Le tre ore di Kerry a Mogadiscio: normalizzare i rapporti e segnare un altro punto per Obama

di Valentino De Bernardis –

kerry somalia grandeNuovo passo in avanti dell’amministrazione Obama in politica estera. Dopo i successi incamerati nell’ultimo anno con la normalizzazione (o quasi) dei rapporti diplomatici in Asia (Iran) e America (Cuba), si trova ad affrontare il banco di prova africano, nella regione del Corno.
Diretto a Gibuti e poi in Arabia Saudita, dove ha incontrato l’omologo Adel al-Jubeir, con un’inaspettata visita lampo il segretario di stato americano John Kerry è atterrato prima a Mogadiscio per incontrare i vertici delle istituzioni somale, e rompere così un tabù diplomatico che durava dal 1993, da quando cioè l’amministrazione Clinton decise di ritirarsi dalla Somalia a seguito della battaglia di Mogadiscio (il Black Hawk Down) in cui morirono 18 soldati americani. A ben vedere, la politica della distensione tra Washington e Mogadiscio si potrebbe far risalire a gennaio 2013, con il riconoscimento statunitense del governo africano e la nomina nel febbraio 2015 di Katherine S. Dhanani ad ambasciatrice Usa in Somalia (sebbene attualmente locata presso la vicina ambasciata di Nairobi).
Stando alle fonti ufficiali i colloqui bilaterali hanno trattato temi di fondamentale importanza per il proseguimento della democratizzazione del paese, senza improvvise battute di arresto. Per quanto concerne la politica interna, Kerry ha ottenuto importanti rassicurazioni sull’organizzazione dei due prossimi appuntamenti elettorali che attendono i cittadini somali nel 2016: il referendum sulla nuova costituzione e le prossime elezioni presidenziali. Mentre per ciò che concerne la sicurezza interna ed internazionale, gli Stati Uniti hanno garantito il completo supporto alla lotta contro gli affiliati al terrorismo islamico di al-Shabab.
Oltre alle note ufficiali, quello che è interessante analizzare è il corollario che ha accompagnato le tre ore in territorio somalo del numero uno della diplomazia statunitense. Forzato a non uscire nel compound aeroportuale per problemi di sicurezza, a ulteriore testimonianza di quanto il processo di pacificazione nazionale sia ancora lontano dall’essere raggiunto, Kerry ha avuto colloqui con il presidente del governo federale Hassan Sheikh Mohamoud, il primo ministro Omar Abdirashid Ali Sharmarke e i leaders delle amministrazioni regionali Puntland, Jubbaland e Sud-Ovest.
Un primo effetto della visita di Kerry si è avuto già il ieri quando, durante una conferenza stampa, Sheikh Mohamoud ha fortemente smentito le voci che il suo governo stesse cercando in parlamento i voti necessari per poter estendere il proprio mandato di altri due anni, a causa dei problemi relativi alla sicurezza nell’organizzazione della macchina elettorale. Sebbene non abbia potuto negare la possibilità che le stesse non possano tenersi su tutto il territorio nazionale, con particolare riferimento a quelle zone ancora sotto il controllo di al-Shabab.
In ultimo, dal punto di vista statunitense la visita di Kerry, con tutte le sue limitazioni, potrebbe significare uno storico cambio di rotta della politica statunitense nella regione. Una definitiva presa di coscienza che per battere il terrorismo non siano sufficienti le uccisioni mirate dei diversi leader locali, quanto piuttosto porre le basi per la nascita di una controparte istituzionale credibile con cui dialogare e togliere spazi sociali, politici ed economici al reclutamento terrorista di stampo islamista.
Ad oggi è difficile dire gli effetti nel lungo periodo della svolta americana, certo è che la Somalia, assieme a Cuba e Iran, si appresta a diventare il fiore all’occhiello della politica estera obamiana.

@debernardisv