I curdi alla canna del gas, non basta il petrolio comprato dall’Italia

di Mario Sommossa –

camion petrolio filaQuesti giorni, sulle bancarelle di alcuni mercati del Kurdistan iracheno chi lo volesse potrebbe trovare, mischiati ad altri oggetti di uso quotidiano, armi leggere di fabbricazione tedesca.
Sono una buona parte di quelle recentemente inviate dalla Germania ai peshmerga curdi per sostenerli nella guerra contro i terroristi dell’Isis. Com’è possibile che armi così necessarie al combattimento, invece di essere custodite con premura siano a disposizione di chiunque?  Per chi da sempre guarda con simpatia al popolo curdo e alla sua causa è duro ammetterlo ma sono gli stessi peshmerga ad averle vendute per procurarsi un po’ di denaro.
Nessuno potrebbe dubitare del patriottismo di quei soldati e della loro sincera volontà a battersi per difendere la loro terra rischiando la vita ogni giorno ma ciascuno di loro ha lasciato nelle retrovie una famiglia da mantenere e sono mesi che il governo di Erbil non riesce a pagarli.
La causa non è certo né cattiva volontà né inefficienza dell’amministrazione: purtroppo, nonostante gli sforzi del Governo, la Regione Autonoma è in preda da mesi a una gravissima crisi finanziaria e le casse pubbliche sono esauste. Da più di un anno Bagdad non elargisce il previsto 17% del budget statale destinato al Kurdistan e il prezzo dl vendita del petrolio, sceso a così bassi livelli, non è più sufficiente a ripagare nemmeno la quota parte dovuta alle imprese energetiche che stanno operando nella zona.
Su una popolazione di circa cinque milioni di curdi, si stima che uno su sei (ivi compreso i bambini) sia un dipendente pubblico e il puro costo dei loro salari ammonta a una cifra compresa tra i 700 e gli 800 milioni di dollari il mese. A questa cifra va aggiunto quanto necessario per ospitare i quasi due milioni di profughi che si sono rifugiati nell’ospitale Kurdistan iracheno per fuggire dai territori occupati dall’ISIS. Si tratta di curdi siriani, yazidi, arabi e cristiani di ogni etnia che solo lì hanno potuto trovare un luogo sicuro ove attendere la fine delle guerre in corso. La spesa totale per il regolare funzionamento dell’amministrazione ammonta a circa 14 miliardi l’anno e, considerato che nel 2015 il Krg è riuscito a esportare in proprio solo una media di 600 mila barili il giorno, i proventi ottenuti hanno di poco superato i 400 milioni al mese cioè meno della metà del fabbisogno. Come se non bastasse, Erbil ha debiti arretrati di almeno 14 miliardi di dollari, di cui 4 miliardi dovuti come royalties alle compagnie petrolifere che estraggono gas e petrolio nei pozzi curdi.
Ciò che si prospetta per il 2016 lascia trapelare una situazione ancora peggiore poiché, per motivi sia tecnici sia finanziari, la produzione di gas e petrolio è prevista in diminuzione. Una dei consorzi che fu tra i primi a entrare in Iraq con la norvegese Dana Gas, ha iniziato una serie di cause internazionali contro il governo regionale per ottenere il pagamento di un credito di più di 900 milioni. La corte arbitrale internazionale di Londra ha già emesso un primo verdetto che impone il pagamento di circa 2 miliardi di dollari comprendendo interessi e mancati guadagni. Nonostante il Krg sia ricorso in appello, il timore è che anche altre società creditrici che operano nello stesso settore vogliano seguire la strada di Dana Gas e ottenere altre sentenze favorevoli. E’ per questo motivo che il governo curdo, mettendo temporaneamente da parte gli arretrati, ha fatto di tutto per rispettare almeno le scadenze degli ultimi quattro mesi. Da qui una disponibilità ancora minore di denaro per pagare regolarmente i salari agli impiegati pubblici, ivi compresi i peshmerga che stanno al fronte.
Il costo dell’estrazione del petrolio in Kurdistan è, di per sé, particolarmente favorevole poiché si aggira attorno ai 10 dollari al barile. A tale cifra si deve però aggiungere il costo del trasporto fino a Ceyhan in Turchia, il margine richiesto dalla commercializzazione e lo sconto necessariamente dovuto ai possibili acquirenti già minacciati da Baghdad di non più trattare con chi acquisti direttamente dal Kurdistan senza passare dalla SOMO, la società statale irachena. Si calcola che per perequare il proprio budget e cominciare a pagare i debiti pregressi, il prezzo di vendita dell’oro nero dovrebbe salire rapidamente ad almeno 65 dollari al barile, cosa che gli analisti tendono a escludere per almeno un anno o due. E’ curioso per noi italiani sapere che la maggior destinazione del petrolio curdo è proprio il nostro Paese, seguito per quasi la metà dei volumi da Israele e poi, in ordine, da Emirati Arabi, Croazia, Polonia e altri.
Se le potenze internazionali, che sanno essere i curdi la più forte barriera militare contro il dilagare dell’ISIS in Iraq, non interverranno urgentemente con un aiuto finanziario verso il Governo di Erbil, potrebbe succedere che i peshmerga, valorosi sul campo di battaglia, finiscano tuttavia sconfitti non dalle armi ma dal vile denaro.

Su gentile concessione dell’autore, pubblicato originariamente su Sputnik Italia.