Iraq. Tra le proteste e la longa manus iraniana: paese che non conosce pace

di Shorsh Surme

In Iraq la produzione e l’esportazione di greggio continuano in piena normalità nonostante le proteste antigovernative che da settimane interessano il paese. Ad esclusione della regione federale del Kurdistan, dove manifestanti hanno bloccato i maggiori giacimenti di petrolio e porti chiave, come affermano fonti governative.
Un rapporto di S&P Global Platts ha indicato che le esportazioni di greggio dai terminal meridionali dell’Iraq sono a 3,6 milioni di barili al giorno per il mese di novembre, rispetto ai 3,45 milioni di barili di ottobre.
I cosiddetti dirigenti dell’Iraq si sono assicurati di proteggere i pozzi petroliferi al centro e al sud dell’Iraq, per cui non vi è “Nessun danno alla produzione”, secondo quanto riferito da una fonte anonima nel rapporto S&P Global Platts. “Sono state prese tutte le precauzioni”, ha aggiunto la fonte.
L’Iraq ha le riserve petrolifere più grandi del mondo ed è il secondo produttore dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC). Tuttavia, i suoi cittadini soffrono di estrema povertà e la disoccupazione è alle stelle, il che ha portato a continue proteste in tutto il paese, particolarmente a causa della diffusa corruzione nel governo.
Da quando sono iniziate in ottobre le proteste diffuse in tutto Iraq hanno provocato la morte di almeno 300 persone, mentre circa 12mila sono state ferite, secondo l’Alta commissione per i diritti umani dell’Iraq. Il giornale americano The New York Times lunedì ha rivelato la vasta penetrazione dell’Iran nella politica e nella società irachena a partire dalla caduta del regime di Saddam Hussein.
Una fonte anonima, probabilmente irachena, ha fornito 700 pagine di documenti dell’intelligence iraniana relativa agli anni 2014/2015, materiale con cui ha voluto denunciare “cosa sta facendo l’Iran nel suo paese, l’Iraq”.
L’iniziativa del Times mira a far sapere agli americani quello che hanno fatto 16 anni fa: dopo aver defenestrato, giustamente, il dittatore Saddam Hussein, i popoli dell’Iraq speravano di cambiare il clima di odio, di guerra e non solo, basti pensare che Teheran ha sviluppato legami con una vasta gamma di figure politiche irachene. Molte di queste relazioni risalgono a tre decenni fa: agli anni ’80, quando Hussein attaccò l’Iran credendo di poter ottenere una rapida vittoria, visto lo scompiglio che sembrava abbracciare quel paese dopo la rivoluzione del 1979.
Ma non ci fu una rapida vittoria per l’Iraq. Invece sì innescò una guerra sanguinosa e prolungata per ben otto anni. A quel tempo l’intelligence iraniana sviluppò legami con molti gruppi e individui che ora governano l’Iraq. I dirigenti sciiti.