Brasile. Duro colpo alla laicità dello Stato

di Francesco Giappichini

La Riforma fiscale (Reforma tributária), che è in discussione nel Congresso del Brasile, non sarà ricordata solo per l’introduzione dell’Iva (Imposto sobre valor agregado) nel sistema tributario del Paese, bensì resterà nella storia soprattutto per l’aggressione al principio di laicità. E se dovesse continuare la tendenza, si potrebbe essere costretti a definire la Nazione verdeoro come uno Stato confessionale. La Frente parlamentar evangélica (Fpe), la potente e trasversale lobby degli evangelici nel Congresso, ha infatti vinto il braccio di ferro con i settori più laici, e imposto un discusso emendamento. La Fpe riunisce 220 deputati, il 42% della Camera, e 26 senatori, quasi un terzo dell’organo.
La norma garantisce esenzioni non solo alle «chiese di ogni culto», come previsto dalla Costituzione, ma a tutte le «associazioni caritative e assistenziali» legate alle chiese: come le case di cura o le istituzioni educative. La vicenda ha mostrato, ancora una volta, la crescente rilevanza politica e sociale degli evangelici. Che sono sempre più presenti sia negli eventi di massa che riuniscono moltitudini (come l’annuale Marcha para Jesus), sia nella cultura popolare. E la stessa Tv Globo, un tempo argine a difesa dei diritti civili, ha ceduto: la novela “Vai na fé” non fa che esaltare la religiosità della protagonista «crente», Solange “Sol” Da Silva Carvalho.
Un’avanzata che appare ancor più travolgente osservando il mondo dei media: non solo per via dei pastori influencer che s’impongono sul web, ma anche per il controllo che le chiese pentecostali e neo pentecostali esercitano su radio e televisioni. I risultati del censimento del ’22 non sono stati ancora pubblicati, ma secondo le anticipazioni di stampa, i protestanti raggiungono il 30% della popolazione. Mentre secondo le proiezioni dei vari istituti di ricerca, il sorpasso sui cattolici si concretizzerà nel ’32. Secondo poi lo studio “Global religion 2023”, elaborato dall’istituto Ipsos, tra gli under 30 il sorpasso è già avvenuto: i «crentes» sono il 30%, a fronte del 26% dei cattolici.
Una crescita in linea con la proliferazione dei luoghi di culto: nel ’10 erano 54mila, e nel ’19 hanno raggiunto quota 100mila. È indubbio che gli evangelici usino il loro peso politico per ottenere benefici economici; tuttavia il loro impegno principale è imporre un’agenda conservatrice, fatta propria in passato dall’ex presidente Jair Bolsonaro, che contrasti le proposte più libertarie, (come la legalizzazione del gioco d’azzardo, delle droghe leggere, o dell’aborto). Gli osservatori indicano tre ragioni principali, alla base dell’avanzata. La prima è l’urbanizzazione, l’esodo verso le periferie delle metropoli, ove gli evangelici hanno supplito all’assenza della Chiesa apostolica-romana. Si fa poi riferimento all’assenza dello Stato nei centri rurali piccoli e isolati: qui (specie i pentecostali) ne hanno colmato il vuoto con un’assistenza sociale di base. Infine si nota la grande agilità del modus operandi evangelico; si innalzano nuovi edifici di culto, senza che ci si sottoponga a rigide procedure o ad autorità centralizzate. Una libertà decisionale che riguarda anche il messaggio ai fedeli, che può andare dalla Teologia della prosperità, al sostegno per chi soffre qualche forma di dipendenza. L’autonomia è essenziale anche per gli aspetti liturgici, o per la nomina dei pastori, che spesso sono formati nelle comunità stesse, e dunque si rivelano assai capaci ad attrarre i fedeli del luogo.