Cuba. Cosa resterà del Vertice G77+China

di Francesco Giappichini

L’impressione è che nel corso del G77+China summit, conclusosi sabato all’Avana, i leader presenti si siano suddivisi l’onere di propugnare le tradizionali rivendicazioni del Paesi in via di sviluppo. Così, se da Cuba arriva l’appello alla democratizzazione della governance globale, la Colombia ha proposto uno sforzo comune contro la crisi climatica; mentre è stato il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, a invocare l’unità del Sud globale. Ma andiamo con ordine. Dal Vertice del G77+Cina – il Gruppo dei 77 (G77), a cui si affianca la Cina che non è membro formale – il Global South esce rafforzato; e appare consapevole che quella attuale è la fase storica più propizia per mettere sul tavolo le proprie istanze.
A dimostrarlo, la partecipazione del segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che ha ricordato che le regole per le nuove tecnologie «non possono essere scritte solo dai ricchi e dai privilegiati». I capi di stato presenti al summit del Group of 77 (G77) si sono dunque ripartiti le tante istanze del Sud del mondo. E un ruolo di primo piano se lo è ritagliato il cubano Miguel Díaz-Canel, anfitrione dell’evento: è Cuba a presiedere nel ’23 l’organizzazione intergovernativa che, costituita in seno alle Nazioni Unite nel ’64, è composta da 134 membri, e rappresenta i Paesi del Sud del mondo. Parole d’ordine del leader caraibico, «democratizzare l’Onu»: «Chiediamo ora», ha declamato, «l’imminente democratizzazione del sistema delle relazioni internazionali».
Ma se la classe dirigente dell’Isola ha mostrato capacità organizzative, si dubita che ciò possa alleviare la crisi economica e sociale che dissangua il Paese: i cubani emigrati negli Stati Uniti, nel solo ’22, superano i 306 mila, il 2,7% della popolazione. Il presidente della Colombia, Gustavo Petro, ha invocato un «Piano Marshall» globale che contrasti il climate change, e ha dichiarato che è ingiusto finanziare l’economia decarbonizzata, col solo sacrificio dei Paesi a basso reddito. «Basta con la persecuzione contro i popoli del mondo che vogliono costruire i propri modelli», ha detto quindi Maduro, che ha riproposto una salda unione tra le Nazioni del Terzo mondo.
E dal venezuelano è giunto anche un elogio all’inclusività del G77+China: «Questo è lo spazio in cui siamo tutti uguali. Dove nessuno intende imporsi, dominare, spronare, disprezzare, escludere nessuno». Li Xi, membro del Comitato permanente dell’Ufficio politico del Partito comunista cinese, ha esaltato la «cooperazione Sud-Sud»; mentre il presidente angolano, João Lourenço, ha puntato il dito contro il «peso del debito estero, la volatilità del mercato». Il presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, si è assunto l’incarico di riaffermare l’unità dell’America latina, che deve «cercare una posizione comune». Ed è stato anche ricevuto da Díaz-Canel. Al di là dei consueti accordi di cooperazione, ha cercato di riaprire i negoziati sul debito cubano verso il Banco nacional de desenvolvimento econômico e social (Bndes): ben 483 milioni di euro, con cui Brasília ha finanziato la ristrutturazione dell’iconico porto di Mariel. E intanto è già partito per New York, ove parteciperà agli eventi delle Nazioni unite, e incontrerà il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Così per usare le parole di Lula – che nel ’23 non ha mancato un vertice internazionale – sarà completato il «ritorno del Brasile a tutte le più importanti scacchiere internazionali», dopo l’era dell’ex presidente Jair Bolsonaro.