Disastri naturali: l’importanza della prevenzione

di C.Alessandro Mauceri –

Almeno 91 morti in Brasile a causa di inondazioni e smottamenti. Migliaia i dispersi, specie nelle favelas delle città nord-orientali di Recife e Jaboatao dos Guararapes, le più colpite. La scorsa settimana forti piogge hanno sferzato il Pernambuco provocando smottamenti che hanno spazzato via le capanne dei quartieri poveri e delle favelas sui pendii delle colline. Dopo aver sorvolato l’area, il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro ha dichiarato che non era stato nemmeno possibile atterrare a causa del terreno fradicio. “Purtroppo queste catastrofi accadono in un paese delle dimensioni di un continente”, ha cercato di giustificarsi. “Siamo tutti ovviamente tristi. Esprimiamo la nostra solidarietà ai familiari. Il nostro obiettivo più grande è confortare le famiglie e anche, con mezzi materiali, assistere la popolazione”. Dimenticando che simili eventi sono tutt’altro che infrequenti, in quella zona me anche in altre zone del Brasile.
Anche in Australia nei giorni scorsi si sono verificate delle catastrofi ambientali. Un’alluvione ha allagato vaste aree e ha causato danni a persone e cose. Anche in questo caso la popolazione ha protestato per la cattiva gestione dell’emergenza. Nel corso dell’indagine parlamentare seguita alle inondazioni che hanno coperto vaste aree, alcuni membri della comunità colpita hanno dichiarato di essere delusi da Resilience NSW, la nuova agenzia statale creata nel 2020 proprio per gestire le emergenze e i disastri dalla prevenzione alla ripresa. Sarebbero emersi numerosi casi di impreparazione del governo proprio nel momento in cui la crisi raggiungeva il suo apice. E questo sia nei centri di recupero e che durante gli sforzi per trovare un alloggio a migliaia di senzatetto. La parlamentare Janelle Saffin ha dichiarato che Resilience NSW è apparsa “carente a tutti i livelli”. “Istituzionalmente è incapace di fare il lavoro”, ha detto. “Mancavano in azione e non hanno mai fatto sentire la loro presenza”.
Alluvioni, terremoti, esondazioni, incendi e tanti altri tipo di catastrofi naturali quasi non fanno più notizia. In aumento il numero degli eventi registrati, ben 407 quelli più rilevanti con 18.335 decessi e oltre cento milioni di persone colpite. Il loro numero è in costante aumento e i danni causati a persone e cose sono sempre maggiori, anno dopo anno, con perdite economiche che sono concentrate principalmente nei paesi ad alto reddito. La contrario il costo umano dei disastri ricade in modo più rilevante sui paesi a basso e medio reddito. Lo scorso anno il costo economico di questi disastri ha raggiunto la stratosferica somma di 280 miliardi di dollari (fonte: Munich Re), dei quali 120 miliardi per perdite “assicurate” e 160 miliardi di dollari per danni “non assicurati”. Secondo uno studio dello Swiss Re Institute il valore dei danni causati da causale catastrofi naturali sarebbe il quarto più alto dal 1970. “Nel 2021, i danni assicurati da calamità naturali hanno nuovamente superato la media decennale precedente, proseguendo il trend di aumento annuo dei sinistri del 5-6% registrato negli ultimi decenni. Sembra essere diventata la norma che almeno un evento secondario, come una grave inondazione, una tempesta invernale o un incendio, ogni anno causi perdite per oltre 10 miliardi di dollari”, ha affermato Martin Bertogg, Capo del Cat Perils di Swiss Re. In Europa, pandemia a parte, l’evento che ha prodotto più danni sarebbe l’alluvione di luglio 2021 in Germania, Belgio e altri paesi: solo i danni materiali ammonterebbero a decine di miliardi di euro. A questi si devono aggiungere perdite economiche superiori a 40 miliardi per effetti indiretti o collaterali successivi alla distruzione iniziale. Come le perdite di interruzione dell’attività che spesso accompagnano questi eventi. Esemplare il caso del 2017 a Porto Rico: a causa dei danni causati dall’uragano Maria, un’importante azienda di forniture mediche all’ingrosso a San Juan fu costretta a interrompere la produzione. Gli ospedali di tutti gli Stati Uniti dovettero affrontare una carenza dei prodotti forniti da questa azienda e venne registrato un aumento del 600% del costo dei prodotti rispetto al periodo precedente, soprattutto sacchetti per le trasfusioni per via endovenosa.
Eventi simili sono sempre più frequenti e in qualche caso prevenibili (almeno in parte) se non prevedibili, eppure ogni volta non si fa quasi nulla, salvo poi sorprendersi dopo che l’evento è avvenuto. La cosa che sorprende di più, in realtà, è il divario che esiste tra la quantità di eventi che si verificano e il livello di preparazione. “L’impatto dei disastri naturali che abbiamo subito quest’anno evidenzia ancora una volta la necessità di investimenti significativi nel rafforzamento delle infrastrutture critiche per mitigare l’impatto delle condizioni meteorologiche estreme”, ha detto Jérôme Jean Haegeli, Group Chief Economist di Swiss Re. “Gli investimenti nelle infrastrutture supportano la crescita sostenibile e la resilienza e devono essere potenziati. Solo negli Stati Uniti il divario di investimenti infrastrutturali per mantenere infrastrutture critiche e obsolete è di 500 miliardi di dollari in media all’anno fino al 2040”. Sistemi per resistere ad eventi come le inondazioni, alle tempeste convettive di un anno fa, a giugno, quando temporali, grandine e tornado causarono gravi danni in Germania, Belgio, Paesi Bassi, Repubblica Ceca e Svizzera. O come le inondazioni che si sono verificate nella provincia cinese di Henan e nella Columbia Britannica, in Canada, o come il caldo estremo che mostra ogni anno nuovi record di temperatura: nel 2021, in California, nella Death Valley, le temperature hanno raggiunto i 54,4°C. Non sorprende più nessuno leggere dei numerosi incendi incontrollabili che ogni anno devastano questa zona degli USA.
“Non puoi gestire il tuo rischio di disastro se non stai misurando le tue perdite”, ha dichiarato Mami Mizutori, rappresentante speciale Onu del segretario generale per la Riduzione del rischio di disastri. Eppure sembra che nessuno voglia fare niente per prevenire o per “gestire il rischio” legato a decine di migliaia di disastri su piccola scala che si verificano ogni anno in tutto il mondo. Eventi che spesso non vengono neanche registrati nei database internazionali, ma il cui impatto può essere dannoso quanto quello dei grandi disastri, causando morte, lesioni e perdita di mezzi di sussistenza. Uno studio degli eventi verificatisi tra il 2005 e il 2017 ha dimostrato che i disastri piccoli e medi, localizzati e frequenti, hanno causato il 68% di tutte le perdite economiche legate a eventi simili. Somme che forse sarebbe possibile utilizzare per rendere il territorio più “resiliente”, parola questa oggi fin troppo usata e abusata, ma della quale spesso i governanti non sembrano conoscere il vero significato. Denaro che avrebbe potuto essere usato anche per migliorare la condizione di vita di certe zone del pianeta, evitando disastri che spesso sono una delle concause della povertà dilagante e che spesso colpiscono le famiglie e le comunità più povere, le imprese più piccole e i governi meno potenti.
Anche le perdite dovute a rischi a insorgenza lenta (come la siccità) non sempre sono gestite e calcolate nel modo giusto. Danni che anno dopo anno si sommano. Ci si accorge di loro solo quando raggiungono dimensioni impressionanti: ad esempio, secondo stime recenti, i disastri a lenta insorgenza nella regione Asia-Pacifico avrebbero raggiunto i 675 miliardi di dollari (pari a circa il 2,4% del PIL della regione).
In pochi si prendono la briga di calcolare, oltre ai danni diretti e indiretti e ai danni causati da piccoli eventi, alcune conseguenze immateriali degli eventi calamitosi. Spesso i disastri modificano i piani di sviluppo a breve e medio termine: nel 2017, negli Stati Uniti, gli uragani hanno causato danni per 306 miliardi di dollari e hanno costretto successivamente le autorità a modificare i piani di sviluppo per mancanza di fondi. Da non trascurare anche l’impatto che le catastrofi possono avere sulla salute mentale: alcuni studi dimostrano che le persone le cui abitazioni sono state danneggiate da tempeste o inondazioni hanno una probabilità significativamente maggiore di presentare problemi di salute mentale come depressione e ansia. Spesso bambini e adolescenti che vivevano nei territori colpiti da disastri perdono la scuola, a causa dello sfollamento, della distruzione di strutture o della necessità di utilizzare gli edifici scolastici come rifugi temporanei. Secondo l’UNESCO già a metà 2020 la pandemia aveva avuto effetti negativi su quasi 1,6 miliardi di studenti in più di 190 paesi, il 94% della popolazione studentesca mondiale. 24 milioni di studenti a rischio di abbandono definitivo dell’istruzione pre-primaria, ancora peggiore la situazione per l’istruzione terziaria che ha registrato un calo del 3,5% delle iscrizioni, con un conseguente perdita di 7,9 milioni di studenti.
Danni incalcolabili sia in termini economici che umani e sociali. Che almeno in parte potrebbero essere evitati, o almeno ridotti in modo significativo, adottando politiche di prevenzione adeguate. Invece nella stragrande maggioranza dei paesi del pianeta questo non succede. Secondi i dati dell’organismo delle Nazioni Unite preposto, dei sette obiettivi principali per la preparazione alle emergenze ben 133 paesi su 195 non avrebbero fatto nulla e 54 avrebbero cominciato ma sarebbero ben lontani da aver fatto tutto. Solo 6 paesi (su 195!) hanno completato il percorso e sono stati validati, altri 2 sono in fase di validazione.
La cosa più sorprendente è che a non aver fatto nulla quasi sempre sono proprio i paesi più “sviluppati”. Quelli che in teoria dovrebbero essere più attenti a questi problemi. Quelli che forse per una forma di estrema presunzione pensano di essere pronti a sopportare tutto. Essere davvero preparati, per questi governi (e per i loro contribuenti) significherebbe risparmiare miliardi di euro ogni anno, per non parlare dei benefici in termini di danni immateriali e delle vite umane che potrebbero essere salvate. Scegliere di “non” essere pronti invece costringe questi paesi a spendere miliardi di euro, in fretta e furia (e senza rispettare le normali regole di mercato) ogni volta che si verifica una catastrofe naturale.