Gilet gialli, l’inizio della storia

Com’è nato il movimento nazional-popolare che sta scuotendo la Francia.

di Gianluca Vivacqua

In altri tempi, ad altre latitudini, avremmo trovato un pescivendolo o un battiloro. Rappresentanti del popolo auto-legittimatisi a guidarne la protesta. In altri tempi, ad altre latitudini, avremmo trovato questa stessa protesta indirizzata contro un’odiosa gabella sulla frutta o magari ad esprimere un’esasperazione di fronte ad una carenza di grano per fare il pane. Non era ancora l’epoca dei veicoli a motore, né della benzina o del gasolio: la storia ha voluto che la prima vera insurrezione popolare contro l’aumento del prezzo del carburante sia scoppiata in Francia, e che a guidarla – non senza una certa coerenza – siano due camionisti. Eric Drouet e Bruno Lefevre: sono loro i Masaniello e i Giuseppe d’Alessi d’oltralpe patentati.
Eppure non è partita da loro l’idea di una mobilitazione di massa volta a dire no ad uno dei provvedimenti più contestati dell’era Macron e a scatenare, così, un piccolo autunno caldo in Francia. Drouet e Lefevre non hanno fatto altro che trasportare su Facebook – e trasformarla in un appuntamento reale, fisico; quella base di protesta che era già stata raccolta da una cittadina di Savigny-le-Temple, Priscilla Ludovsky, tramite una petizione online lanciata su Change.org. A fine ottobre, non molto tempo dopo l’emanazione degli esecrati aumenti da parte del ministro Le Maire, un boom di 300mila sottoscrizioni, tutta rabbia senza volto pronta a raccogliere una chiamata in piazza. Naturalmente non tutti quei 300mila sono poi scesi effettivamente in prima linea, nel corso degli ultimi tre sabati che hanno infuocato il paese transalpino. Per la precisione il 17 novembre, all’esordio della protesta si contavano, come riporta Repubblica.it, 282.mila presenze; il 24, cioè il sabato che sarà ricordato come quello della guerriglia all’ombra degli Champs Èlysées, i manifestanti erano calati a 108mila secondo Adnkronos, ma tpi.it parla di una ancor più modesta quota 23mila; infine il 1° dicembre, se si dà credito al Corriere della Sera, c’è stata una risalita, 136mila arrabbiati, ma a smentire il dato c’è today.it che ne conta ben cento in meno. Come si può notare, al di là di questa girandola discordante di cifre emerge una tendenza e parla con chiarezza di una maggioranza silenziosa che continua a sentirsi idealmente parte attiva di questa lotta ma preferisce far sentire la propria voce attraverso un’avanguardia di ribellione.
Drouet e Lefevre, in realtà, non sono stati i primi neppure a promuovere manifestations de doléance all’aperto. Semplicemente le hanno organizzate su larga scala in modo da farne un movimento di respiro nazionale, con tanto di simbolo (i “gilet gialli”, gilets jaunes). Ma a precederli nelle azioni di rivolta plateali, seppur circoscritte e isolate, sono stati i cittadini che hanno bloccato il traffico ai caselli autostradali di Antibes e di Nizza-St. Isidore, proprio mentre su Internet la Ludovsky stava ancora raccogliendo consensi. Ai due camionisti venuti dal dipartimento della Seine-et-Marne si deve, se così si può dire, il merito di aver trasformato la protesta da carbonara a mazziniana, anche se gli ultimi sviluppi in seno al movimento – e parliamo di una sorta di scissione dell’ala moderata, che già si fa chiamare dei Citrons jaunes, “limoni gialli” – farebbero pensare piuttosto a cose che hanno maggiormente a che fare con la storia francese. Per esempio il famoso divorzio fra giacobini e foglianti.