La Tunisia di oggi e la minoranza sciita: intervista a Abdelhafid Bannani: ‘Libertà, ma non per tutti’

di Enrico Oliari, con la collaborazione di Saber Yakoubi

bennani 2 grandeLa nuova Costituzione della Tunisia afferma fin dall’articolo 1 che slam è la religione dello Stato, mentre all’articolo 6 dà allo Stato il compito di custodire la religione e di preservare le libertà di credo, coscienza e di pratica dei culti. Lo Stato deve proteggere ciò che è sacro, garantire la neutralità delle moschee e gli altri luoghi di culto dallo sfruttamento partigiano. Infine, lo Stato deve diffondere i valori della moderazione e della tolleranza e proibire le accuse di miscredenza e l’incitazione all’odio e alla violenza.
Si tratta di un passaggio estremamente importante, che garantisce la libertà di culto, ma anche di interpretare la religione, sia pure quella dello Stato, secondo le proprie convinzioni ed in base alla propria confessione, senza per questo essere accusati di apostasia.
La popolazione tunisina, circa 10 milioni di persone, è per il 98% di fede islamica; vi sono quindi una minoranza cristiana, erede dei colonizzatori francesi e dei vicini italiani, ed una ebraica. Coesistono nel pensiero sunnita diverse interpretazioni più o meno radicali, a dire il vero le prime colpite dal richiamo alla “moderazione” presente nell’articolo, ma anche è possibile riscontrare la presenza di una piccolissima realtà sciita, la quale, per quanto esigua, si presenta organizzata e dinamica, con tanto di una propria testata giornalistica e di una libreria.
Notizie Geopolitiche ha incontrato Abdelhafid Bannani, direttore del settimanale Essawa (‘Il risveglio’, tiratura 10mila copie) ed autore del libro “Introduzione alla storia dello sciismo in Tunisia”, il quale è esponente della confessione sciita del paese nordafricano:
– dott. Bannani, è curioso trovare una piccolissima comunità sciita nella Tunisia sunnita…
Io articolerei la declinazione del pensiero sciita in tre aspetti: uno spirituale, uno politico ed uno basato su quanto afferma la scuola giurista. Se prendiamo in considerazione il primo aspetto, quello spirituale, va detto che essere sciiti significa “amare il Profeta”, e quindi in Tunisia siamo tutti sciiti; per il secondo punto, quello politico, è necessario prendere in considerazione la questione palestinese e quindi la lotta degli Hezbollah, per cui anche in questo caso in Tunisia siamo tutti sciiti; infine vi è la differenza della scuola giurista, dove ammetto che in questo paese noi sciiti rappresentiamo una piccola minoranza.
La storia dello sciismo in Tunisia risale al 27mo anno dell’egira, quando è arrivato da queste parti Abdullah Ebenjafar. Poi vi sono stati conflitti contro i berberi e gli amazigh, fino all’arrivo, nel 285 (anno dell’egira) di Abou Abdullah, il quale si è presentato solo, come predicatore, e con la sua saggezza ha riunito le popolazioni tunisine e delle tribù limitrofe, fondando lo stato fatimida, che era quindi sciita. Non è tuttavia corretto affermare che gli sciiti di oggi discendono dai fatimidi di allora. Poi, con i vari conflitti, la Tunisia è gradualmente diventata sunnita
“.
– Come vivevate la fede durante le dittature di Bourghiba e di Ben Alì?
Eravamo trattati come gli altri islamici, ma la cosa interessante è che fra i musulmani esisteva la solidarietà, al di là delle interpretazioni confessionali. Sono stati anni di repressione, come per tutti… festeggiavamo le ricorrenze in modo clandestino, nelle case private, nei boschi o sulle montagne. Io sono stato addirittura in prigione“.
– Dire sciiti è come dire Iran: vi è mai capitato di essere accusati di legami con la Repubblica islamica?
Più che altro vi era una forte censura: nel 2006 abbiamo aperto la nostra libreria, Dar al-Zahra, ma i libri erano controllati dallo Stato. Quando ci arrivavano testi non graditi, come i libri dell’ayatollah Khomeini, questi venivano fatto tornare indietro; i libri che potevano essere esposti erano solo quelli acquistati alla mostra del libro, ovvero dove i testi erano controllati dalle autorità. Ricordo che nel 1989 era arrivata una nave con un carico di libri, dal Libano, ma proprio perché proveniente da quel paese era stata fatta tornare indietro.
Su altri tipi di legami devo dire che a Ben Alì non interessava cosa uno credeva… ma siamo comunque stati indagati dai servizi segreti, perché il governo temeva il progetto politico iraniano, ovvero le implicazioni che derivavano dalla presa di posizione avversa adottata da paesi come l’Arabia Saudita e l’Egitto di Mubarak
“.
– Lei accennava ad un legame con gli altri musulmani… con la fine della dittatura e l’arrivo della democrazia tale vicinanza è venuta meno?
Dopo le lezioni il partito di governo, Ennahda, ci ha considerati come i salafiti, ovvero dei miscredenti, per cui oggi ognuno sta sulla sua strada. Con Ennahda non abbiamo dissapori dal punto di vista religioso, bensì politico, per questioni come quella siriana: Ennahda è un partito vicino al Qatar, ed ha disposto che la Tunisia fosse il primo paese ad espellere l’ambasciatore di Damasco. Ed anche il nostro giornale, che ha idee opposte proprio in materia di Siria, è visto male dalla dirigenza di quel partito“.
– Certo che essere filo al-Assad in una realtà come quella tunisina, dove vi sono, tra l’altro, i salafiti di Ansar al-Sharia…
E’ stata la troika al governo ad avere un atteggiamento ostile con noi. Oltre ad espellere l’ambasciatore siriano, hanno, ad esempio, organizzato la Conferenza degli Amici della Siria proprio qui a Tunisi, prendendo una posizione chiara sul tema. Quando invece noi abbiamo voluto invitare per un evento al quale avrebbero partecipato partiti ed associazioni, i nostri invitati Hezbollah sono addirittura stati respinti all’aeroporto, nonostante avessero il visto in regola. Diritti per tutti, insomma, tranne per quelli che non vogliono loro.
Inoltre, e qui noi non siamo una minoranza, non è stata inserita nella Costituzione la criminalizzazione dello Stato di Israele, nonostante la causa della Palestina sia una questione sentita, di umanità
“.
– Stampate una settimanale, con idee spesso controcorrente… ricevete finanziamenti dall’Iran?
Se fossimo in Libano o in Palestina, l’Iran forse ci finanzierebbe le armi, ma non vi sono investimenti nella cultura. Magari Teheran investisse nell’informazione e non solo nelle armi, ne avremmo bisogno!“.