Oecd: vanno meglio i paesi che non rispettano le regole. Mentre l’Italia…

di C. Alessandro Mauceri

OecdDi recente sono stati resi noti dall’OECD, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, i “numeri” dello studio Going for Growth 2015: la relazione dell’OCSE, che analizza le politiche strutturali dei paesi, ha lo scopo di aiutare i governi con l’impostazione di un’agenda di riforme per migliorare il benessere dei cittadini. Sorprendenti, sotto molti aspetti, i dati diffusi.
È infatti emerso che “nella maggior parte dei paesi industrializzati, la crescita “potenziale” (figurarsi quella reale, ndr.) va rivista verso il basso”. Una differenza rispetto alle previsioni che è maggiore soprattutto per i paesi dell’eurozona e per il Giappone.
Paradossalmente i paesi che hanno resistito meglio alla crisi degli anni scorsi sono quelli dei mercati emergenti, anche se la crescita è stata meno impressionante nell’ultimo biennio. Solo i tecnici dell’OECD sono rimasti sorpresi: in realtà le performance di queste nazioni sono state possibili grazie al fatto che non sono stati rispettati norme e regolamenti, soprattutto sotto il profilo ambientale e sociale.
Dai dati risulta che la situazione non è cambiata molto da quella presentata nel precedente rapporto (Going for Growth 2013), in cui era emerso un dato scioccante: era apparso evidente che i paesi che maggiormente avevano cercato di ottemperare all’applicazione delle riforme strutturali suggerite dall’OECD (“Change in overall responsiveness to OECD recommendations”) erano anche quelli le cui condizioni economiche erano risultate peggiori. In altre parole, in passato, chi meno ha rispettato le indicazioni e le direttive (spesso trasformate in regolamenti all’interno dell’Ue) per “favorire lo sviluppo” è riuscito a sviluppare la propria economia e a riprendersi dalla crisi del 2007/08 più velocemente. Tra i Paesi che meno hanno rispettato gli inviti dell’OECD compaiono la Germania, la Svizzera, il Belgio e il Lussemburgo. Al contrario paesi che hanno cercato di ottemperare e di seguire alla lettera i suggerimenti “tecnici” per uscire dalla crisi forniti da organizzazioni internazionali come l’OECD e l’Ue, sono proprio quelli che versano in condizioni peggiori: primo fra tutti l’Italia, seguita dalla Grecia e poi dall’Austria e dal Portogallo.
Non sorprende che, nell’ultimo rapporto presentato non siano riportati significativi miglioramenti nell’economia del Bel Paese. Anzi, al contrario, sono diversi i parametri che confermano per l’ennesima volta come le politiche fino ad ora adottate non abbiano sortito affatto gli effetti voluti. Negli ultimi cinque anni è aumentato il cuneo fiscale, ovvero la somma delle imposte (dirette, indirette o sotto forma di contributi previdenziali) che pesano sul costo del lavoro, sia per quanto riguarda i datori di lavoro, sia per quanto riguarda i dipendenti, e che era già ben al di sotto della madia dei paesi OECD. In Italia è anche diminuita la spesa pubblica a favore dell’infanzia. Ma le performance peggiori, forse, sono proprio quelle nel settore occupazionale: è diminuita la “protezione” per l’occupazione regolare e quella sui licenziamenti in blocco, ma anche la “copertura dei contratti di lavoro collettivi” è tutt’altro che rosea: in altre parole, sono molte le categorie di lavoratori che non dispongono di contratti di categoria.
Pessima la situazione per ciò che riguarda l’istruzione: l’Italia è al di sotto della media dei paesi OECD per percentuale di persone formate (in tutte le fasce d’età), con risvolti pesanti sui risultati del PISA (Programma per la Valutazione Internazionale degli Studenti).
Anche sul fronte della produzione, del commercio e degli investimenti diretti esteri la situazione mostra un netto peggioramento.
È diminuita la “proprietà statale” (non sorprende dato che gli ultimi governi non hanno fatto altro che “svendere” parti dell’Italia), ma anche la “partecipazione dello Stato nelle operazioni aziendali”. Per contro, in barba alle promessa fatte da molti degli ultimi governi, è aumentata la “complessità della normativa”.
Che la “situazione delle strade” nel Bel Paese fosse tremenda lo si sapeva già, basti pensare a ciò che è diventato innegabile dopo il crollo del viadotto sull’autostrada PA-CT. Ora un’ulteriore conferma è arrivata anche dall’OECD. E così il settore dei servizi e delle forniture di tutte le fonti energetiche primarie, come gas ed elettricità. Anche i servizi postali e le telecomunicazioni non sembrano essere proprio qualcosa di cui vantarsi. E così gli investimenti pubblici: al di sotto della media degli altri paesi OECD e in calo.
Davvero un bel risultato, specie se si pensa che è frutto del rispetto delle indicazioni e delle direttive “suggerite” (ma il termine più esatto sarebbe “imposte”) da enti come l’OECD, l’Ue o il Fmi.