Iran. Il tribunale rivoluzionario condanna a morte un oppositore

di Shorsh Surme –

Le autorità iraniane hanno dichiarato di aver giustiziato un prigioniero condannato per un presunto crimine commesso durante le proteste in corso nel Paese. Nella fattispecie il 23enne Mohsen Shekari è stato accusato di aver bloccato una strada nel quadro delle manifestazioni anti-regime e di aver aggredito un poliziotto con un machete.
Sono tuttavia diversi i detenuti nelle carceri iraniane che rischiano la pena di morte per il loro coinvolgimento nelle proteste iniziate a metà settembre dapprima contro la polizia morale, ma che ben presto sono divenute una delle più gravi sfide alla teocrazia iraniana dalla Rivoluzione del 1979.
Gli attivisti avvertono che anche altre persone potrebbero essere messe a morte nel prossimo futuro, ed hanno sostenuto che finora almeno una dozzina di persone hanno ricevuto condanne a morte per il loro coinvolgimento nelle manifestazioni.
L’esecuzione “deve suscitare reazioni forti, altrimenti ci troveremo di fronte a esecuzioni quotidiane di manifestanti”, ha scritto Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore del gruppo Iran Human Rights con sede a Oslo. “Questa esecuzione deve avere rapide implicazioni a livello internazionale”.
L’agenzia di stampa Mizan, gestita dalla magistratura iraniana, ha dichiarato che Shekari è stato condannato dal Tribunale rivoluzionario di Teheran, che di solito procede nei processi “a porte chiuse”, ma va detto che i tribunali sono oggetto di critiche a livello internazionale perché non permettono alle persone sotto processo di scegliere i propri avvocati o di vedere le prove contro di loro.
Shekari è stato arrestato il 25 settembre e poi condannato il 20 novembre con l’accusa di “moharebeh”, una parola in farsi che significa “nemico di Dio”. Questa accusa è stata rivolta ad altre persone nei decenni successivi al 1979 e comporta la pena di morte. L’appello dell’avvocato di Shekari contro la sentenza è stato respinto.
Dopo l’esecuzione la televisione di Stato iraniana ha mandato in onda un pacchetto pesantemente modificato che mostrava l’aula del tribunale e parti del processo di Shekari, presieduto dal giudice Abolghassem Salavati, il quale è soggetto a sanzioni degli Usa per aver inflitto pene severe.
“Solo Salavati ha condannato più di cento prigionieri politici, attivisti per i diritti umani, operatori dei media e altre persone che hanno cercato di esercitare la libertà di riunione e di opinione, spesso a lunghe pene detentive e a condanna a morte”, ha dichiarato nelle motivazioni delle sanzioni il dipartimento del Tesoro nel 2019. “I giudici di questi tribunali rivoluzionari, tra cui Salavati, hanno agito sia come giudici che come pubblici ministeri, hanno privato i prigionieri dell’accesso agli avvocati e hanno intimidito gli imputati”.
Da mesi il governo iraniano cerca di sostenere, senza fornire prove, che a fomentare i disordini sono paesi stranieri, mentre i manifestanti puntano il dito contro il crollo dell’economia, la mano pesante della polizia morale e contro il potere del clero.