di Enrico Oliari –
Il premier libico del governo riconosciuto dalla comunità internazionale Fayez al-Serraj e l’uomo forte “di Tobruk” Khalifa Haftar si sono incontrati oggi nei pressi di Parigi con il presidente Manuel Macron e con l’inviato dell’Onu per la crisi libica Ghassem Salemè, libanese ed ex professore universitario proprio a Parigi, succeduto al tedesco Martin Kobler.
La Francia si è insomma messa di traverso alla lunga e faticosa mediazione italiana, di fatto raccogliendone i frutti, per quanto si tratti dello stesso paese che per primo ha bombardato la Libia di Muammar Gheddafi senza neanche attendere il via libera delle Nazioni Unite.
D’altro canto gli interessi della Francia in Libia sono soprattutto le risorse petrolifere (è già presente con la Total), ed anche in questi anni di marasma libico vi sono stati e vi sono tutt’oggi militari francesi in veste di “osservatori” proprio dalle parti di Tobruk.
Senza essere troppo dietrologisti va ricordato che da tempo la Francia sta mettendo in Libia i bastoni fra le ruote all’Italia, probabilmente nel quadro di una sorta di ripicca per quanto avvenne nel 1987, quando il presidente tunisino Habib Bourghiba fu destituito con un piccolo golpe definito “dei camici bianchi”, cioè per “incapacità psicofisica”, ed al suo posto i servizi italiani misero Ben Alì, cosa confermata nel 1999 in audizione dal capo del Sismi Fulvio Martini: lo scopo era quello di strappare alla Francia la zona di influenza, ed oggi i francesi punterebbero a prendersi la loro fetta di Libia lasciando all’Italia la Tripolitania, dove comunque si concentrano gli interessi di Roma.
Macron ha garantito che dal processo di oggi “nessuno verrà escluso” e che “l’Italia è stata informata di ogni passo”, ma sta di fatto che il terzo incontro tra i due leader libici è stato organizzato come un’iniziativa propria e improvvisa dell’Eliseo, senza andare troppo sul diplomatico e sul rispetto del lavoro fatto in primis dalla Farnesina, funzionale per ogni tipo di dialogo fra le due parti.
E così al-Serraj e Khalifa Haftar si sono trovati d’accordo su due punti centrali, cioè il cessate-il-fuoco e lo svolgimento di elezioni appena possibile.
L’immagine principale è stata la stretta di mano fra al-Serraj e Haftar, la quale non c’era stata in occasione dell’incontro di maggio ad Abu Dhabi.
Nel suo intervento conclusivo Macron ha affermato di credere che “oggi la causa della pace in Libia abbia fatto grandi progressi” e “ringrazio il capo del governo libico Fayez al-Serraj e il maresciallo Khalifa Haftar per essersi adoperati per la via di riconciliazione nazionale in sostegno degli sforzi dell’inviato Onu Ghassem Salamè: solo tramite il dialogo la pace può vincere”.
Il presidente francese ha osservato che “sono state registrate grazie all’esercito nazionale libico vittorie contro l’Isis e nel contempo il presidente del consiglio libico al-Serraj ha cercato di ricostruire gli organi statali”. “C’è stato – ha osservato – un fondamentale lavoro per la riconciliazione e la pace svolto dall’Ue e sopratutto dall’Italia, ringrazio il mio amico Paolo Gentiloni, e dalla Tunisia, dall’Egitto, dal Marocco, dall’Unione Africana, ed oggi Khalifa Haftar e Fayez al-Serraj possono essere i simboli della riconciliazione e dell’unità nazionale”.
Rivolgendosi a loro Macron ha detto che “vi siete impegnati a rinunciare alla lotta armata salvo quella contro i gruppi terroristici, cioè al cessate-il-fuoco, ad un processo elettorale per elezioni in primavera sulla base di quanto stabilito a Skhirat, inclusive e che diano un posto a tutti i gruppi politici”.
“E’ grandissima – ha continuato – la posta in gioco, per il popolo libico che ha sofferto e soffre, e per la regione: se fallisce la Libia, fallisce la regione: se non poniamo fine alla crisi, continuano il terrorismo e i traffici, elementi legati, traffici di armi e di esseri umani che alimentano le vie dell’immigrazione, di cui i solo beneficiari sono i terroristi; e poi i traffici finanziari, che consentono al terrorismo di essere determinante nella regione”.
“Farò di tutto per accompagnare i vostri sforzi e per lottare contro i terroristi in Libia e nel Sahel”.
Dall’incontro non sono trapelati i dettagli, cioè i tempi ed i modi del cessate-il-fuoco e il ruolo di Haftar, che comunque punterebbe ad essere quantomeno ministro della Difesa se non premier di un ipotetico governo unico.
Non vi è stato neppure l’atteso riconoscimento ufficiale da parte di Haftar del governo di Unità Nazionale “di Tripoli”, per quanto la stretta di mano fra i due leader libici sia stata eloquente.
Resta anche da capire perché all’incontro sia stato presente per la parte di Tobruk il capo dell’esercito e non il presidente del consiglio, Abdullah al-Thinni.
Si noti che Haftar è malvisto specialmente dalle milizie islamiste, in quanto viene accusato di essere stato al soldo di Washington poiché, fatto prigioniero nel 1987 dall’esercito ciadiano in occasione della “Guerra delle Toyota”, è stato poi prelevato dalla Cia e portato negli Usa, dove vi è rimasto fino al 2011 per ricomparire in Libia a comandare la piazza di Bengasi nell’insurrezione che ha portato alla deposizione di Muammar Gheddafi.
Fatto sta che Haftar, che in barba all’embargo ha ricevuto armi dall’asse emiratino-egiziano, controlla con il suo esercito buona parte della Cirenaica e soprattutto la mezzaluna del petrolio, dove ci sono i principali giacimenti, mentre il governo “di Tripoli” continua ad essere traballante e limitato dagli egoismi dei capitribù e delle milizie di ogni ordine e grado, comprese quelle salafite.