Le sorti dell’Ucraina tra venti di guerra e scenari futuri

La natura delle ostilità, l’evolversi delle dinamiche in atto e l’incognita della svolta diplomatica tracciano ipotesi di futuri scenari. Il nuovo volto del panorama ucraino.

di Leonardo Altomare –

L’analisi della situazione attuale in Ucraina impone, per la delicata natura dei fatti, una trattazione lontana da qualsiasi schieramento di pensiero, giusto o sbagliato che sia. E’ opportuno in tal senso ricondurre lo studio delle dinamiche in corso, della cronologia e dei soggetti coinvolti in un ottica empirica, in conformità con il diritto internazionale.
L’equilibrio raggiunto all’indomani del Secondo conflitto mondiale si presenta in medias res nelle parole di apertura della Carta delle nazioni unite. La formula “Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra” esprime in sostanza l’architrave dell’assetto internazionale post bellico e l’obiettivo comune di ricondurre le relazioni tra i paesi in una dimensione di mediazione non conflittuale, volta a “praticare la tolleranza ed a vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato, ad unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”.
Le rivendicazioni storico politiche della Russia, le motivazioni annesse alla difesa delle minoranze di etnia russa in territorio ucraino e la logica della neutralizzazione preventiva della minaccia derivante da processi di militarizzazione interna al territorio ucraino e dall’intento di annessione alla Nato e all’Unione Europea non possono giustificare la casus belli alla base dell’odierno conflitto.
Gli Stati devono “astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza dirette contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato” (La Carta delle Nazioni Unite all’articolo 2 paragrafo 4).
Nel caso specifico i principi cardine che devono essere considerati sono riconducibili alla norma consuetudinaria del rispetto della “sovranità territoriale” dello stato ucraino, soggetto autonomo e distinto di diritto internazionale, riconosciuto nella piena integrità territoriale e dei rispettivi confini dalle Nazioni Unite, dalla comunità degli Stati e dalle principali organizzazioni a livello internazionale. Fatte queste premesse è opportuno focalizzarsi sullo status quo del contesto in analisi per poter delineare gli scenari futuri.
A distanza di un mese dall’inizio delle ostilità russe in territorio ucraino la situazione attuale resta ancora in bilico tra la diplomazia che stenta a decollare e la natura delle operazioni che, seppur evidenziare un rallentamento da parte della Russia, non permette di comprendere fino in fondo il complicato piano e la strategia di Mosca. Le tempistiche e le significative perdite, soprattutto di figure importanti tra i ranghi militari russi, non solo dimostrano il fallimento del tentativo putiniano di porre in essere una guerra lampo, ma sottolineano la dimensione dell’imprevisto strategico, non sufficientemente calcolato, connesso al fattore resistenza e all’appoggio internazionale ricevuto dal paese invaso. Possibili diversi scenari possono delinearsi sulla base dello status attuale. Il primo è di natura strategico – militare e riguarda le modalità di proseguimento dell’operazione bellica, che presuppone l’ipotetico aumento di bombardamenti aerei da parte della Russia, per bilanciare le perdite e salvaguardare, per quanto azzardato sia l’utilizzo del termine, le linee di terra. Le violazioni del diritto internazionale bellico, palesatesi nel corso dello scontro, costituiscono un chiaro presagio per la realizzazione di questo primo scenario che si alimenta, anche e soprattutto del fatto che, nonostante parole rassicuranti siano più volte state pronunciate dal Cremlino, prima del conflitto e durante i tentativi diplomatici, de facto nella realtà l’agire ha dimostrato esattamente l’opposto.
Un altro elemento, da considerare nevralgico nell’analisi, è dato dalla natura delle informazioni, tanto da poter affermare che vi è un contenzioso in termini di veridicità dei dati forniti dalle parti coinvolte, ma ciò non cambia il fatto che le perdite russe iniziano a farsi sentire, il che spiegherebbe la frenata nell’avanzata di terra.
L’operazione iniziata nel Donbass nel 2014 e ancor prima l’intervento in Crimea rientrano in una logica a lungo termine che trova ad oggi, nel 2022, risvolto a tale progetto. Questa dinamica getta le basi per la lettura di un secondo scenario, strutturato a partire dall’obiettivo di Mosca di assorbire le zone orientali dell’Ucraina, di fatto controllate dai separatisti. A rafforzare questa tesi, secondo le ultime dinamiche della guerra riportate da fonti ucraine, i russi sarebbero riusciti a congiungere il Donbass con la Crimea attraverso la zona orientale della costa sul Mar d’Azov. Contemporaneamente però l’Ucraina sostiene di avere guadagnato nuove posizioni nell’area di Kiev, fermando l’avanzata verso la capitale e spingendo indietro l’esercito d’invasione verso est e nord. La convergenza a tal riguardo, forse per la prima volta durante tutto lo scontro, tra le fonti ucraine e il ministero della Difesa russo, oltre a dare conferma degli sviluppi palesa anche l’intenzione dell’esercito di Mosca di concentrarsi sulla completa liberazione del Donbass, quindi non più sugli altri obiettivi, pur non manifestando concretamente un’esclusione di Kiev e altre città da nuovo bombardamenti, con lo scopo di evitare che dall’Ucraina occidentale arrivino rinforzi a est e a sud.
Un intervento di così vasta portata lascia pensare che le mire di Mosca non si fermino ai confini delle regioni coinvolte. In tal senso la diplomazia avrebbe potuto raggiungere un punto di accordo evitando il prolungarsi della guerra. Le richieste russe, per tutto il tempo dei trattati, si sono presentate sotto forma di ultimatum, lasciando poco spazio alla mediazione e all’incontro tra le parti. Questo fa ben pensare che il secondo scenario identificato sia poco raggiungibile, salvo che gli esiti futuri della guerra obblighino il Cremlino ad accettare, per caso di force majeure, un parziale obiettivo rispetto ai piani iniziali.
Alla base delle richieste russe si parla sempre più di totale demilitarizzazione del Paese e della consequenziale assunzione di uno status neutrale, del riconoscimento della Crimea come territorio russo e delle repubbliche separatiste come territori indipendenti, e infine dell’abbandono totale di qualsiasi aspirazione a entrare nella Nato. In una situazione di questo tipo sorge spontaneo lo scetticismo sulle reali possibilità di successo dei negoziati, che potrebbero quindi protrarsi per diversi lunghi anni. A rafforzare questa logica c’è un terzo scenario, opposto a quello che molti analisti attribuiscono ai piani iniziali di Putin, incentrato su una guerra di lungo periodo. Intervenire militarmente in un territorio senza ripercussioni non era di certo ipotizzabile, nonostante il caso della Crimea abbia dimostrato il contrario; figurarsi protrarre l’intervento militare considerando la poliedricità dei costi, in aggiunta ad una risposta sanzionatoria di tale portata. Data la situazione in corso e in divenire, si potrebbe assistere a un esodo di massa sempre maggiore verso l’occidente. Si tratta del quarto e ultimo scenario proposto, che ricorda e sottolinea come 3,5 milioni di ucraini abbiano già abbandonato il loro Paese per fuggire dalla guerra. Internamente invece il numero degli sfollati si aggira intorno ai 10 milioni. Agli scenari ipotizzati, nell’ottica della divisione territoriale e dei processi di neutralizzazione del Paese vanno obbligatoriamente menzionate le logiche di cosiddetti modello coreano e modello svizzero, che potrebbero generare l’ipotesi di altri scenari per il futuro dell’Ucraina. Il timore riguardante giochi di spartizione del territorio ucraino nasce dall’intelligence di Kiev, secondo la quale è in atto un tentativo di divisione territoriale, come conseguenza logica dei fallimenti di conquista militare e dell’impossibilità di rovesciare il governo centrale ucraino.
Stando alle fonti riprese, a mezzo web, dal ministero della Difesa, la Russia punterebbe a dividere l’Ucraina in due parti dando vita a un cosiddetto scenario coreano, ovvero si cercherà di imporre una linea di demarcazione tra le regioni del Paese occupate e quelle non occupate, data l’impossibilità di conquista dell’intero territorio. A conferma dell’ipotesi si possono vedere i tentativi d’instaurazione di autorità filo russe per così dire parallele nelle città occupate, nonostante la resistenza cittadina, le proteste e le controffensive delle forze armate.
In altre parole, potremmo essere di fronte a un assestamento non solo militare ma anche politico organizzativo. Finora però Kiev ha sempre escluso di poter accettare uno smembramento del territorio nazionale, per quanto non si sia palesata concretamente una proposta ufficiale del Cremlino. Se il modello coreano, per intenderci, ha poco spiraglio di attuazione, ci sarebbe un’altra prospettiva, ancora più remota, secondo la quale la Russia vorrebbe dividere l’Ucraina in tre zone: il Donbass fino alla città di Odessa sarebbe annesso alla Russia; la Galizia, a ovest dell’Ucraina, potrebbe accogliere il governo ucraino; il restante territoriale potrebbe diventare un protettorato russo.
L’ipotesi di una spartizione territoriale, tralasciando le specifiche della stessa a ipotetici e lontani scenari di diplomazia post bellica, trova ragion d’essere in precedenti di non poco conto. Secondo un’intervista di Radoslaw Sikorski, politico polacco ed ex ministro degli Esteri di Varsavia per la testata web politico.com, riportata anche sul quotidiano Il Sole 24ore, il presidente russo avrebbe proposto nel 2008 all’allora premier polacco Donald Tusk la spartizione territoriale dell’Ucraina fra le due nazioni. A sostegno di questo progetto, secondo le parole di Sirosky, Putin avrebbe etichettato l’Ucraina come una nazione artificiale e detto che la città di Lwow era, di fatto, una città polacca. Contemplare l’ipotesi di una divisione territoriale allo status attuale resta una strada lontanissima e non percorribile.
Da un’analisi storica e geopolitica appare opportuno ragionare invece sul concetto di  neutralitàe dell’Ucraina, che sembra iniziare a prendere forma, sebbene il braccio di ferro sia ora più che mai difficile da superare visto l’andamento della guerra. Data la natura delle richieste russe, dei costi soprattutto in termini di vite umane, l’esodo, le preoccupazioni crescenti per l’equilibrio mondiale e per “salvare le presenti e future generazioni dal flagello della guerra”, far diventare Kiev una sorta di Ginevra dell’est Europa è senza dubbio un’ipotesi allettante.