India. La pioggia artificiale per nascondere la polvere (sottile) sotto il tappeto

di Giorgio Buro

Delhi è la città più inquinata del mondo. La megalopoli indiana, con 28 milioni di abitanti, è uno dei motori economici e culturali del Paese, e oggi si trova a fronteggiare una crisi silenziosa, ciò che uno studio dell’Università di Chicago ha definito come “la più grande minaccia alla salute umana in India”.
La ricerca rivela infatti che la pessima qualità dell’aria della città accorcia di cinque anni l’aspettativa media di vita di un residente; se la concentrazione di polveri sottili si attestasse ai livelli suggeriti dall’OMS, si ritiene che l’aspettativa potrebbe allungarsi perfino di dodici anni.
Si tratta di statistiche che inquadrano a tutti gli effetti il tema in una cornice di salute pubblica, un dramma che in questo istante si consuma dall’altra parte del mondo ma che virtualmente minaccia ognuno di noi.
Per quantificare il livello di allerta generato dal fenomeno, basti pensare che gli scienziati indiani stanno sviluppando un piano per irrigare l’area metropolitana della capitale attraverso una pioggia generata in maniera artificiale, così da eliminare il particolato in sospensione.
Il processo, già noto in campo scientifico come “cloud seeding”, consiste nel disseminare ioduro d’argento all’interno di nuvole che contengono acqua in stato liquido e a temperatura molto bassa. Lo ioduro d’argento è un composto chimico la cui struttura è simile a quella del ghiaccio: una volta introdotto nella nuvola, sarebbe in grado di fornire un nucleo di condensazione intorno al quale l’acqua si congela, guadagnando il peso necessario per precipitare sotto forma di pioggia o neve.
Tuttavia la proposta genera forti perplessità: le evidenze scientifiche sull’effettivo impatto del cloud seeding sono scarse, quando non contraddittorie. È difficile determinare se la pratica possa davvero incidere sulla quantità e sull’intensità delle precipitazioni, dal momento che le variabili che determinano le condizioni meteorologiche sono molteplici e tendono a generare scenari di difficile lettura.
Quel che più stona, in conclusione, è che il disperato tentativo degli scienziati indiani è l’ennesima riprova che la forma mentis contemporanea nella gestione delle crisi non è cambiata: ci si concentra molto sul sintomo e poco sulla causa.
Il livello delle polveri sottili a Delhi, così come a Milano, Jakarta o Los Angeles, è lo spiacevole sintomo di una condotta politica irresponsabile. I regimi produttivi del terzo millennio non tengono conto a sufficienza delle implicazioni future, e poco importa che ci si riempia la bocca di terminologia ecocompatibile, se poi si cerca di contrastare l’avvelenamento dell’aria con la pioggia artificiale anziché con un approccio autenticamente orientato verso la sostenibilità. Il tempo per rimediare sta finendo.