G7 o G77?

di C. Alessandro Mauceri

Mentre in occidente si sta cercando di capire cosa abbiano deciso i leader dei paesi del G7 (tutti dicono di essere pronti ad aiutare l’Ucraina fornendo armi e armamenti, ma in realtà molti si sono già defilati), nel resto del mondo si pensa ad altro.
A settembre si sono svolti gli incontri del G77, il gruppo costituito in origine da 77 paesi in via di sviluppo o paesi poveri (più la Cina). Nato nel 1964, con la firma della “Dichiarazione unitaria dei 77 Stati”, durante l’incontro a Ginevra della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo e il Commercio, UNCTAD, i primi incontri del G77 tennero ad Algeri nel 1967. In quell’occasione gli Stati membri approvarono la “Carta di Algeri”, un documento istituzionale permanente. Col tempo, questo gruppo è cresciuto fino a diventare una realtà importante. Oggi annovera ben 134 Stati ai quali si aggiunge la Cina. I numeri complessivi sono importanti: i paesi membri raggruppano oltre l’80% della popolazione mondiale. In termini di PIL, il totale del Prodotto interno lordo dei paesi del G77 (con la Cina) è maggiore del PIL dei paesi del G7 o dei gruppi dei paesi “sviluppati”. Ma non basta. I paesi membri del G77 sono i 2/3 degli Stati membri dell’Onu. Questo significa che hanno un peso decisivo anche a livello di decisioni internazionali. E di certo considerevolmente maggiore di quello dei paesi che finora hanno deciso le sorti del pianeta. Forse è per questo motivo che, nell’ultimo periodo, molti paesi sviluppati hanno cercato di ridurre i poteri (se non di diritto almeno di fatto) delle Nazioni Unite.
Per comprendere l’importanza del G77 basti pensare che è più facile dire chi non ne fa parte che il contrario. Del G77 non fanno parte i paesi occidentali dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), quelli della Comunità degli stati indipendenti, tra i quali la Russia, e quelli del Commonwealth britannico. Tutti gli altri fanno parte del G77. La Cina, pur non essendo membro ufficiale del gruppo, da sempre è parte attiva delle decisioni e delle risoluzioni. Non è un caso se il titolo dell’ultimo incontro che si è svolto a settembre è stato “G77 + Cina. Current development challenges: the role of science, technology and innovation”.
Incontri che hanno sempre prodotto risultati sorprendentemente concreti e centrati sui veri problemi del pianeta. Al termine dell’ultimo summit, i partecipanti hanno detto di essere preoccupati per “le principali sfide generate dall’attuale ingiusto ordine economico internazionale per i paesi in via di sviluppo hanno raggiunto la loro espressione più acuta”. Una preoccupazione condivisa dall’ultimo rapporto UNCTAD sul commercio e lo sviluppo che ha avvertito che l’economia globale è in stallo, con una crescita che rallenta nella maggior parte delle regioni rispetto allo scorso anno e con solo pochi paesi in controtendenza.
Mentre i paesi del G7 continuano a riempire le prime pagine dei giornali di notizie sull’Ucraina e sui migranti, i membri del G77 parlano di problemi globali: secondo i partecipanti all’ultimo incontro, “l’economia globale è a un bivio, dove percorsi di crescita divergenti, disuguaglianze in aumento, crescente concentrazione del mercato e crescenti oneri del debito gettano ombre sul futuro”. Tra le conseguenze di questo stato di cose l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) entro il 2030 a causa di una combinazione letale di aumento dei tassi di interesse, indebolimento delle valute e rallentamento della crescita delle esportazioni che rende impossibile per molti governi adottare misure efficaci nella lotta ai cambiamenti climatici e alla riduzione dei livelli di fame e povertà. L’inasprimento della politica monetaria ha “contribuito poco alla riduzione dei prezzi e ha avuto un costo elevato in termini di disuguaglianza e prospettive di investimento danneggiate. Nel frattempo, il costo della vita e l’insufficiente crescita dei salari continuano a comprimere i bilanci delle famiglie ovunque”, dicono i tecnici di UNCTAD.
Sono proprio i paesi in via di sviluppo quelli più colpiti. Anche a causa della stretta monetaria nelle economie avanzate. Un divario crescente nei livelli di ricchezza potrebbe minare la ripresa economica e le aspirazioni di molti paesi di poter raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). Sono anni che l’indice di Gini sale, ma i grandi economisti dei paesi sviluppati fingono di non vederlo e di non sapere quali potrebbero essere le conseguenze di questo cambiamento.
Duro il giudizio anche sul comportamento dei paesi sviluppati nei loro confronti. “Le sanzioni unilaterali contro i paesi in via di sviluppo non solo minano i principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale, ma costituiscono un ostacolo serio al progresso della scienza, della tecnologia e dell’innovazione, e alla piena realizzazione dello sviluppo economico e sociale”. Per questo, a breve, i paesi del G77 e la Cina potrebbero chiederne l’eliminazione.
L’aspetto più interessante emerso dagli incontri di settembre è che i paesi del G77 sembrano aver compreso il loro potere. Nella dichiarazione finale è stata avanzata la proposta di “una riforma dell’architettura finanziaria globale” e di adottare “un approccio più inclusivo e coordinato alla governance finanziaria globale con maggiore enfasi sulla cooperazione tra i paesi”. Una riforma che confermerebbe lo spostamento del baricentro economico, politico e sociale sempre più a Est.
Durante gli incontri, non sono mancate alcune riflessioni anche sul tema dei diritti umani. Mentre i paesi sviluppati sembrano fare a gara a chi viola di più i diritti umani (dei migranti – si pensi alle polemiche sulle barriere tra USA e Messico o ai migranti nel Mar Mediterraneo – o dei rifugiati – si pensi al trattamento riservato a quelli giunti nel Regno Unito), i paesi del G77 non hanno mancato di far rilevare “le ripercussioni negative e devastanti delle misure coercitive sul godimento dei diritti umani, compreso il diritto allo sviluppo e al cibo”. Tra i temi discussi anche quello delicatissimo dei danni prodotti dall’unipolarismo. Al G77 è stata ribadita l’importanza del multilateralismo. Un argomento sul quale il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dichiarato che il “G77 + la Cina” è “da sempre sostenitore del multilateralismo”. Guterres ha detto che “le regole per le nuove tecnologie non possono essere scritte solo dai ricchi e dai privilegiati”. Con lo sguardo rivolto al ruolo internazionale delle Nazioni Unite, Guterres ha detto, però, che c’è il rischio che un mondo multipolare possa generare scontri. Un modo diverso per giungere alla stessa conclusione: potrebbe essere giunto momento di cambiare il modo di vedere il mondo. “Ci stiamo avvicinando sempre più a una grande frattura – ha detto Guterres – è tempo di rinnovare le istituzioni multilaterali. Ciò significa riformare anche il Consiglio di Sicurezza in linea con il mondo di oggi”.
La domanda è chi dovrà pensare e scrivere, nero su bianco, il nuovo modo di regolamentare i rapporti tra i paesi del mondo? Stando ai numeri, a farsi carico di questo pesante fardello potrebbero non essere i paesi del G7. Ma quelli del G77.