Libia. al-Serraj a Mosca per bloccare le iniziative di Haftar. E Lavrov, ‘dovete arrangiarvi’

di Enrico Oliari

La Russia sta mantenendo in tema di crisi libica un atteggiamento di prudenza rendendosi disponibile al massimo per una mediazione, anche perché nel paese nordafricano permane la netta contrapposizione politica e militare fra il governo riconosciuto dall’Onu, guidato da Fayez al-Serraj, e la parte “di Tobruk”, frutto delle elezioni del 2014 e guidata da Abdullah al-Thinni, ma de facto dal potente generale Khalifa Haftar.
Quest’ultimo ha in più occasioni cercato l’appoggio del Cremlino anche per le forniture militari recandosi in novembre a Mosca e poi sulla portaerei Admiral Kuznetsov di rientro dalla Siria, ma sia il ministro degli Esteri Sergei Lavrov che quello della Difesa Sergei Shoigu hanno indicato la volontà della Russia di non essere implicata militarmente ed hanno quindi mantenuto una debita distanza.
Ed oggi a Mosca è arrivato il premier al-Serraj per ottenere il coinvolgimento perlomeno politico di Mosca nella soluzione della crisi ma anche per bloccare le iniziative di Haftar, una visita che ha trovato piena disponibilità da parte de ministro Lavrov in quanto, come ha riferito il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, “la Federazione è interessata alla costituzione di un governo stabile in Libia che possa lanciare il processo di ricostruzione”.
Lavrov ha così spinto per l’avvio di un “dialogo nazionale inclusivo” in Libia, senza interventi militari in quanto “Siamo convinti che solo il popolo libico possa essere in grado di superare la crisi attuale. Serve quindi una riconciliazione nazionale attraverso il dialogo”.
Saltano così i piani di Khalifa Haftar, il quale intendeva servirsi del supporto russo (era arrivato persino a promettere una base militare in Cirenaica) e dei legami con le tribù del Fezzan e con i gruppi fedeli all’ancien régime per aggirare da sud la parte controllata dal governo di unità nazionale.
D’alto canto la figura di Haftar è ingombrante per tutti, certamente anche per i russi: il generale avrebbe voluto essere nominato ministro della Guerra nel governo di unità nazionale, ma i suoi detrattori lo accusano di essere stato al soldo di Washington in quanto, fatto prigioniero nel 1987 dall’esercito ciadiano in occasione della “Guerra delle Toyota”, è stato poi prelevato dalla Cia e portato negli Usa, dove vi è rimasto fino al 2011 per ricomparire in Libia a comandare la piazza di Bengasi nell’insurrezione che ha portato alla deposizione di Muammar Gheddafi.
Per Lavrov, che ha definito “Mosca un vecchio amico della Libia”, è invece necessario mantenere una prudente distanza dal caos libico, al massimo proponendosi per una mediazione anche per non avviare tensioni con le Nazioni Unite, che dopo Bernardino Leon e Martin Kobler hanno come inviato il palestinese Salam Fayyed, e con l’Italia, che nella risoluzione della crisi riveste un ruolo di primo piano.
E così sia Haftar che al-Serraj da Mosca hanno incassato un sereno augurio a farcela da soli, con Lavrov che si è limitato a garantire “l’impegno a che si creino le condizioni perché siano i libici stessi a risolvere i loro problemi”.

Nella prima foto il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Nella seconda foto il premier del governo libico di unità nazionale Fayez al-Serraj.