Trump, ‘via dalla Cop 21’. La Cina pronta a collaborare con l’Ue

di Enrico Oliari –

Il presidente Usa Donald Trump ha comunicato la sua decisione sul clima, “L’accordo negoziato da Obama impone target non realistici per gli Stati Uniti nella riduzione delle emissioni, lasciando invece a paesi quali la Cina un lasciapassare per anni”.
Già in occasione del G7 di Taormina quello del clima è stato uno scoglio insormontabile, con posizioni estreme di Usa e Francia il cui presidente Emmanuel Macron aveva fatto sapere che sugli accordi di Parigi 2015 della Cop21 non erano previste deroghe. Trump, che già in campagna elettorale aveva affermato che “i cambiamenti climatici sono una bufala inventata dai cinesi per indebolire l’industria americana”, si era riservato una settimana per prendere una decisione e quel momento è arrivato: considerando che “l’accordo sul clima costerebbe agli americani 3 miliardi di dollari e 2 milioni e mezzo di posti di lavoro”, “gli Stati Uniti cominceranno a negoziare un nuovo accordo,  che sia giusto. Se ci riusciremo benissimo, altrimenti pazienza”.
L’ex presidente Barak Obama gli ha ribattuto che “L’amministrazione Trump si sta unendo a una piccola manciata di nazioni che rifiutano il futuro”.
La marcia indietro di Trump sugli accordi della Cop21 crea molte incognite sul futuro del pianeta, casa comune, se si pensa che Usa e Cina producono il 38% di emissioni di Co2 nel mondo.
Barak Obama aveva sottoscritto in modo plateale, con in braccio una bambina simbolo delle generazioni future, quanto stabilito a Parigi e cioè l’obiettivo (articolo 2) di tenere “ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali” il riscaldamento del pianeta, la cui causa è proprio l’aumento della Co2; di (articolo 3) “raggiungere il picco delle emissioni di gas serra il più presto possibile” per poi arrivare a “rapide riduzioni” e a “un equilibrio tra le emissioni da attività umane e le rimozioni di gas serra nella seconda metà di questo secolo”; che (articolo 9) i paesi sviluppati e quindi più inquinanti sostengano finanziariamente gli altri paesi, “100 miliardi di dollari l’anno da qui al 2020”, per iniziative a favore del clima come il passaggio alle energie rinnovabili.
Da questa sponda dell’Atlantico i tre leader europei Paolo Gentiloni, Angela Merkel e Emmanuel Macron, esprimendo “rincrescimento per la decisione degli Stati Uniti di ritirarsi dall’accordo sul clima”, hanno emesso una dichiarazione congiunta in cui viene riportato che “L’Accordo di Parigi rimane una pietra angolare della cooperazione tra i nostri paesi per affrontare efficacemente e tempestivamente i cambiamenti climatici e per attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda del 2030. Crediamo fermamente che l’accordo di Parigi non possa essere rinegoziato, in quanto strumento vitale per il nostro pianeta, le società e le economie. Siamo convinti che l’attuazione dell’accordo di Parigi offra grandi opportunità economiche per la prosperità e la crescita nei nostri paesi e su scala globale”.
Che il pianeta sia in sofferenza è sotto gli occhi di tutti: proprio ieri Adrian Luckman, della Swansea University (Gb), ha reso noto che sono stati rilevati gravi sviluppi nella frattura esistente sulla piattaforma glaciale Larsen C, in Antartide, nella zona nord-occidentale del mare di Weddel, “La spaccatura si è allungata di altri 16 chilometri, con una deviazione significativa verso destra nella sua parte finale, quindi mancano appena 13 chilometri dal bordo della piattaforma”. Potrebbe quindi accadere che si stacchi un lastrone di ghiaccio di 5mila chilometri quadrati, ed anche questo è l’ennesimo segno dei cambiamenti climatici in corso.
La spaccatura, questa volta di Trump e non del ghiaccio, rischia di avere ripercussioni geopolitiche importanti, con un’Europa che si troverebbe ad avere a che fare con il mercato Usa la cui produzione non rispetterebbe l’impegno comune sottoscritto a Parigi. Un gap ecologico ed economico che potrebbe accelerare una nuova stesura dei commerci e dei partenariati, si pensi al progetto della Nuova Via della Seta, 900 miliardi di investimenti.
Difatti, incontrando a Berlino la cancelliera tedesca Angela Merkel, il premier cinese Li Keqiang ha affermato che “La Cina continuerà a mettere in atto le promesse fatte al momento dell’accordo di Parigi” anche se gli Usa dovessero sfilarsi. Gli ha fatto eco la portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, per la quale “Non importa se altri cambiano idea, continueremo a seguire un modello di sviluppo sostenibile”, “Vogliamo lavorare con l’Ue per rafforzare comunicazioni e cooperazione pratica sul cambiamento climatico”.
A Berlino Li Keqiang ha incontrato la Pesc Federica Mogherini e il capo della commissione Jean-Claude Juncker in vista della sottoscrizione di domani di un documento comune proprio sul clima. Nella bozza della dichiarazione congiunta si legge che Ue e Cina “sono fermamente impegnate a lavorare insieme a tutti i paesi donatori per combattere il cambiamento climatico”, a mettere in atto l’agenda 2030 dello sviluppo sostenibile ed a “promuovere un basso livello di emissioni di gas serra”, (…) “Ue e Cina si impegnano a intensificare significativamente la loro cooperazione politica, tecnica, economica e scientifica sul cambiamento climatico e sull’energia pulita, in vista della necessaria trasformazione mondiale verso risorse efficaci, sostenibili, con basse missioni ed economie e società resilienti”.
Juncker ha anche inviato un avvertimento a Washington affermando che se gli Usa “lasceranno davvero la scena mondiale, il vuoto che si creerebbe sarà occupato e i cinesi sono nella stanza dei bottoni quando si tratta di prendere la guida”.
Per la Russia è intervenuto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, il quale ha fatto notare che “il presidente Putin ha firmato nel 2016 la convenzione a cui la Russia attribuisce grande importanza. Ma c’è bisogno che venga sottoscritto dai Paesi chiave in vista dell’attuazione degli impegni. Non esiste alternativa rispetto a questo meccanismo di entrata in vigore”.