Cosa si nasconde dietro la crisi in Sri Lanka?

di Michele Bodei * –

L’impennata dei prezzi sui beni essenziali, dal cibo ai carburanti, negli ultimi mesi ha trascinato lo Sri Lanka in una gravissima crisi. Il governo ha individuato diverse cause. Il settore turistico, che ricopre un ruolo fondamentale nell’economia del Paese, non si sarebbe ancora ripreso completamente dalla pandemia. In aggiunta, la produttività dell’agricoltura sarebbe stata compromessa dalla conversione a metodi agro-biologici.
Diversamente, i cittadini hanno accusato di corruzione il Governo – nel quale la famiglia Rajapaksa è stata presente per diversi decenni – e di non aver distribuito efficientemente le risorse tra i cittadini. Le cause in verità sono diverse, tra le quali la guerra in Ucraina e i problemi con l’importazione del grano. Il fattore principale, probabilmente, lo si può individuare nel fatto che le casse dello Stato soffrono di un debito pubblico altissimo e hanno terminato la valuta estera necessaria per importare anche i beni primari.
La crisi è sfociata nel più grande tumulto della storia del Paese: i cittadini il 9 luglio hanno preso d’assalto il palazzo presidenziale a Colombo, ex capitale fino al 1978, e costretto alla fuga il presidente e il governo.
Cosa si nasconde dietro alla carenza di valute estere del Paese? In verità il Governo aveva già dichiarato default ad aprile, chiedendo una ristrutturazione del debito pubblico su un totale di oltre 50 miliardi di dollari. La spesa pubblica nell’ultimo decennio ha ecceduto le entrate di circa il 10% ogni anno, puntando molto su investimenti e prestiti stranieri.
Il contribuente più importante è stato Pechino. Nell’ambito del progetto della Nuova Via della Seta, la Cina dal 2013 partecipa direttamente e tramite nuovi istituti internazionali – come la Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture, concepita dall’iniziativa di Xi Jinping nel tentativo di sostituire il Fondo Monetario Internazionale – al finanziamento di nuove infrastrutture attraverso prestiti in altri Paesi, dall’Asia all’Europa. Così nel 2016 il Governo dello Sri Lanka ha privatizzato l’80% del porto di Hambantota, cedendo le quote a società cinesi controllate da Pechino, al fine di svolgere un importante ampliamento.
Il governo non ha esitato ad accettare e non si è posto troppe domande sugli effettivi benefici dell’investimento, ma ha bensì incassato un totale di 5 miliardi di finanziamenti in prestiti, che ora non è in grado di restituire e si trova intrappolato nei suoi debiti.
Il termine “trappola del debito cinese” si riferisce alle accuse rivolte dalla comunità internazionale a Pechino. Attraverso aiuti finanziari – tra cui i finanziamenti in infrastrutture appunto – la Cina sta cercando di esercitare una certa influenza economica sui Paesi in Via di Sviluppo. Il vero potere sta nella poca trasparenza e nelle clausole, talvolta segrete, dietro a questi prestiti, estremamente vincolanti, che non lasciano possibilità di ristrutturazioni e richiedono un certo grado di allineamento nelle politiche agli interessi cinesi.
Lo Sri Lanka non è l’unica vittima di questo sistema. Il Laos ha concesso il controllo della rete elettrica nazionale, comprese le sue esportazioni, in cambio di finanziamenti per il suo miglioramento. Il Kenya ha accettato prestiti e investimenti, che devono essere pagati tramite il 30% della spesa pubblica. Sono tutti progetti legati allo sviluppo della Nuova Via della Seta, come la realizzazione della prima autostrada in Montenegro: in seguito al finanziamento cinese, il presidente Dukanovic ha dovuto chiedere aiuto all’Unione Europea per affrontare il fallimento del progetto. Allo stesso tempo va detto che dall’altra parte si trovano Governi con problemi di corruzione e impreparati a gestire investimenti così importanti. Può succedere che, pur di ottenere finanziamenti, sono disposti ad accettare progetti senza valutarne oggettivamente i costi e i benefici, come il governo Rajapaksa ha dimostrato in Sri Lanka.

* Mondo Internazionale Post.

Articolo in mediapartnership con il Giornale Diplomatico.