Afghanistan. Cronaca di una sconfitta: offensiva dei talebani per conquistare il paese

di Enrico Oliari

Vent’anni fa c’era il burqa, a dire che bisognava andare alla guerra in Afghanistan. C’era l’innato desidero degli americani di esportare pace e democrazia in tutto il mondo a suon di bombe, c’era da sconfiggere il terrorismo anche laddove il terrorismo non c’era, tant’è che Osama Bin Laden è stato ucciso ad Abbottabad, in Pakistan.
Oggi, dopo 20 anni di guerra, un paese distrutto, innumerevoli morti e fiumi di retorica con tanto di militari occidentali “che hanno dato il sangue per la patria” (l’Afghanistan?), quel che resta è il bilancio di un fallimento, di una sconfitta su tutta la linea.
A guadagnarci è stata la fiorente industria delle armi, che proprio negli Usa rappresenta una buona fetta di Pil, e mentre a Wall Street c’era chi si sfregava le mani, i villaggi afghani venivano spianati dai raid e a Kabul veniva messo su un governo fantoccio.
L’Afghanistan tuttavia non è l’Iraq. Ci avevano già provato i sovietici a piegarlo senza successo, dal 1979 al 1989. Ed oggi è toccato agli occidentali, definire “rientro dei militari” e “missione terminata” la loro Caporetto.
Il risultato è che se prima del conflitto i talebani controllavano il 30 percento del territorio, oggi sono arrivati all’80 percento, ed è notizia di queste ore di un’offensiva contro Qala-e-Naw, capoluogo della provincia occidentale di della provincia di Baghdis. Lo ha reso noto il governatore Hessamuuddin Shams, il quale ha spiegato che “i combattimenti sono cominciati nel centro abitato”.
Intanto è un fuggi fuggi dal paese di collaboratori delle truppe Nato e Usa, militari dell’esercito regolare e funzionari. Gran parte degli interpreti e dei fornitori locali di servizi hanno chiesto ed ottenuto asilo nei paesi occidentali, ed in almeno 200 verranno ospitati in Italia, ma si è saputo in queste ore che un migliaio di soldati regolari hanno cercato di sfuggire alla vendetta dei talebani portandosi in Tagikistan. “Sono il 1.037”, ha riportato il Comitato per la sicurezza nazionale tagiko, “fuggiti dopo i combattimenti verificatisi nella notte nel nord dell’Afghanistan”.
Fallite le trattative di Doha tra statunitensi e talebani (proprio gli statunitensi avevano stragiurato che non avrebbero mai trattato coi talebani), ci sta provando ora l’Iran a mediare tra il governo di Kabul e gli insorti, o se la si guarda dall’altro verso, la resistenza. Tra ayatollah e mullah non è mai corso buon sangue, ma è certo che se la mediazione riuscisse rappresenterebbe per gli Usa un ulteriore smacco.