I riflessi del conflitto Hamas – Israele sulla Bosnia, tra rischi di radicalismo islamico e tentazioni separatiste filo Cremlino

di Lorenzo Pallavicini

Il conflitto in atto in Medio Oriente produce scosse anche in Bosnia Erzegovina, in cui la Federazione croato musulmana è l’unica realtà in Europa, ad esclusione dell’Albania e del non ancora pienamente riconosciuto Kosovo, a maggioranza religiosa islamica.
Recentemente, l’intelligence italiana ha sottolineato i rischi di crescita dell’integralismo islamico nella regione balcanica, elemento presente sin dall’epoca della guerra per l’indipendenza della Bosnia dei primi anni Novanta.
Il leader musulmano bosniaco Alija Izetbegovic aveva potuto contare sul supporto finanziario e anche di volontari armati provenienti da paesi musulmani come, ad esempio, l’Arabia Saudita, legami che costruiti negli anni precedenti nell’ottica dell’islam politico su modelli come il turco Erbakan, ex leader del partito del Benessere, di stampo islamista nelle cui fila era anche l’attuale presidente della Turchia Erdogan.
Diversi militanti del gruppo terroristico legato ad Osama Bin Laden, al-Qaida, si sono fatti le ossa combattendo in Bosnia per la causa musulmana, un modello simile, dal punto di vista ideologico, alla guerriglia dei mujaheddin contro l’Armata Rossa in Afghanistan, un periodo che vide la pianificazione della strategia di attacco all’occidente, “ufficializzata” nel 1996 da Al Qaida con la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti e ai loro alleati per una serie di cause tra cui anche il sostegno ad Israele, antagonista della Palestina.
Nonostante la presenza di tali fondamentalisti, noti all’amministrazione americana Clinton, gli Stati Uniti e gli alleati occidentali sostennero la causa bosniaca, prima con l’embargo economico ONU della risoluzione 713 nei confronti della Jugoslavia e poi con l’operazione NATO Deliberate Force che pose fine ai combattimenti tra le due fazioni e portò nel novembre 1995 agli accordi di Dayton che ancora oggi regolano la vita politica in Bosnia.
Da quel periodo in Bosnia vi sono de facto due entità separate, la Repubblica Srpska e la Federazione Croato Musulmana, due mondi che cercano di evitarsi il più possibile, in cui è presente la forte contrapposizione tra la realtà islamica e quella cristiano ortodossa e dove l’alto rappresentante per la Bosnia in carica, la massima autorità dello Stato, fa fatica a far condividere ad entrambi soluzioni per il paese.
Da anni è oramai esplicita la volontà del leader dei serbi di Bosnia, Milorad Dodik, di attuare una possibile secessione dalla Bosnia per arrivare al sogno, mai sopito dalla parte serba, di riunirsi a Belgrado, con cui condivide anche una visione storica sulla guerra bosniaca assai diversa da quella della comunità musulmana e il no alla legge sul riconoscimento del genocidio di Srebrenica.
Il conflitto palestinese è una causa che può rinfocolare le tensioni nell’area, sia i sentimenti separatisti dei serbo bosniaci sia focolai di estremismo islamico, e i pensieri su questo tema sono assai diversi a seconda delle etnie.
Se a Sarajevo si sono avute diverse manifestazioni in favore di Gaza da parte della popolazione musulmana, con un duro scontro tra la ambasciatrice israeliana in Bosnia-Erzegovina Galit Peleg, e la sindaca di Sarajevo Benjamina Karic riguardo a tali eventi, il leader serbo bosniaco Dodik ha sostenuto “pienamente il diritto di Israele all’autodifesa e alla protezione del suo territorio e del suo popolo” e persino accomunato le vicende del popolo israeliano a quello serbo.
In tale contesto, le minacce provenienti dalla Bosnia sono considerate serie e determinanti nella decisione di temporanea sospensione degli accordi di Schengen presa dall’Italia ai confini della rotta balcanica, che a detta degli 007 italiani presenta maglie troppo larghe in cui potrebbero infilarsi potenziali attori pericolosi in materia di terrorismo, nonostante le vigorose smentite del ministro degli interni bosniaco Ramo Isak.
In passato, elementi bosniaci affiliati all’Isis dalla Bosnia non solo erano andati in Siria a combattere per Daesh ma avevano anche creato in patria primitivi campo di addestramento, grazie alle ingenti quantità di armi ed esplosivi disponibili a seguito dei conflitti balcanici, come ricordato da Europol nel rapporto TESAT (Terrorism Situation and Trend report).
Sull’asse Italia-Bosnia c’è stato il transito di diversi elementi di spicco del fondamentalismo islamico balcanico, tra cui Bilal Bosnic, l’imam salafita radicale itinerante tra varie moschee nel nord Italia e condannato dalla giustizia bosniaca a sette anni di reclusione per propaganda e reclutamento in favore di Daesh.
A dicembre 2022 il consiglio europeo ha riconosciuto alla Bosnia, dopo molti anni, lo status di paese candidato a far parte della Unione Europea e forse tale prospettiva, se sostenuta da serie riforme economiche e da una vera lotta alla corruzione (la Bosnia ha il dato peggiore dei Balcani in questo ramo), potrebbe essere la chiave per prevenire un conflitto molto rischioso e scongiurare l’aumento delle tensioni in tale area.
Tuttavia, come è risaputo, le tempistiche comunitarie sono molto lente e proprio il fattore tempo potrebbe rivelarsi decisivo in questa partita, in cui un aspetto determinante sarà da un lato l’arginamento delle tentazioni filo Mosca dei serbi di Bosnia e dall’altra il contrasto al radicalismo islamico da parte delle autorità bosniache, elemento su cui la UE non potrà più chiudere un occhio come, in parte, avvenne negli anni Novanta durante la guerra di Bosnia.