Chernobyl, 35 anni dopo

a cura di Massimo Vassallo *

Era una comune giornata primaverile quel sabato 26 aprile 1986, senza connotazioni particolari degne di essere tramandate alla posterità; la vita in occidente scorreva tranquilla, ma nell’apparentemente “lontana” Ucraina, ancora soggetta al dominio sovietico che agli occhi dei più appariva saldissimo, era appena avvenuto un grave incidente, che presto si tramutò in una spaventosa catastrofe e che coinvolse non solo l’Ucraina e la Bielorussia, bensì in forme più attenuate buona parte dell’Europa.
Tutto iniziò in una centrale nucleare presso la cittadina di Chernobyl (Čornobyl’), nell’Ucraina settentrionale, quasi ai confini con la Bielorussia, all’epoca uno dei rajony dell’oblast’ di Kiev… ed è sintomatico della scarsissima conoscenza, in tutto l’occidente ma non solo, dell’individualità nazionale ucraina in quei tempi di soggezione politica che il nome della cittadina sia divenuto universalmente noto, al colto e all’inclita, nella versione russa ovvero Chernobyl!
Nelle vicinanze di Chernobyl le autorità sovietiche, nell’ambito del programma di potenziamento del nucleare che illis diebus coinvolgeva molti paesi all’est come all’ovest, avevano costruito una centrale nucleare presso la recente cittadina di Pryp’’jat’ (lo stesso nome del fiume e delle paludi alla frontiera ucraino-bielorussa), ma fin dagli inizi si parlò di catastrofe di Chernobyl, dal nome del centro più vicino che ebbe una sua, ancorché molto relativa, importanza già durante la Rus’ kyivana (fine IX-XIII secolo) e soprattutto nel periodo lituano (XIV secolo-1569) allorché fu per un certo tempo (sino al 1566) capoluogo di un povit nel palatinato di Kiev.
Nella notte tra 25 e 26 aprile 1986 si verificò una grave perdita al reattore dell’unità n. 4 della centrale nucleare: furono gli svedesi a chiedere spiegazioni, in quanto le radiazioni a causa del forte vento arrivarono vicino ad una centrale nucleare in Svezia già il 26 aprile, anche se la situazione divenne molto seria e preoccupante solo verso le 9.00 di lunedì 28 aprile, ma il governo sovietico nicchiò.

Le autorità locali dapprima minimizzarono, la stessa evacuazione di Chernobyl non fu effettuata immediatamente, ma solo il 5 maggio anche se va riconosciuto che una volta decisa fu rapida; ancora più reticente fu per diversi giorni il comportamento delle autorità ucraino-sovietiche di Kiev e pan-sovietiche di Mosca.
In occidente, dapprima in forma timida e dubbiosa poi in forma sempre più assertiva e talora financo allarmistica, la magnitudine della tragedia appariva sempre più evidente, e Mosca ancora di fatto taceva!
Ero ragazzo allora e mi rammento bene i servizi dei telegiornali, la psicosi della “nube radioattiva”, non si parlava d’altro… ma il Cremlino ancora non proferiva quasi parola, se non vaghe assicurazioni.
Era da poco passato un anno dalla nomina di Mikhail Sergievič Gorbaciov (Gorbačëv) a segretario generale del KPSS/PCUS (11 marzo 1985) e già era iniziata una certa qual critica alla “stagnazione” brežneviana, severamente condannata al XXVII Congresso del Partito tenuto a fine febbraio-inizio marzo del 1986, ma il trattamento in stile sovietico “classico”, almeno nei primi dieci giorni, della tragedia di Chernobyl dimostrò che ancora molta acqua doveva passare sotto i ponti perché la glasnost’ (trasparenza) e la perestrojka (ristrutturazione) prendessero radici, e del resto abitudini inveterate non si cambiano di certo in un sol giorno; ancora peggiore, se possibile, era la situazione a livello repubblicano ucraino a Kiev ove la carica di primo segretario del KPU (sezione ucraina del PCUS) restava fermamente nelle mani del “fossile” brežneviano Volodymyr Ščerbyc’kyj (1972-1989), da cui era francamente ottimista attendersi una posizione di avanguardia in termini di hlasnist’ e perebudova (forme ucraine di glasnost’ e perestrojka) !
Le autorità sovietiche quindi non fecero tutto il possibile per limitare i danni, e la tragedia colpì ancora più duramente tanto l’Ucraina settentrionale (in primis gli oblasti di Kiev e Černihiv) quanto la Bielorussia sudorientale (soprattutto il vobłasć di Homiel): in Bielorussia sovietica la dirigenza comunista, capeggiata dal primo segretario del KPB Mikałaj Sluńkoŭ (1983-1987) era altrettanto refrattaria al cambiamento di quella comunista ucraina.
Solo dopo una decina di giorni Gorbaciov cambiò linea o, secondo un’altra interpretazione, riuscì a imporre la sua interpretazione più liberale al recalcitrante Politbjuro del PCUS, ma ormai si era perduto tempo prezioso: nondimeno un’evacuazione massiccia dalle aree più direttamente colpite venne infine realizzata e furono trasferite nel 1986 almeno 160mila persone in un raggio di una trentina di chilometri dall’epicentro del disastro, più altre 220mila negli anni successivi.
Quante sono state le vittime causate dalla tragedia di Chernobyl?
In occasione del ventennale, Tom Parfitt pubblicava il 22 aprile 2006 sulla prestigiosa rivista medica generalista The Lancet un articolo dal titolo “Opinion remains divided over Chernobyl’s true tol!”, né da allora si è raggiunto un consensus fere omnium.
A distanza di tre decadi e mezzo dunque è ancora difficile dirlo; se vi è sostanziale certezza sulle 31 persone morte direttamente a causa dell’esplosione o immediatamente o entro pochissimi giorni, è meno agevole stabilire la cifra totale delle morti in qualche modo definibili come “indirette”.
Nel 2005 le agenzie delle Nazioni Unite parlarono di 4mila vittime, ma la cifra è stata presto duramente contestata e pare oggettivamente troppo bassa.

Una cifra di 8mila-10mila morti sembra più inerente al vero, ma potrebbe essere ancora più alta e ad esempio nell’articolo sopra menzionato di Parfitt veniva citato l’accademico e biologo ucraino Dmytro Hrodzyns’kyj (1929-2016), all’epoca presidente della Commissione nazionale per la protezione radiologica della popolazione dell’Ucraina, che stimava che già allora (2006) vi fossero stati 10mila morti, col rischio che in futuro si giungesse al triplo; quello che è certo è che la grandissima maggioranza delle vittime vivevano in Ucraina e Bielorussia.
Il celebre studioso e storico di origine ucraina Serhij Plokhij (Serhii Plokhy), in un articolo apparso sulla celeberrima rivista Time il 26 aprile 2018 e intitolato “The True Cost of the Chernobyl Disaster has been greater than it seems” ha correttamente ammonito contro la “sottovalutazione” della tremenda catastrofe.
Non bisogna poi passare sotto silenzio tutte le persone, fra cui molti bimbi, che pur essendo riusciti fortunatamente a salvarsi hanno risentito in maggiore o minor misura della catastrofe: l’Italia ha aiutato un gran numero di questi bambini (nel caso italiano provenivano soprattutto dalla Bielorussia) e li ha ospitati per la disintossicazione, ciò di cui l’Italia può andare legittimamente fiera.
La tragedia di Chernobyl, oltre ai suoi terribili costi umani (non solo i morti ma anche quanti a causa delle radiazioni restarono indelebilmente segnati) e alle grandi perdite economiche causate, ebbe in breve tempo effetti politici rilevanti tanto in occidente quanto nell’allora URSS.
In occidente, e massime in Italia, diede armi in mano a coloro che si opponevano allo sviluppo del programma energetico nucleare: la decisione dell’Italia di abbandonare il nucleare in seguito al referendum del novembre 1987 non si spiegherebbe senza l’effetto Chernobyl; in Ucraina la centrale nucleare di Chernobyl verrà invece completamente chiusa solo dopo molto tempo, nel 2000.
Nell’allora URSS il potere sovietico uscì indebolito dalla catastrofe in quanto la cattivissima gestione dell’emergenza e l’inefficienza mostrata nel portare soccorsi minarono la credibilità residua (già non altissima) del PCUS.
Ciò fu particolarmente vero in Ucraina, ove Ščerbyc’kyj vide indebolire la propria posizione politica e incominciò a manifestarsi un’opposizione al suo potere entro il KPU, anche se lo scaltro apparatčik riuscì a barcamenarsi per altri tre anni fino al settembre 1989.
Tanto in Ucraina quanto nelle tre repubbliche baltiche, solo lambite dalla catastrofe ma che seppero approfittare dell’occasione, nacquero diversi movimenti “ecologisti” informali, ufficialmente privi di aspirazioni politiche, ma nondimeno larvatamente critici delle politiche del PCUS o quantomeno della sua ala “conservatrice” che veniva sempre più associata al nome del siberiano Egor Ligačëv.
Questi movimenti, che riscossero grande successo fra i giovani e gli studenti, lottarono soprattutto per evitare altre tragedie ambientali, ma presto un’altra agenda per il momento ancora strettamente tabù incominciò a far capolino; è abbastanza noto il ruolo giocato dagli ecologisti lituani che si opponevano alla centrale nucleare di Ignalina nei primordi del movimento di rinascita lituano, che più tardi in un contesto ormai diverso darà vita nel 1988 al Sąjūdis, e così il ruolo degli ecologisti lettoni nell’imprimere nuova linfa al movimento nazionale quasi del tutto eliminato con il gelo delle purghe del 1959, senza obliare gli ecologisti estoni.
Non si deve però dimenticare la notevole mobilitazione ecologista della gioventù ucraina in 1986-1987, in condizioni molto difficili: il sistema di Ščerbyc’kyj era ancora alquanto repressivo, ben più di quanto fossero o potessero essere Karl Vaino, Boriss Pugo e Petras Griškevičius nel Baltico, per quanto nessuno dei tre fosse particolarmente “riformista” e il secondo diverrà famigerato a livello internazionale per il suo ruolo nel fallito golpe sovietico dell’agosto 1991!; un importante ruolo ebbe soprattutto il movimento Zelenyj Svit “Mondo Verde”, invero già al termine di quest’epoca (verso la fine del 1987), ma vi furono diversi esempi più informali già nei mesi precedenti; né va sottaciuto il nuovo ruolo dell’Unione degli Scrittori dell’Ucraina, che sin dal 1986, quindi dall’indomani della catastrofe di Chernobyl, prese nelle sue pubblicazioni (Literaturna Ukraïna “Ucraina letteraria”, Žovten’ “Ottobre”, Prapor “Bandiera” ecc) un atteggiamento più critico e meno ossequioso nei confronti del potere.

La forte presa di coscienza ecologista non solo riuscì a rallentare l’implementazione di politiche potenzialmente disastrose per l’Ucraina e a contribuire in tal modo ad evitare nuovi possibili disastri (ed era quello il motivo ostensibile delle manifestazioni), ma anche diede vita ai primi segni di una rinascita della coscienza nazionale che inizierà a manifestarsi alla luce del sole talora già nel 1987, ma soprattutto nel 1988, cosicché si potrebbe quasi dire che un filo sottile colleghi la data nefasta del 26 aprile 1986 allo sviluppo del processo che, entro poco più di un lustro e dopo molte traversie, porterà alla data fausta del 24 agosto 1991, cioè alla storica indipendenza dell’Ucraina (Nezaležnist’ Ukraïny) di cui fra pochi mesi si celebrerà il 30mo anniversario.
La spaventosa tragedia di Chernobyl contribuì a convincere il popolo ucraino della necessità di essere padrone a casa propria, anche per evitare in futuro altre tragedie in cui un potere sentito come lontano ed estraneo si arrogasse il diritto di prendere, o non prendere, misure di cui alla fine sarebbe stato il popolo stesso a subire le maggiori conseguenze.
E per quanto riguardo il reattore? A 35 anni dalla tragedia di Chernobyl i resti del reattore nucleare distrutto sono stati chiusi grazie a uno dei progetti di ingegneria tra i più ambiziosi al mondo. Ha la forma di un arco lungo 162 metri e con i suoi 108 metri di altezza potrebbe coprire la torre Eiffel e anche la statua della Libertà.
Il New Safe Confinement (NSC) è un gigantesco scudo d’acciaio che impedirà la fuoriuscita di eventuali radiazioni dal reattore per i prossimi cento anni. A questo punto il reattore potrà essere smantellato in sicurezza grazie a un sistema di ponti mobili. Il NSC è il progetto della joint-venture e ad amministrare il fondo che lo finanzia, lo shelter fund, è la Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo, per 1 miliardo e mezzo di euro su un totale di 2 miliardi.
È importante sottolineare che per fornire i materiali in acciaio è stata scelta un’azienda italiana, la Cimolai di Pordenone, ulteriore esempio della crescente collaborazione in tutti i campi dell’Italia e dell’Ucraina.
Che una tale immane tragedia non possa mai più ripetersi!

* Con l’assistenza dell’Ambasciata di Ucraina a Roma.