Il prezzo del gas

di Dario Rivolta * –

L’idea di fissare un prezzo massimo del gas al di sopra del quale nessuno stato europeo dovrà accettare di comprarlo sembra apparentemente un’idea ottima e di facile realizzazione. L’Europa nel suo insieme è un grande compratore di energie fossili, e di gas in particolare, per cui sembra automatico immaginare che possegga un così forte potere negoziale da riuscire a imporre il prezzo che preferisce. Infatti, nonostante il mercato abbia e stia tuttora oscillando tra un prezzo di 200 e 300 dollari per megawattora, l’ipotesi su cui sembrava stesse lavorando il Consiglio europeo era addirittura di circa 50 dollari. Alcuni Paesi europei hanno manifestato con varie motivazioni il loro dissenso, ma la frattura più importante fra i vari ministri è tra chi vorrebbe imporre tale tetto solamente al gas proveniente dalla Russia e chi, come l’Italia, chiede comprensibilmente che riguardi tutti i venditori via gasdotto. I primi, quelli che vorrebbero penalizzare solo il gas russo, lo fanno per due obiettivi contemporanei. Uno è quello ridurre ulteriormente le entrate del bilancio russo e colpire così i costi che Mosca deve affrontare per nutrire la propria guerra in Ucraina. Il secondo è quello di avere le mani libere per accettare le condizioni che il mercato dell’offerta, comprendente tutti gli altri fornitori, vorrà imporre (fra costoro anche Olanda e Norvegia). Nel caso passasse la prima ipotesi, il rischio sarebbe vedere queste ultime forniture aumentare ulteriormente il loro prezzo approfittando del calo dell’offerta russa.
Di là dall’apparente semplicità di una qualunque di queste due soluzioni, il problema che non sembra sia considerato è: cosa fare se i venditori non accettassero un prezzo che potrebbero considerare troppo basso e si rifiutassero, quindi, di vendere a quelle condizioni? E’ ovvio che se un produttore di gas non avesse altri clienti potenziali sarebbe pressoché obbligato ad accettare quello che finirebbe con l’assumere la parvenza di un ricatto. Può darsi che sia questo il caso della Russia, almeno a breve termine. I suoi gasdotti sono per la maggior parte orientati verso l’Europa e le pipe-line in direzione oriente, cioè verso Cina, Mongolia e Corea non hanno la capacità, per ora, di assorbire le quantità che oggi sono indirizzate in occidente. A questo punto, se il meccanismo ipotizzato dall’Europa fosse tradotto in pratica, a Mosca non resterebbe che o accettare le condizioni imposte oppure ingaggiare un braccio di ferro e vedere chi la spunterà.
Se il price-cap fosse applicato a tutti i gasdotti, più complicata sarebbe la situazione dell’Azerbaigian e dell’Algeria che finirebbero col poter vendere a clienti non europei solo una piccola percentuale delle loro vendite attuali, avendo anch’essi l’Europa come cliente più importante.
Certamente resterebbero esclusi dalle previste imposizioni favoriti tutti i produttori che vendono tutto o la maggior parte del proprio gas sotto forma liquefatta poiché le loro navi potranno continuare a scegliere di indirizzarsi dove il mercato pagherà di più. E saranno allora loro a fissare i prezzi.
Mentre si valutano tutte le possibilità (non solo il price-cap) per cercare di ridurre il costo dell’energia a carico di aziende e consumatori privati, non sarebbe inutile che i nostri politici dessero uno sguardo a quello che è successo in Australia nelle scorse settimane, quando si è deciso un prezzo fissato dal Governo.
Anche nella lontana Oceania i prezzi dell’energia hanno subito un’enorme impennata nell’ultimo anno. Come ovunque, le cause non sono solo le tensioni sulle materie energetiche (e altro) innescate dalla guerra in Ucraina, ma dipendono anche dalla riduzione delle disponibilità logistiche nei trasporti, nelle manutenzioni e negli investimenti verificatesi durante il periodo Covid e la ripresa della domanda alla fine dell’emergenza più forte. Naturalmente, a far da cappello a tutto questo è importante non dimenticare l’enorme e incontrollata speculazione finanziaria su tutte le materie prime.
Ebbene, proprio per cercare di proteggere industrie e consumatori, a metà giugno l’Australian Energy Market Operator decise di imporre sui prezzi all’ingrosso dell’elettricità un tetto di 300 dollari australiani (uguale a 200 dollari americani) per megawattora. L’Australia è il più grande esportatore mondiale di gas liquefatto e le sue esportazioni riguardano circa tre quarti di tutta la produzione locale. I suoi clienti principali sono, nell’ordine, il Giappone, la Cina, la Corea del Sud, il Vietnam e solo dopo viene il mercato interno. I locali produttori di gas e i relativi grossisti sono tutti soggetti privati e di fronte all’imposizione dell’Authority la loro risposta fu che il prezzo di break-even per la produzione di energia elettrica (in gran parte originata da turbine a gas) era di 400 dollari australiani. Era quindi impossibile per loro, a loro stesso giudizio, aderire a un prezzo giudicato inaccettabile. Il governo cercò di rispondere con un ricatto: o i produttori si adattavano al prezzo imposto oppure Canberra avrebbe deciso, alternativamente, per la nazionalizzazione o per il blocco delle esportazioni. Il risultato di quel braccio di ferro, tutto interno al Paese sovrano, fu che in tutta l’Australia si creò uno shortage di energia elettrica e l’Authority dovette prendere il controllo direttamente della rete di distribuzione per almeno una settimana. Tuttavia, il governo non se la sentì di procedere alle nazionalizzazioni e, ancora meno, di bloccare le esportazioni. La maggior parte dell’export australiano di gas riguarda contratti a lungo termine e un blocco in quella direzione avrebbe intaccato l’affidabilità dell’Australia come fornitore e rischiato pesanti penali imposte dai clienti. La fissazione artificiale di un prezzo massimo ha quindi richiesto un qualche ripensamento e una negoziazione con i produttori.
Se tutto ciò è avvenuto in Australia, ove i produttori erano soltanto nazionali, sarebbe certo doveroso per i ministri europei valutare tutte le possibili conseguenze con estrema attenzione qualora decidessero di continuare sulla strada della fissazione di un prezzo massimo nell’acquisto del gas in arrivo nel continente.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.