Cindy racconta di aver trovato su un’inserzione del giornalino dell’università una pubblicità per reclutare donne che avevano ricevuto un’educazione eccellente e che avessero certe caratteristiche, come condizioni per donare i loro ovuli in cambio di soldi: “Cercai di sapere se c’erano complicazioni, ma non trovai nessuno studio sui rischi della stimolazione ovarica”. Alexandra spiega angosciata: “Volevo finire il dottorato e mi mancavano i soldi. Mi avrebbero dato 3 mila dollari. Giusto quello che serviva a me. E, in più, mi dicevo, avrei aiutato una coppia sterile”. Kella, dopo aver preso i medicinali per incrementare l’ovulazione, ha avuto un ictus, una paralisi, danni al cervello e ha rischiato la morte: “Mi avrebbero dato 50 mila dollari viste le mie caratteristiche”, spiega la ragazza. La ventenne Jessica ha donato ovuli per tre volte. Poi un cancro al colon l’ha uccisa. “È morta a 34 anni – spiega la madre – era una compositrice di musica classica, avrebbe potuto fare tanto. Ma ora non c’è più”.
L’industria della fecondazione, spiega il documentario, attualmente fattura 6 miliardi e mezzo di dollari l’anno. E opera senza sorveglianze né regole. Quel che si sa è che il 70 per cento dei cicli di stimolazione ovarica fallisce. E che in generale i rischi, assenti dalla letteratura fino a poco tempo fa, sono cancri al seno, all’ovaio e all’endometrio, infertilità futura, emorragie, ictus, infarti, paralisi e morte. (“Assessing the medical risks of human oocyte donation. From stem cell research”, L.Giudice, E. Santa and R. Pool eds, Washington, D.c., National academies of science, 2007).
Ma chi sono le clienti dell’industria? Alcune ragazze universitarie affermano: “Ci cercano, ci offrono soldi, ma non ci parlano degli effetti della pratica. Fanno leva sul fatto che molte di noi si indebitano per studiare”. In effetti la prima reazione di alcune ragazze, ignare di tutto e a cui viene mostrata un’inserzione, è di esclamare: “Centomila dollari se hai caratteristiche particolari? Sono tantissimi soldi!”. Il fisico normalmente non può produrre più di uno o due ovuli al mese, si capisce quindi che cercare di produrne a centinaia è una violenza per il corpo, spiega ancora la voce di sottofondo al video. Intanto il filmato mostra le fasi della stimolazione. La prima è quella che serve a frenare le funzioni delle ovaie con le medicine. La seconda stimola l’iperovulazione. La terza fa sì che gli ovuli siano rilasciati dalle ovaie. Da ultimo si procede con l’operazione chirurgica, che serve a estrarle dal corpo della donna.
Alexandra andava avanti anche se, “dopo nove giorni dal trattamento, iniziai a sentirmi male. È il dolore peggiore che abbia mai sofferto nella mia vita. Andai in bagno e svenni. Quando ripresi coscienza chiamai un amico. Mi portò alla clinica, ma lì mi dissero che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Erano solo dolori mestruali più forti. Mi mandarono a casa con gli antidolorifici. Ci rimasi sette giorni, a letto e in uno stato di trans”. Dopo altre due settimane di crampi e vomito, il dottore accettò di rivisitarmi”. A Cindy dicevano di non preoccuparsi. Erano disturbi mestruali: “La compagnia assicurativa dell’agenzia di donazione di ovuli mi contattò solo per sapere se la mia assicurazione copriva eventuali complicanze”. Alexandra racconta di aver vomitato feci per un’intera notte. Solo a quel punto la clinica accettò di rivisitarla: “Il medico mi guardò l’addome: era pieno di sangue. Impallidì, mi fissò e disse: “Alexandra, so cosa sta succedendo. Le tue ovaie sono attorcigliate intorno alle tube, proveremo a salvarle, ma non è detto che ci riusciremo”. Alla fine me le tolsero. Quello che mi lascia ancora senza parole è che se non avessi insistito per farmi visitare, sarei morta. Hanno riconosciuto il danno solo dopo tre visite e venti giorni di dolori consecutivi. Ma non è finita qui. In seguito ebbi gravi problemi all’intestino. Persi 12 chili e ci vollero dei mesi perché mi riprendessi”. È giusto, si chiede la voce del documentario, che una donna, anche se il corpo e la natura non le permettono di avere figli, possa ingannarne un’altra, attentandone per sempre la salute (se non la vita) pur di avere ciò che vuole?
Jacqueline, una ragazza con problemi di fertilità, è morta in seguito a una stimolazione dello stesso tipo di quelle sopra descritte senza sapere che “l’iper stimolazione delle ovaie può causare infarto, ictus, emorragia o morte”, prosegue la dottoressa Parisian.
Nel 2009, lo Stato di New York ha reso legale la compravendita di ovuli, continua la voce del filmato che rilancia le parole di Alexandra: “La mia storia, le nostre storie, non sono contemplate in nessuna ricerca scientifica. Non c’è un dato, altrimenti sarebbe la fine di questa industria miliardaria”. Il video si conclude con una domanda a chi vuole avere un figlio a tutti i costi: “Lo faresti a rischio della salute e della vita di un’altra donna?”. E a chi vuole donare i suoi ovuli: “Sei davvero pronta a sacrificare la tua salute o la tua vita per soldi? Siamo sicuri che si tratti di filantropia?”. Kella chiude laconica: “Cosa dire, se non che non potrò mai più avere un figlio?”.

Morte per vita: il lucroso commercio con i corpi dei condannati a morte.
L’e-shopping dei “pezzi di ricambio”. In Sudafrica, conosciuto per il prelievo illegale di organi negli obitori della polizia. In India dove, con il pretesto di effettuare le analisi necessarie a trovare lavoro, si viene ricoverati e ci si risveglia con un rene in meno. Ne sanno quacosa anche i condannati a morte cinesi, depredati dei loro organi prima dell’esecuzione. 
Afghanistan: durante il loro regime, centinaia di bambini dai quattro ai dieci anni sono stati rapiti in strada, i genitori li ritrovano qualche giorno dopo tra le immondizie senza cuore, occhi e reni. Un trapianto può salvare una vita, ma quante può distruggerne?

Italia: punto di snodo dei traffici di esseri umani.
Il prezzo di mercato di un clandestino cinese è normalmente di 30 milioni di lire. Ogni tanto qualcuno viene trattato a 200-300, perchè? Dato che di solito ha le stesse capacità lavorative di un altro, vuole dire che questo “portatore” ha un valore aggiuntivo: venderanno i suoi organi. Si formulano le ipotesi dell’uccisione deliberata di un uomo o di un bambino per espiantargli abusivamente fegato, reni o altro per poi metterli sul mercato.
La mafia e il traffico di esseri umani si sono fatti talmente ampi e diversificati che non possono essere trattati con la mentalità investigativa di una rapina. Le indagini sono sempre precedute da una fase preparatoria, si innestano rapporti di collaborazione col resto del mondo. Sono leggende metropolitane i racconti che parlano di bambini rapiti e trovati dopo un pò con i segni di un’operazione? Non ci sono al momento risconti oggettivi in Italia. Il paese più a rischio di “impianto” è la Turchia. Se uno ha bisogno di un fegato “clandestino” pare debba fare un viaggetto a Istanbul.
Se andiamo più indietro nel tempo, in Honduras c’erano le cosiddette “case da ingordo” (in spagnolo da ingrasso) dove i bambini di strada venivano raccolti e ingozzati di cibo perchè gli organi da impiantare fossero più forti e robusti. Altri paesi hanno bloccato le adozioni internazionali, celavano traffici di questo tipo. Perchè se ne occupa la Procura di Trieste? Noi esercitiamo una leadership internazionale. Abbiamo impiantato un sistema tarato sul traffico di persone in base a studi elaborati al Dipartimento di economia dell’università di Chicago. Analizzano la nascita di mercati illegali e stabiliscono la correlazine costante tra la nascita del mercato e l’ingrasso della criminalità organizzata. E’ una teoria che non viene dalla criminologia, ma dall’economia. Non è un caso che siano gli economisti a dare le migliori indicazioni in materia di crimine organizzato. Perchè proprio a Trieste? Per il confine con la Slovenia. E’ il centro strategico per tutti i flussi migratori provenienti dall’est verso l’Europa. Il carattere lento rendeva la cosa meno evidente. Gli sbarchi in Puglia o in Calabria erano eclatanti con gommoni, ma dal punto di vista numerico era qui che stava sorgendo il vero “mercato”. E’ uno snodo fondamentale via terra, e adesso anche via mare. Abbiamo allacciato rapporti efficaci con la Slovenia. Ora dobbiamo stabilirne con la Croazia per chiudere la rete investigativa. Incarcerati e processati 668, molti dei quali condannati a pene definitive. Dove vive fisicamente questa nuova mafia? Gli investigatori hanno individuato 8 cosche in Slovenia, 7 nelle Filippine, altrettante nel Bangladesh, 16 in Cina, alcuni in Turchia. Praticamente tutta la rete intermedia.
Recentemente a Kathmandu la polizia nepalese ha scoperto un nuovo itinerario utilizzato dai trafficanti di donne per far viaggiare le schiave del sesso tra Nepal, India e Sri Lanka, per poi venderle nei Paesi del Medio Oriente e in Africa. A guidare gli inquirenti è stato l’arresto di una ragazza nepalese, Pooja, 28 anni, proveniente dal distretto di Banke e fermata a New Delhi l’11 gennaio con documenti falsi. Balkrishna Pandey, membro di Maiti India, un’organizzazione che combatte il traffico di donne, ha dichiarato di aver “iniziato il processo legale per assicurare il rilascio di Pooja”. Negli ultimi tempi, la tratta Kathmandu-New Delhi-Colombo è diventata una delle più frequentate dai trafficanti di schiave del sesso, che attirano giovani ragazze con la promessa di un lavoro come governanti nei Paesi del Golfo. Gli schiavisti poi rubano i documenti alle donne, per immetterle nel mercato di esseri umani. Le donne nepalesi dalla pelle chiara sono quelle vendute al prezzo più alto. Una settimana fa altre cinque ragazze sono state fermate a Kathmandu: erano dirette a Colombo via New Delhi. Secondo l’ambasciatore nepalese in India, i trafficanti hanno escogitato più modi per portare le donne nei Paesi del Golfo con documenti falsi e spacciandole per lavoratrici migranti: “Siamo stati informati che mandano le donne a Dhaka o Colombo attraverso gli aeroporti indiani, prima di destinarle ad altri Paesi”.
Per quanto riguarda l’ingresso di minori accompagnati da terzi, il fenomeno sta aumentando. Possono essere avviati alla prostituzione, al mercato della pedofilia, ai furti negli appartamenti, all’accattonaggio. E aleggia sempre il traffico d’organi. Come funziona questa “agenzia di viaggi”? Se un cinese vuole emigrare in Europa si mette in contatto con l’organizzazione. Un’adetto va a casa sua, e lo compra pagando 10 milioni ai parenti. Lo porta in Europa e lo tiene in stato di detenzione. Lo sequstra, fino a quando si fa avanti un terzo, che può essere un suo parente, o un gestore di ristorante cinese, che lo riscatta. A quel punto è “libero” e l’organizzazione ha guadagnato. Anche per le prostitute funziona così. Le ragazze vengono prezzate, secondo le caratteristiche fisiche e le conseguenti aspettative di reddito. Guardano i denti, le tette… Quando li prendiamo imputiamo loro il reato di schiavitù. I guidatori di taxi, per fronteggiare il mercato, da piccoli artigiani sono diventati imprenditori. Gli italiani non pilotano flussi di connazionali, non ci sono flussi di emigranti italiani. Ci sono molti italiani nella rete.
Trieste è il luogo d’ingresso dei clandestini. Hanno tutto l’interesse di allontanarsene subito perchè se vengono beccati a Trieste vengono respinti, non espulsi. Siamo una zona di frontiera. La migrazione è un diritto naturale dell’uomo. Va regolamentato, non lo si può demonizzare. La nostra legge non riconnette alcun illecito penale all’ingresso illegale di immigrati. E’ sanzionato con l’espulsione o il respingimento, mentre ricollega sanzioni penali molto forti allo sfruttamento del fenomeno alla questione del mercato nero dell’immigrazione. A questa impostazione si oppone quella che, anche in chiave politica e ideologica, tende a ritenere che la migrazione sia un problema criminologico ed enfatizza il pericolo dello squilibrio sociale.
La scienza che genera mostri
Il Regno Unito è diventato il primo paese occidentale ad autorizzare la produzione o la manipolazione dei geni di embrioni umani. L’Ente per la Fertilizzazione Umana e per l’Embriologia (HFEA, la sigla in inglese) ha dato la sua approvazione alla ricercatrice Kathy Niakan del Francis Crick Institute di Londra, a condizione che la manipolazione sia esclusivamente a fini di ricerca e che gli embrioni non vengano impiantati in donne sotto trattamento di fertilizzazione. Nella sua istanza alle autorità mediche, la dottoressa Kathy Niakan ha comunicato che la finalità della sua ricerca sarà quella di “capire meglio quali siano i geni dei quali un embrione umano abbia bisogno per diventare un bambino sano…”. 
Questa ricercatrice è specializzata nello studio dei blastociti, gli embrioni che si sviluppano nella prima settimana di gestazione e che contengono da 200 a 300 cellule, già organizzate in “codici” specifici. La metà delle fertilizzazioni in vitro, in genere non superano questa fase. 
La finalità, assicura, sarà quella di cercare di capire le cause della bassa probabilità di successo della fecondazione in vitro, visto che di circa 100 ovociti fecondati, meno di 13 riescono a svilupparsi oltre i tre mesi. L’investigatrice britannica assicura che il suo scopo è quello di un migliore trattamento di fertilizzazione e non una “migliore genetica” embrionale. All’inizio di quest’anno, Kathy Niakan aveva spiegato che “Potremmo capire di quali geni abbia bisogno l’embrione umano per svilupparsi con successo”. “Una delle ragioni per cui gli aborti sono tanto frequenti così come i problemi di fertilità, è perché non si è ben compreso questo periodo di sviluppo”. Questo sarebbe il secondo gruppo al mondo autorizzato alla produzione genetica di embrioni. Il primo fu un centro cinese che ha pubblicato i suoi risultati sulla rivista Protein & Cell, nell’aprile del 2015. I ricercatori hanno utilizzato in questo caso, 86 embrioni umani per vedere se si poteva modificare il gene HBB, la cui mutazione è responsabile della malattia detta beta-talassemia. Questo studio è stato immediatamente condannato da alcuni ricercatori statunitensi, che hanno giudicato questa pratica “pericolosa, prematura e che suscita questioni etiche” perché apre la porta a “bambini fatti su misura”, nonostante i ricercatori cinesi abbiano utilizzato embrioni non vitali. Ora, lo studio approvato nel Regno Unito, che ha avuto anche il nulla osta da parte di un comitato etico, includerà un impiego che potrà raggiungere i 30 embrioni per ciascuno dei tre geni sui quali si cercherà di lavorare. “Crediamo che la nostra ricerca potrebbe migliorare la conoscenza dei primi stadi della vita umana”, ha affermato Niakan. “Se riusciamo a capire meglio i geni, potremmo realmente aiutare a migliorare i trattamenti dell’infertilità e fare luce sulle cause degli aborti”.
Un portavoce della HFEA, ha dichiarato che “l’autorizzazione del Comitato ha approvato un’istanza della dottoressa Kathy Niakan, dell’Istituto Francis Crick, per il rinnovamento della patente di ricerca per il suo laboratorio che includa la produzione di embrioni…”.
In questo processo di creazione genetica, verrà impiegata la nuova tecnica sviluppata a questo scopo, denominata CRISPR, che è in grado di “tagliare e congiungere pezzi di DNA…”. Tuttavia, alcuni scienziati temono che questa tecnica apra la porta ad un cambiamento irreversibile della specie umana.
”Permettere questa tecnica, ha dichiarato al Telegraph Calum Mackellar, direttore dello Scottish Council on Human Bioethics, apre la strada al cambiamento genetico di tutti i discendenti di una persona, allo stesso modo in cui l’eugenetica condannò tutte le società civilizzate dopo la Seconda Guerra Mondiale”. “Le tecnologie per la creazione di embrioni, toccano temi molto sensibili, e quindi è opportuno che vengano valutate tutte le implicazioni etiche prima di procedere”, ha dichiarato alla BBC la D.ssa Sarah Chan, dell’Università di Edimburgo.
L’umanità è davvero giunta ad un bivio, ad un punto critico? Quando l’uomo arriva a cannibalizzare se stesso, inizia un processo di involuzione che altre civiltà prima della nostra hanno pagato a caro prezzo: l’estinzione.

Nella foto: ragazzo somalo a cui hanno spiantato un rene, reportage d Ng, Choucha 2012.