India. La crisi economica del paese sotto il governo Modi

di Alberto Galvi

Il primo ministro indiano Narendra Modi è salito al potere più di 5 anni fa quando rappresentava la speranza per il paese di ottenere una crescita economica necessaria a combattere l’estrema povertà di una nazione di 1,3 miliardi di persone.
L’economia indiana era costantemente perseguitata da un persistente rallentamento del credito, aggravato da quasi 2 anni di crisi del settore bancario che aveva portato ad un calo dei prezzi delle azioni bancarie.
Nei primi anni del suo mandato, Modi era stato in grado di semplificare radicalmente il sistema fiscale del paese istituendo una sola imposta su beni e servizi. 
Con la modernizzazione delle leggi fallimentari del paese, Modi ha contribuito a trasformare l’India in un paese a forte attrazione per investimenti esteri in infrastrutture come strade, aeroporti, trasporti pubblici e servizi igienico-sanitari, che hanno letteralmente migliorato la vita di centinaia di milioni di persone nel giro di pochi anni.
Infatti tra il 2006 e il 2016 enormi progetti di costruzioni hanno reso facile trovare un lavoro stabile nelle fabbriche in città, la cui rapida crescita ha coinciso con un boom economico lungo un decennio che ha permesso a 270 milioni di persone di uscire dalla miseria.
Poi il motore degli investimenti si è spento a causa dei ritardi nei progetti e delle autorizzazioni insieme alle ordinanze dei tribunali, che hanno annullato alcune decisioni del governo.
Per questa ragione il rallentamento nel settore delle costruzioni è stato un duro colpo per milioni di persone che vivono nelle città e nei villaggi che dipendono dal lavoro salariato per sostenere sé stessi e le loro famiglie. 
Le aree rurali dipendono invece fortemente dalle rimesse dei lavoratori edili migranti. La crisi attuale del settore agricolo può essere attribuita alla diminuzione della fertilità del suolo, all’affondamento della falda acquifera, all’aumento dei costi e agli scarsi ritorni economici per gli agricoltori.
Nella primavera del 2019 per riuscire a essere rieletto dopo la grave crisi economica in cui versava il paese, Modi ha optato per racimolare voti ad appoggiare il nazionalismo indù.
Dato che il nazionalismo ha assunto un ruolo importante nella politica del governo, ha iniziato a minacciare direttamente la democrazia secolare costituzionalmente obbligatoria del paese.
Dopo essersi assicurato la rielezione, Modi ha continuato ad appoggiarlo, trascurando gli accordi di libero scambio con gli Stati Uniti, mentre ha mostrato un notevole interesse a quelli con l’Unione europea.
Inoltre al fine di tutelare i prodotti indiani il governo Modi si è visto contrario al partenariato economico globale regionale con i paesi del Pacifico e del Sud-est asiatico.
Per il governo indiano rimane adesso una sfida cercare di creare una maggiore occupazione e risolvere i problemi nei settori manifatturiero e delle costruzioni, anche se la maggior parte delle riforme economiche finora apportate da questo governo in materia economica si sono concentrate esclusivamente sui cambiamenti in campo amministrativo e di governance pubblica.
La forza politica di Modi e del suo partito il BJP (Bharatiya Janata Party), che gli ha permesso di raggiungere lo scorso anno la sua seconda vittoria consecutiva non sta sicuramente nelle sue riforme economiche ma è data dalla combinazione di una retorica nazionalista mista ad una serie di programmi di assistenza sociale.