Brasile. La sfida della ministra di Lula per i popoli indigeni

E’ conosciuta come Sonia Guajajara, che nella sua lingua ancestrale significa “colui che possiede l’ornamento di piume in testa”, ed è infatti con questo avvolgente e variopinto copricapo (cocar) che la incontriamo nella sede dell’Ambasciata del Brasile in Italia. 50 anni appena compiuti, un volto che sprizza fierezza e simpatia, Sonia incarna su di sé una storia di attivismo per le popolazioni indigene del Brasile, la cifra della sua vita fin da bambina.

La missione che le è stata affidata nel governo brasiliano è importante. Sonia Guajajara, inserita due anni fa da Time fra le cento personalità più influenti del mondo, è una delle novità introdotte dal presidente Luiz Inácio Lula da Silva, che ha voluto assegnarle il ministero per i Popoli Indigeni. Lei ha accettato la sfida, ma ci vuole tanto coraggio per riuscire a rovesciare cinque secoli d’indifferenza verso le istanze dei popoli amazzonici.

Nella sua terra d’origine, l’Arariboia, nello stato del Maranhão, Sonia fin dall’infanzia è consapevole di essere circondata da povertà e ingiustizia. A 15 anni va a studiare in un collegio agricolo, dove comprende che l’educazione è il primo passo per rivendicare i suoi diritti di donna indigena. Poi, scopre il socialismo e il femminismo, così decide di diventare un’attivista, riuscendo ben presto a imporsi alla guida dell’Associazione dei Popoli Indigeni del Brasile. La lotta contro il massacro dei popoli indigeni, contro il neoliberismo, e anche contro il maschilismo, diventano lo scopo della sua vita.

La ministra per i Popoli indigeni è dal gennaio 2023 la prima al mondo a ricoprire quest’incarico. Svolgendo il suo intervento a Roma spiega: “Ho passato tutta la vita a combattere contro l’invisibilità delle popolazioni indigene, ma con il ritorno del Brasile alla democrazia, grazie al presidente Lula oggi nutriamo più speranze. Adesso i popoli indigeni sono al centro del dibattito politico. Mai più un Brasile senza di noi. Questo è il cuore della mia missione”.

Uno dei progetti che sta consolidando è la mappatura delle terre indigene. Ne sono già state demarcate otto e altre quattro sono state liberate da chi le aveva occupate illegalmente con la forza. “Ma ci sono altri trenta territori da cui dobbiamo mandare via chi è venuto a cercare oro, a tagliare foreste e ad allevare bestiame. Scacciare questi abusivi è il solo modo che abbiamo per cercare di raggiungere l’obiettivo di ridurre la deforestazione dell’Amazzonia entro il 2030”, dice la ministra, ricordando però che il Congresso Nazionale brasiliano (ovvero Senato federale e Camera dei deputati) dimostra di opporsi alla nuova marcatura delle terre ed è profondamente contrario anche anche agli sgomberi che il governo sta mandando avanti. Il motivo è presto detto: i latifondisti sono molto forti in Parlamento perché ne detengono la maggioranza.

Per colpa delle estrazioni illegali d’oro, che avvelenano le acque e l’ambiente, provocando gravi disastri ecologici, in alcune terre indigene amazzoniche, in cui vivono le tribù Yanomami, si sono registrate gravissime emergenze sanitarie. “Visitando gli insediamenti – continua la ministra – ho trovato un popolo indigeno totalmente debilitato e persino denutrito. Abbiamo aperto, perciò, un ufficio permanente del governo che si occupa di allontanare minatori e cercatori d’oro illegali. Ci vorrà del tempo per normalizzare la situazione, ma è questo uno degli obiettivi per ridare dignità e diritti agli indigeni”.

Ora dobbiamo continuare l’azione in altre aree, prosegue il suo discorso Sonia, che devono essere liberate dai cercatori d’oro, dai minatori, da chi vuole impadronirsi del legname e da chi si è appropriato abusivamente della terra. “Nell’Apyterewa, per esempio, abbiamo lavorato intensamente per scacciare oltre 2mila occupanti illegali e abbiamo dovuto spostare 60mila capi di bestiame che venivano allevati senza alcun permesso in quel territorio, a danno degli indigeni che morivano di fame, soprusi e malattie”.

Come si può vedere, la missione della ministra è ciclopica, tenuto conto che in Brasile esistono 305 popoli indigeni, nient’affatto uguali fra di loro, perché ognuno ha la propria cultura, le proprie tradizioni e ciascun popolo ha un modo diverso d’intendere la ripartizione dei ruoli fra uomini e donne. Per le giovani generazioni il femminismo sarà la prossima conquista, tuttavia ci sono anche altre donne indigene, oltre a Sonia, che sono riuscite a rompere barriere e pregiudizi, partecipando alla vita pubblica anche fuori dalla propria tribù.

Sonia Guajajara con l’ambasciatore del Brasile in Italia, Renato Mosca. (Foto: DB, pda).

Ricordo sempre nei miei interventi – aggiunge infatti la ministra – che le donne hanno conquistato molti spazi, diventando protagoniste in tutto il mondo. Noi indigene stiamo seguendo la stessa strada, ma dobbiamo imporci lì dove si prendono le decisioni. In Brasile ci sono diverse indigene fra i parlamentari e al vertice della Funai (Fondazione nazionale dell’Indio) c’è una donna. Inoltre, abbiamo creato un gruppo parlamentare che si chiama Bancada do Cocar, formato da deputati di entrambi i sessi che rappresentano le popolazioni indigene”.

L’agenda della visita in Italia di Sonia Guajajara ha incluso anche l’invito a un importante seminario promosso dalle Pontificie Accademie delle Scienze del Vaticano per individuare le risposte che i saperi delle comunità indigene possono offrire al mondo scientifico. In quel contesto, la ministra, parlando della COP per il clima, ha confermato il suo impegno a continuare il dibattito al prossimo vertice COP30 a Belem, nello stato brasiliano del Pará, nel 2025.

Le conoscenze ancestrali e gli stili di vita indigeni – ha poi sottolineato – sono centrali per risolvere i problemi che colpiscono il pianeta. Non è un caso che l’80 per cento della biodiversità protetta mondiale si trovi nei territori indigeni, perché noi sappiamo come assicurare questa protezione. L’abbiamo imparato nel corso del tempo, nella misura in cui i cambiamenti climatici influenzano la biosfera e i biomi (porzioni di biosfera), alterando il ciclo delle piogge, la fertilità del suolo, la presenza di specie animali e vegetali, influenzando il nostro modo di vivere e, in ultima analisi, la capacità di reazione delle popolazioni indigene. Dopotutto, le nostre conoscenze millenarie provengono da questa profonda conoscenza e dalla relazione spirituale con la natura, in ogni bioma. Ogni cambiamento nel bioma è da noi vissuto come se fosse una malattia che si diffonde anche nei nostri corpi e nelle nostre comunità. Infatti, le donne indigene in Brasile tendono a riferirsi non solo ai loro propri corpi, ma a corpi-territori, perché i nostri corpi sono parte del bioma in cui viviamo”.

La ministra dei Popoli Indigeni, per concludere, lancia il suo appello: “La lotta contro il cambiamento climatico richiede l’aumento del riconoscimento formale e del diritto al pieno possesso dei territori da parte delle popolazioni indigene e delle comunità locali. Le resistenze sono molte, perciò questo messaggio deve essere forte e chiaro. Non ci sarà soluzione climatica senza comprendere le richieste dei popoli colpiti. Non ci sarà soluzione climatica senza riconoscere le conoscenze tradizionali come parte integrante del processo. Senza riconoscere che i diritti umani e della natura devono andare di pari passo”.

D.B.