La teoria dell’emulazione democratica dietro all’invasione dell’Ucraina?

di Andrea Cantelmo

I motivi per cui è stata invasa l’Ucraina, tra ufficiali ed ufficiosi, sono numerosi e ampiamente noti. Ormai a più di un anno di distanza dall’ingresso dei carri armati russi nel territorio ucraino, Putin ha tentato di giustificare in molti modi le sue decisioni. Innanzitutto vi era la deriva nazista del governo di Kiev che, secondo Mosca, aveva orchestrato un piano preciso per togliere ogni diritto alla fetta di popolazione russofona, situata principalmente in Donbass. Quindi il fine ultimo della Russia sarebbe quello umanitario poiché è dovuta correre in soccorso a quei cittadini che sentono di appartenere alla Grande Madre Russia e che erano osteggiati da Kiev.
In secondo luogo vi è la presunta provocazione della continua espansione ad Est da parte della Nato, avvenuta in particolar modo a seguito della disgregazione dell’Unione Sovietica. Il Cremlino, con l’invasione dell’Ucraina, ha chiarito quale sia la linea rossa che l’Alleanza Atlantica non potrà mai varcare e che Kiev non potrà entrare a far parte dell’Alleanza Atlantica per una questione di sicurezza nazionale, ovvero Mosca ritiene ancora fondamentale il “cuscinetto” rappresentato dal territorio ucraino. In più, l’Ucraina è soprannominata “piccola Russia” a Mosca e sarebbe quindi un colpo d’immagine durissimo se essa voltasse definitivamente lo sguardo verso Ovest. Putin, essendo un uomo formatosi nel Novecento, ha ritenuto adeguato il mezzo del conflitto armato per ribadire la sua influenza su Kiev piuttosto che provare a creare un sistema socio-economico più attraente per i Paesi limitrofi rispetto a quello rappresentato dall’Occidente.
La realtà dei fatti spiega bene come alla base delle azioni messe in atto da Putin in Ucraina sin dal 2014 ci sono motivi economici (il Donbass è un territorio ricchissimo di risorse naturali) e politici, ovvero mantenere il potere nelle sue mani. La teoria dell’emulazione democratica potrebbe essere una delle grandi ragioni che ha spinto il Cremlino ad entrare militarmente in Ucraina. Come hanno sottolineato numerosi studiosi, tra cui Samuel Huntington, essa non costituisce un’esportazione intenzionale e deliberata di democrazia, bensì presuppone che l’esempio esterno indebolisca il regime non democratico, favorisca la convergenza politica verso un’identità democratica della quale si vuole sempre più essere parte, fornisca modelli da imitare e, infine, incoraggi le élites interne a rompere con il passato e creare le condizioni adatte ad una transizione verso la democrazia. L’emulazione può essere il prodotto anche di influenze culturali trasmesse attraverso i mezzi di comunicazione di massa (Facebook e Instagram sono vietati in Russia e vi è un grande controllo della stampa da parte del Cremlino) che diffondono modelli di vita associati ad un particolare regime. E’ difficile cogliere a pieno i meccanismi e i canali attraverso i quali si può diffondere all’interno di un determinato Paese il processo che favorisce la democratizzazione, ma secondo diversi scienziati politici si può affermare che quanto più le democrazie si diffondono in una certa regione, tanto più è elevata la possibilità che cadano gli ultimi baluardi autoritari.
Nel caso specifico, la piazza di Euromaidan nel 2014 potrebbe essere stata la molla che ha fatto scattare l’allarme rosso nelle stanze del Cremlino. L’Ucraina, con una progressiva integrazione nell’Unione Europea, poteva diventare nel giro di qualche anno una democrazia del tutto compiuta e fornire ai russi un esempio virtuoso di vita democratica che storicamente permette livelli di benessere più elevati rispetto a quelli garantiti dalle autocrazie o dittature.