Austria. La prima nata del 2018 è di una coppia musulmana. E socialmente è già morta

di Giacomo D’Elia –

Ed eccoci di nuovo qui: nuovo anno, nuovi obiettivi, tanti buoni propositi e tante belle, care cattive abitudini. Già. E perché mai dovremmo cambiarle? Ormai fanno parte di noi, del nostro essere uomini e donne del nuovo millennio, avanguardisti, tecnologici, visionari. I depositari del nuovo mondo.
“Ti auguro la morte in culla”, questa sì che è davvero una bella frase. Il significato intrinseco della morte legata all’innocenza fanciullesca rappresentata dalla culla. Che analogia spettacolare. Solo una creatura di “elevato spessore culturale” potrebbe produrre un’affermazione di tale portata. Solo una bestia potrebbe farlo. Una bestia in grado di pensare, elaborare, ragionare, comporre, scrivere, assimilare, produrre. Un uomo. 1 gennaio 2018, Vienna, Austria. Paese civile e democratico del Vecchio Mondo (comunque primo mondo), reparto maternità, 47 minuti dalla mezzanotte: benvenuta al mondo, Asel. Una piccola e innocente creatura nata all’alba di un nuovo anno, senza neanche il tempo di guardarsi attorno che sente già il peso del suo retaggio sulle spalle. È comprensibile che i genitori abbiano pensato di postare una bella prima foto di famiglia con tanto di infermiera e medico sui social, ma forse avrebbero dovuto tenere conto dei canoni che dettano legge sul web.
Sì, perché tutta questa “libertà” non viene dal nulla. Insomma, possiamo scrivere ciò che vogliamo, insultarci, offenderci, denigrarci; dobbiamo, però, comunque stare attenti ai costumi utilizzati. È sempre un fattore di moda: e, lo sappiamo, il velo, copricapo culturale di ogni popolo, non va tanto al passo coi tempi. Ormai diventato un’icona, un simbolo di un movimento militare che nulla ha di religioso, radicatosi talmente in profondità in certe menti da permettere che perfino una bambina, con poche ore di vita, possa essere offesa, denigrata, stuprata socialmente perché tenuta in braccio dalla madre con indosso un velo rosa. Una bambina nata da una coppia di religione musulmana, condannata sul Web da belve e animali da tastiera solo perché nata “nella famiglia sbagliata”. Neanche il tempo di vivere che è già morta.