Yemen. L’Unicef denuncia la situazione drammatica dei bambini

di C. Alessandro Mauceri –

Delle conseguenze del conflitto in Yemen si è parlato molte volte. A confermare che la situazione sta diventando insostenibile è l’Unicef. Nel giorno in cui la guerra nello Stato più povero del Medio Oriente entra nel suo terzo anno, l’organizzazione parte delle Nazioni Unite ha pubblicato il rapporto “Falling through the Cracks”. I numeri riportati sono spaventosi a cominciare dal livello di povertà ormai diffusa: circa l’80% delle famiglie yemenite sono pesantemente indebitate e metà della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno.
Una situazione che gli sforzi internazionali per “portare la democrazia e la pace nel paese” non sono riusciti a risolvere ne’ tanto meno a limitare. Nonostante la differenza delle forze in campo, la situazione continua a peggiorare: nel 2016 il numero di bambini uccisi è cresciuto da 900 a oltre 1.500. Quello dei bambini feriti è quasi raddoppiato, passando da 1.300 a 2.450.
Aumenta anche il numero dei soldati bambini (ne parlammo proprio qualche tempo fa) : gli arruolamenti di minorenni reclutati per essere utilizzati nei combattimenti sono passati da 850 casi a 1.572.
Essere bambini nello Yemen è ormai praticamente impossibile. Anche semplicemente andare a scuola comporta rischi elevatissimi: gli attacchi armati contro le scuole sono quadruplicati, dai 50 del 2015 ai 212 dello scorso anno. Per non parlare del fatto che, anche chi volesse o potesse andare a scuola non ha la “scuola”: 1.600 scuole non sono più agibili poiché distrutte o lesionate gravemente, alcune sono state trasformate in rifugi per gli sfollati o occupate dai soldati. La conseguenza è che oltre 350mila bambini non ricevono più alcuna educazione: oggi sono ormai 2 milioni i bambini yemeniti che vivono al di fuori dal sistema scolastico. Una carenza che causerà serie conseguenze nei prossimi anni: senza la scuola aumenteranno i casi di analfabetismo, di mancanza di professionalità e tutto questo, inevitabilmente, avrà ricadute sulla ripresa e sull’economia del paese. Una situazione che non potrà non peggiorare la crisi economica che dilaga.
Ma non sono solo questi i numeri riportati nel rapporto. In Yemen chi si fa male non può neanche andare in ospedale o al pronto soccorso: gli attacchi diretti verso queste strutture, lo scorso anno, sono passati da 63 a 95. Nel paese 14,5 milioni di persone non hanno accesso a fonti di acqua potabile e a cure mediche adeguate e i peggiori timori si sono purtroppo trasformati in realtà: l’epidemia di colera e di diarrea acuta che si sono manifestate nel 2016 non pare possano essere arginate, ed oggi sono 22.500 i casi sospetti.
Le conseguenze di questa guerra segneranno la popolazione e i minori per molti e molti anni. Anche se la guerra dovesse finire oggi, i bambini che vivono nello Yemen continueranno a soffrirne le conseguenze per tutta la vita: a causa dei disagi patiti negli ultimi anni e della carenza di materie prime, mezzo milione di bambini soffre di malnutrizione acuta grave (il 200% in più rispetto al 2014) ed è aumentato il rischio di carestia, entrambi fattori che avranno effetti gravi sullo sviluppo. Già oggi un bambino su due presenta problemi di ritardo nella crescita.
Secondo il rapporto dell’Unicef, nel paese tutto il sistema sociale nel suo insieme sta collassando: 14,4 milioni di persone sopravvive solo grazie agli aiuti umanitari, il Pil è crollato di un terzo dal 2014 ad oggi, i prezzi dei beni di prima necessità sono lievitati del 26% e il costo della vita è più alto del 40% rispetto a prima dello scoppio del conflitto. Tutti i servizi pubblici non esistono più: 6,9 milioni di lavoratori del pubblico impiego sono senza salario da troppo tempo
È questa la situazione oggi dei bambini nello Yemen. Un costo troppo alto per un conflitto civile dietro al quale vi sono gli interessi delle potenze straniere.

La guerra nello Yemen ha preso il via nel gennaio 2015 a seguito del golpe degli houthi (sciiti), dietro al quale vi sarebbe l’Iran (che però nega): per mesi i ribelli avevano chiesto invano alcuni riconoscimenti come l’inserimento di 20mila appartenenti alla minoranza sciita nelle forze armate governative, l’assegnazione di 10 ministeri e l’inclusione nella regione di Azal, di Hajja e dei governatorati di al-Jaw. L’intervento della coalizione a guida saudita e che vede coinvolti Egitto, Sudan, Giordania, Marocco, Bahrain, Qatar e Emirati Arabi Uniti, ha permesso la ripresa di una parte dei territori, in particolare del governatorato di Aden, roccaforte del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, mente la capitale e le zone dei principali impianti petroliferi resta saldamente in mano ai ribelli sciiti, che sostengono l’ex presidente Ali Abdallah Saleh.
A nulla sono valsi fino ad oggi gli sforzi dell’Onu per arrivare almeno ad una tregua duratura, promossi dall’inviato Ould Cheikh Ahmed.