Cina, Corea e Myanmar: lavoratori schiavi (e drogati) per estrarre la “cara” giada

di C. Alessandro Mauceri –

giada operaioSecondo un’antica leggenda, la nascita di Confucio sarebbe stata annunciata alla madre da un unicorno e scritta su una tavoletta di giada. Nei paesi orientali, molto più che in occidente, la giada ha un significato che va ben oltre il proprio valore estetico: in Cina si pensa che possa allontanare il malocchio e fare star bene. In Corea la giada è considerata simbolo di ricchezza e di prosperità. E c’è chi pensa che questo minerale abbia proprietà curative: in un testo cinese del sedicesimo secolo si legge che “se si sfrega ogni giorno con della giada l’area attorno a una ferita, non rimarrà alcuna cicatrice e, se la giada viene macinata fine come i semi di sesamo e poi ingerita, i dolori muscolari e del torace scompariranno e il cuore, il fegato, la milza, i polmoni e i reni funzioneranno tutti meglio” (recentemente sono stati fatti degli studi presso l’Università di Taejŏn).
È per questo che in molti paesi orientali ogni anno si spendono somme enormi per acquistare e regalare oggetti di giada: recentemente, durante Shanghai World Jewellery Expo, alcuni pezzi di giada sono stati valutati a più di 160 dollari il grammo, diverse volte il prezzo dell’oro. Un detto cinese dice: “L’oro è di valore, ma la giada è senza prezzo”.
Un prezzo che, per alcuni, vale il numero spaventoso di vite umane che è legato all’estrazione della giada. Come molti altri minerali anche la giada spesso viene estratta senza tenere in alcuna considerazione la vita delle persone.
Le principali miniere di giada si trovano in Cina e in Birmania (l’odierno Myanmar, dopo il colpo di stato del 1988). È soprattutto qui, nella regione del Kachin, una zona montagnosa e inospitale a ridosso della regione cinese dello Yunnan, che si concentra il maggior numero di miniere di giada. Una zona inospitale e impraticabile: ad un certo punto la strada scompare e, oltre, sono ammessi soltanto minatori, guardie armate e, ovviamente, gli acquirenti cinesi.
Ma la giada si estrae anche sui monti Kunlun, in Cina: le miniere principali si trovano in cima alla Valle del Bue Selvatico, a circa 5.000 metri di altezza. Qui le miniere affiorano da buchi praticati nelle nevi perenni del ghiacciaio: fuori il sole è così accecante che non è facile tenere gli occhi aperti, dentro è buio pesto. Qui la maggior parte dei minatori fa parte del gruppo etnico musulmano degli Hui, provenienti da villaggi poverissimi nelle province del Qinghai, del Gansu e del Ningxia.
Anche in Corea si estrae la giada, nella regione Ch’unch’ŏn. Una giada particolare dal colore bianco latte, estremamente rara e preziosa.
In Myanmar, come anche in Cina, le maggior parte delle miniere di giada si trovano in zone volutamente inaccessibili: in primo luogo perché buona parte dell’estrazione e del commercio della giada avvengono al di fuori dei normali canali commerciali e al di fuori di ogni legge; ma anche per nascondere il modo disumano in cui vengono trattati i lavoratori delle miniere e il commercio illegale di giada.
Quasi la metà della giada estratta in Myanmar finisce in Cina e molto spesso sul mercato nero. Un giro d’affari di miliardi di dollari: secondo i dati dell’Ash Center dell’Università di Harvard, le vendite totali solo nel 2011 hanno raggiunto gli otto miliardi di dollari, un sesto di tutto il Pil della Birmania.
Di questi soldi, però, nelle casse del Myanmar non rimane nulla: la maggior parte finisce nelle tasche degli imprenditori cinesi e delle bande armate che impongo alle compagnie minerarie il pizzo per estrarre il minerale “senza intoppi”.
Poco o niente di questi soldi finisce nelle tasche di chi effettivamente lavora in condizioni disumane nelle miniere. Il modo di lavorare dei minatori è impressionante. Chi ha potuto raggiungere queste zone, ha parlato di campi in cui i minatori lavorano con turni massacranti. Chi lavora nelle miniere è quasi ridotto in schiavitù. I turni di lavoro sono massacranti e l’unica pausa è per (poche) ore di sonno e per il consumo della droga. Da anni, ormai, droga e giada costituiscono un binomio inscindibile: per poter sopportare i turni di lavoro massacranti, i lavoratori vengono invogliati (spesso la prima “dose” viene regalata) a far uso di droghe come l’eroina, le metanfetamine e l’oppio (non a caso il Myanmar è uno dei maggiori produttori di quest’ultimo, dopo l’Afganistan). In questo modo, diventano dipendenti da queste droghe e sono costretti a lavorare per ricevere la loro “dose” giornaliera.
Lo sanno tutti. A cominciare dalle autorità locali fino alle organizzazioni internazionali. L’inferno in cui sono costretti a vivere i lavoratori delle miniere di giada è stato più volte denunciato. In una intervista al New York Times, l’ambasciatore cinese in Myanmar, Yang Houlan, ha ammesso che imprenditori e uomini d’affari cinesi violano regolarmente e sistematicamente le leggi birmane: “oltrepassano il confine per estrarre o contrabbandare la giada”. Anche al-Jazeera ha denunciato questo stato di cose riferendo che il 75% dei minatori è tossicodipendente.
I campi in cui si raccolgono i minatori per drogarsi o per dormire tra un turno e l’altro, sono pieni di cumuli di siringhe e le condizioni igieniche sono spaventose. Con gravi conseguenze per la salute: secondo i dati del World Health Organization, più del 30% di chi assume droghe da iniettare, a Myitkyina, una delle sedi di estrazione, ha ormai contratto il virus dell’HIV e i morti per overdose non si contano più (un censimento è impossibile dato che i cadaveri spesso vengono occultati ne boschi vicini alle miniere e non esistono “contratti” o “registri”).
Praticamente inutili le azioni intraprese dai due governi per arrestare questo fenomeno.
Tutti sanno quello che accade in Birmania e in Cina per estrarre la giada. Eppure nessuno fa niente per fermare o per cambiare questo stato di cose. Il mercato della giada continua a crescere: nell’ultimo trimestre dello scorso anno, i proventi nel settore delle esportazioni di giada in Myanmar sono cresciuti del 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
A chi compra un oggetto di giada importa poco delle condizioni in cui migliaia di minatori sono costretti a lavorare e spesso a morire. Basta fingere di non saperlo.

Giada, Cina, Myanmar, Kachin, Kunlun, Ch’unch’ŏn, Ash Center, droga, Yang Houlan, C.Alessandro Mauceri