Giornata della tolleranza zero nei confronti delle mutilazioni genitali femminili

di C.Alessandro Mauceri

violenza sessuale sulla donnaIl 6 febbraio si celebra la Giornata mondiale della tolleranza zero nei confronti delle mutilazioni genitali femminili.
Dopo numerose proteste, dal 2012 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione sulla messa al bando universale delle mutilazioni genitali femminili. Ma la decisione è stata ratificata “solo” dai due terzi degli stati membri delle Nazioni Unite.
“Noi tutti – governi, operatori sanitari, leader di comunità, genitori e famiglie – dobbiamo ampliare i nostri sforzi per eliminare definitivamente questa pratica – ha dichiarato Geeta Rao Gupta, Vice Direttore generale dell’Unicef -. Determinare l’ampiezza della diffusione di queste pratiche è fondamentale per eliminarle. Quando i Governi raccoglieranno dati e statistiche a livello nazionale sulle MGF vorrà dire che avranno maggiori strumenti per comprendere la diffusione della pratica e ampliare gli sforzi per proteggere i diritti di milioni di ragazze e donne”.
Nonostante tutte le raccomandazioni, gli inviti e le leggi che la vietano, si tratta purtroppo di una pratica ancora in uso. Non solo in molte regioni africane, in alcuni paesi e comunità del Medio Oriente, Asia e America Latina, ma, a seguito del fenomeno migratorio, anche in Europa e in Italia. Secondo l’Unicef, le mutilazioni vengono praticate per diverse ragioni: sessuali, sociologiche, di integrazione sociale e di mantenimento della coesione nella comunità, igieniche ed estetiche, sanitarie (alcuni sarebbero convinti che la mutilazione favorisca la fertilità della donna e la sopravvivenza del bambino) e religiose. Le vittime sono principalmente bambine tra i 4 e i 14 anni di età. Ma, in alcuni paesi, come in Eritrea, nel Mali e nello Yemen, vengono operate bambine con meno di un anno di vita. 
I numeri di questa barbarie sono in continuo aggiornamento, ma, sempre secondo l’Unicef, sono almeno 200 milioni le donne nel mondo che hanno vissuto il dramma delle mutilazioni genitali femminili MGF. Il rapporto Female Genital Mutilation/Cutting: A Global Concern evidenzia come siano 44 milioni le bambine e adolescenti fino a 14 anni che subiscono il taglio del clitoride o peggio l’infibulazione; in questa fascia di età, la prevalenza maggiore è stata riscontrata in Gambia, con il 56%, in Mauritania con il 54% e in Indonesia, dove a subire mutilazioni sono circa la metà delle adolescenti (con un età fino a 11 anni).
Il fenomeno è in calo a livello globale (tra il 2005 e il 2010 si è registrata una diminuzione del 5 per cento, specie tra le ragazze tra i 15 e i 19 anni). Ma le previsioni sono tutt’altro che rosee: si parla di riuscire a dimezzare il numero dei casi non prima del 2074. E, come se non bastasse, in alcuni paesi, anziché diminuire, queste pratiche si stanno diffondendo. Secondo l’istituto sanitario Centers for Disease Control and Prevention (CDC) negli Stati Uniti, negli ultimi anni, il numero degli interventi addirittura triplicato a causa dell’aumento di immigrati. Si stima che, negli Stati Uniti, più di mezzo milione di donne e bambini rischia di subire mutilazioni genitali. A rischio sono 513mila bambine e ragazze, nate o che hanno genitori nati nei paesi dove la tradizione è diffusa. 
In Europa il Parlamento europeo stima che sono circa 500mila le donne e le ragazze che convivono con le mutilazioni genitali e 180mila quelle che annualmente rischiano di esservi sottoposte. Anche in Italia nonostante la campagna lanciata da Emma Bonino negli Anni 90 (“Non c’è pace senza giustizia”) e nonostante la legge preveda da 3 a 16 anni per chi pratica la circoncisione femminile, sono stati registrati numerosi casi di MGF. Come ha confermato il direttore del centro per le MGF dell’ospedale di Careggi: “Il numero di donne con mutilazioni con cui veniamo a contatto è cresciuto di pari passo con l’aumento degli sbarchi”. L’Italia è al quarto posto in Europa. Secondo il ministero delle Pari opportunità in Italia sono almeno 1.100 le bambine a rischio.
Ma si tratta di dati che risalgono al 2009. L’istituto Piepoli ha confermato che non c’è uno studio così approfondito più recente. In Italia, si stima che nel 2009 erano 35mila le donne vittime di mutilazioni genitali.
La dottoressa Maria Concetta Segneri, antropologa dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti, ha spiegato alcune delle motivazioni che stanno dietro alla perpetuazione di queste pratiche: “In Africa spesso sono considerate consuetudini per entrare nell’età adulta. Sono utilizzate per venire accettate nella società, per sposarsi ad esempio. In alcuni contesti invece, può accadere che siano usate per spingere il femminile verso una condizione di subalternità. E questo può accedere, per esempio, durante periodi di conflitto armato tra gruppi sociali. Le motivazioni che si trovano alle base delle MGF insomma, possono cambiare. Quando una donna emigra invece, la pratica può essere risignificata. A questo punto bisogna capire perché le persone continuino a praticarla. Bisogna interrogarsi sul perché una cittadina straniera che vive da anni in un Paese come l’Italia decida comunque di escidere o infibulare sua figlia. Oltretutto in Italia le MGF sono vietate per legge”.
Le donne che subiscono questa pratica rischiano gravi danni fisici, talvolta irreversibili, oltre a pesanti conseguenze psicologiche. Oltre che umilianti, le mutilazioni genitali sono estremamente dolorose. Secondo l’Unicef, le bambine che vi sono sottoposte possono morire per cause che vanno dallo shock emorragico a quello neurogenico, cioè provocato dal dolore e dal trauma, all’infezione generalizzata (sepsi). Alcune bambine sono entrate in uno stato di shock a causa dell’intenso dolore e del pianto irrefrenabile che segue. Nel lungo periodo le conseguenze sono la formazione di ascessi, calcoli e cisti, la crescita abnorme del tessuto cicatriziale, infezioni e ostruzioni croniche del tratto urinario e della pelvi, forti dolori nelle mestruazioni e nei rapporti sessuali, maggiore vulnerabilità all’infezione da Hiv, epatite e altre malattie veicolate dal sangue, infertilità, incontinenza, maggiore rischio di mortalità materna per travaglio chiuso o emorragia al momento del parto. 
Conseguenze che non sono bastate, però, a far cessare questa pratica disumana.