L’Europa e gli interessi (dimenticati) degli europei

di Dario Rivolta * –

E’ risaputo che fare scelte economiche di qualunque tipo è come avere una coperta troppo corta: se tiri da una parte, un’altra si scopre. Anche se nei vari centri decisionali ci fossero i migliori economisti del mondo sarebbe impossibile perfino per loro fare delle scelte che accontentino tutti e che non creino privilegiati e penalizzati. Naturalmente si deve supporre che chi governa, pur conscio di quanto sopra, cerchi di decidere in modo da penalizzare il meno possibile la maggioranza della popolazione e puntino a migliorare, col tempo, anche la posizione di chi viene temporaneamente danneggiato.
Purtroppo, a volte mi viene il dubbio che almeno alcune delle scelte fatte dai nostri politici ed economisti in Europa non siano il frutto di valutazioni accurate e lungimiranti ma che, al contrario, derivino da totale inadeguatezza alle posizioni che ricoprono. Devo far risalire le loro decisioni ad una loro incapacità congenita poiché, se così non fosse, sarei piuttosto obbligato a pensare molto di peggio nei loro confronti.
Partiamo dalle scelte della Banca Centrale Europea. La dottrina economica monetaria ha sempre sostenuto che per combattere l’inflazione occorre aumentare il costo del denaro in modo da penalizzare la domanda. Riducendo quest’ultima, è regola del libero mercato supporre che i prezzi siano condannati a scendere. Ciò, ovviamente, davanti ad una capacità dell’offerta che non muti. Tuttavia, dopo il Covid-19 che aveva compresso la domanda e contemporaneamente penalizzato l’offerta, la prima ha accennato a ripartire subito dopo l’emergenza sanitaria ma la seconda non è riuscita a starle dietro. Ci si aspettava che i prezzi mondiali delle materie prime ricominciassero a salire ma ciò, dopo un fugace bagliore, non è avvenuto. Ci si attendeva che i commerci mondiali riprendessero maggior vigore e invece abbiamo visto alcuni settori produttivi mancare della sufficiente disponibilità di necessari componenti con un conseguente aumento del loro costo. Nel frattempo sono aumentate le tensioni politiche internazionali e le sanzioni imposte alla Russia (con relative contro-sanzioni) hanno portato all’aumento del prezzo degli idrocarburi che, anziché via gas/oleo-dotto in Europa ha cominciato ad essere acquistato dagli USA (o dal Qatar) a prezzi quasi quadruplicati.
E’ sotto gli occhi di tutti che l’attuale inflazione non è oggi data da una domanda troppo forte, bensì da un’offerta debole e sempre più costosa. In queste condizioni, aumentare il costo del denaro non può che aumentare ulteriormente i costi di produzione e scoraggiare gli investimenti. Inoltre, esiste il forte rischio che i ceti economicamente più deboli vedano ridursi pesantemente il loro potere d’acquisto (anche a causa dell’innalzamento dei costi del mutuo/casa). Nessuno dubita che, col tempo, il mercato trovi un nuovo equilibrio e che anche l’inflazione possa ridursi, ma la storia dell’economia ci insegna che le scelte monetarie hanno bisogno di tempi lunghi per funzionare e, intanto, i più malmessi pagano le spese, anche piuttosto pesanti. Disoccupazione, fallimenti, crescita della povertà…
Un osservatore fiducioso ed ottimista può sostenere che le banche centrali occidentali (BCE e FED) siano ben consapevoli delle suddette conseguenze e che, pur sapendo che gli aumenti dei tassi d’interesse non avranno conseguenze a breve, occorre dare l’impressione a politici e consumatori che così facendo si combattono le aspettative d’inflazione e che questo fattore psicologico avrà certamente un effetto positivo su tutto il mercato e sull’inflazione stessa. Personalmente mi permetto di dubitarne.
Di là da quanto decidono la FED e la BCE, mi viene da chiedermi qual sia piuttosto la logica che ha spinto e i nostri governi europei a sposare acriticamente le campagne americane anti-russe. Perfino ai tempi della guerra fredda i governi europei, di qualunque colore fossero, hanno sempre cercato di avere rapporti economici positivi con Mosca. Compravamo gas e petrolio a buon prezzo, e in maniera continuativa, con contratti di lungo termine, così come facevamo con altre materie prime e semi-lavorate. In cambio vendevamo ai sovietici macchinari, prodotti finiti e, a volte, alimentari. Caduta l’URSS la Russia si è aperta ancora di più e ai prodotti base si sono aggiunti tanti altri beni di consumo, dai necessari ai voluttuari. Inoltre, la scarsa produttività del lavoratore medio russo lasciava supporre di non essere in condizione, per molti anni, di poter creare una reale concorrenza ai nostri produttori. Cosa di meglio per l’Europa che avere un interlocutore che domanda capitali e know how (che noi abbiamo) o offre in cambio materie prime a basso costo e un mercato quasi vergine desideroso di comprare i nostri prodotti?
Non ci si racconti che si tratta di una guerra tra la democrazia (la nostra) e l’autocrazia (quella russa). Chiunque conosca l’Ucraina sa bene che non è mai stato un Paese che ha goduto di poteri democratici ed è fin dalla sua indipendenza il Paese più corrotto d’Europa. Persino la BEI e il FMI hanno dovuto sospendere i possibili aiuti perché finivano nelle tasche dei locali oligarchi mentre il popolino sopravviveva a stento o doveva spingere le proprie donne ad emigrare. Siamo sempre e comunque i difensori della democrazia? Guardiamoci con sincerità: i nostri cari alleati e amici sono tutti Paesi democratici? Arabia Saudita, Qatar, Emirati, Turchia, Polonia ecc. sono chiari esempi di democrazia liberale? E poi, quando mai, di là dalla propaganda delle parole, gli USA e tutto l’Occidente hanno fatto qualche guerra davvero per la democrazia? Nemmeno la seconda guerra mondiale fu condotta per difendere i valori ideali che, purtuttavia, sono stati sventolati a destra e a manca per motivare le truppe e le opinioni pubbliche di Paesi amici e nemici. Ma, si dice: la Russia ha violato il diritto internazionale. Vero. E cosa ha fatto la NATO in Kossovo? E gli USA e GB in Iraq? In tutti questi due casi le guerre furono scatenate senza alcuna autorizzazione dell’ONU e ciò avvenne senza nemmeno la scusante di un veto poiché non ci fu voto nell’Assemblea. Cosa dire poi dell’Iran di Mossadeq, del Cile, di Panama, di El Salvador, di Cuba etc. ? Enumerare tutti gli interventi aggressivi effettuati dagli americani dalla loro fondazione ad oggi sarebbe troppo lungo. Ricordate come il Texas divenne americano? E le Hawaii? E la guerra ispano-americana? Quindi non si parli di difesa della democrazia. In politica internazionale i “valori” sono soltanto e sempre coperture per interessi molto più prosaici. Tuttavia, i sostenitori di questa guerra per procura contro la Russia sostengono sia indispensabile sostenere l’Ucraina per rispondere all’aggressività e al desiderio espansionistico di Mosca. Per vedere la verità basta guardare la carta geopolitica dell’Europa. Dove arrivava la Russia quando cadde l’URSS? E dove arrivava la NATO? Chi, contro l’evidenza, sostiene che il pericolo di aggressione venga da Mosca mente sapendo di mentire.
Tutti sappiamo, se non mentiamo a noi stessi, che le vere motivazioni di questa guerra, come e perché sia cominciata vanno cercate nelle decisioni di oltre-atlantico e nei loro più supini vassalli nel nostro continente. A proposito di vassalli: come mai la distruzione dei gasdotti North Stream I e II non ha suscitato immediatamente una forte reazione di tutta la UE per la ricerca dei colpevoli? Uno Stato membro dell’Unione è stato colpito da un atto terroristico di tale gravità da causare il disastro economico che sta colpendo da quel momento la Germania. Un giornalista americano molto stimato, Seymour Hersh già premio Pulitzer, ha documentato con molti dettagli chi, come e quando ha compiuto l’attentato: gli Stati Uniti! Cioè un Paese solitamente considerato come nostro alleato. Certo, ammetterlo pubblicamente non potrebbe restare senza conseguenze e allora la pavidità del governo di Berlino, debole, insipiente, e probabilmente sotto ricatto, ha taciuto inventandosi inchieste che sembrerebbero identificare in sconosciuti ucraini la responsabilità di quanto accaduto. Nessuno ci crede poiché la tecnica dell’operazione fu talmente sofisticata e difficile da non essere praticabile da sprovveduti qualunque eppure è certo più comodo attribuire la responsabilità ad un Paese già in guerra formale che dover prendere atto che gli “amici” non lo sono poi così tanto. Ma se anche, per assurdo, fossero stati gli ucraini a colpire così pesantemente l’economia tedesca, come è possibile che Berlino continui a mandare armi e soldi a quei presunti responsabili?
Le incapacità, o peggio, dei vari vertici europei e dei governi nazionali del nostro continente però non si limita ad appoggiare, contro i nostri interessi , una parte in quella guerra: va ben oltre anche con provvedimenti di altro genere che , se non spiegati con un tragico cupio dissolvi, sono niente meno che pura stupidità.
Dando per ammesso, ma non concesso, che sia davvero la presenza di CO2 e non altra (altre) la causa dei cambiamenti climatici, la decisione di Commissione e Parlamento europei di non consentire più la vendita, dal 2035, di motori gas, diesel o ibridi sta mettendo in ginocchio tutti i produttori di automobili del continente e la filiera che ne deriva. Lo si fa per la frenesia green che vuole eliminare l’emissione di CO2 presumibilmente causata da quei motori? Sanno i soloni che hanno approvata quel provvedimento che l’Europa emette meno dell’8 percento di tutta la CO2 mondiale? Che dire dei consumi di carburanti fossili usati per le spedizioni spaziali “turistiche” e non? E quanto ne consumano le auto che corrono i gran premi? Quanta CO2 si emette con i carri armati e durante le guerre? Quanta ne esce dai vulcani? Quanta se ne crea negli incendi che hanno devastato il mondo negli scorsi mesi? Con quale logica, allora, imporre una scelta suicida per la nostra economia se tale decisione avrà un’influenza insignificante sulla quantità di CO2 nell’atmosfera terrestre? I Paesi al mondo che ne emettono di più sono Cina, Stati Uniti, Unione Europea, India, Russia e Giappone. Tutti insieme consumano attualmente il 66,4% dei combustibili fossili ed emettono il 67,8% delle emissioni globali di anidride carbonica. Innanzitutto dobbiamo notare che, a dispetto delle decisioni assunte e degli interventi già effettuati tutti i 6 Paesi sopra citati hanno aumentato l’emissione di CO2 nel 2021 rispetto al 2020. Inoltre, dei 37 miliardi di tonnellate di CO2 prodotti nel mondo la Cina ne emette il 33%, gli USA il 13%, l’India il 7%, la Russia il 5% e tutta l’Unione Europea appena il 7,3%. In particolare la Cina ha ufficialmente annunciato che ne emetterà sempre di più fino al 2030, anno in cui, almeno teoricamente, dovrebbe cominciare a diminuirne la dispersione nell’aria. L’obiettivo Cinese è di raggiungere la neutralità climatica nel 2060 e l’India la prevede addirittura nel 2070. L’obiettivo annunciato dall’Europa è invece di ridurre le proprie emissioni dal 7,3% al 6% proprio grazie all’eliminazione dei motori termici.
Risulta evidente che, anche se fosse proprio la CO2 la responsabile del cambiamento climatico, il sacrificio economico e occupazionale derivante dall’eliminazione della nostra tradizionale industria motoristica sarà, di fatto, totalmente ininfluente sulla quantità globale di anidride carbonica presente nel pianeta. Detto per inciso, solo per quanto riguarda l’Italia (emittente di circa lo 0,8% della CO2 mondiale) la filiera della produzione di motori termici dà lavoro a quasi 300mila persone che rappresentano il 5,2% del Pil nazionale. Ha un qualche senso razionale distruggere un’intera filiera economica per questa inezia?
Come se quanto sopra non bastasse a dimostrare l’inadeguatezza al ruolo ricoperto dalle attuali classi politiche europee si guardi anche ai cosiddetti “fenomeni migratori”. Anche i governi italiani che si sono succeduti si sono umiliati nel cercare l’appoggio degli altri membri ai fini di una redistribuzione dei clandestini che arrivano sulle coste mediterranee europee o entrano via terra. Ora, il problema vero che nessuno ha il coraggio di menzionare non è come redistribuirli ma, piuttosto, impedire che i nostri naturali confini siano sistematicamente violati da stranieri disperati o semplicemente desiderosi di migliorare le loro condizioni di vita. Un amico studioso da sempre di fenomeni migratori sostiene, correttamente, che spostamenti di esseri umani e di animali (e di specie vegetali) siano sempre esistiti e che spostarsi è un diritto degli umani che deve essere accettato. Continua ricordando che tutti noi siamo meticci e frutto di incontri tra diversi che, in qualche modo, si sono integrati nel tempo (provate, tuttavia, a raccontarlo agli indiani d’America). Ciò è vero e incontestabile se si osserva il fenomeno da studioso del fenomeno. E’ però altrettanto indiscutibile che, se non esiste un rapporto ottimale tra numero, tempi e concentrazione degli arrivi, ne deriva sempre una crescente instabilità sociale e l’impossibilità per intere generazioni di raggiungere una integrazione pacifica. Lo dimostrano le sommosse delle periferie (e non solo) francesi e britanniche, il rifiuto di accettare tutta la cultura locale da parte di un crescente numero di turchi in Germania, il proliferare della delinquenza in tutti i Paesi europei e l’aumento dei sentimenti di rigetto verso gli stranieri in tutte le società autoctone. Ogni sociologo sa (e ogni politico dovrebbe sapere) che un numero eccessivo di “diversi” in spazi e tempi contenuti ostacola anziché favorire l’integrazione. Invece di blaterare sulla necessità di “dividersi” gli arrivi (cosa che poi nemmeno avviene) se a Strasburgo, Bruxelles e nelle capitali ci fossero politici capaci, responsabili e non ipocriti si organizzerebbero subito modalità forzose di rimpatrio per tutti i soggetti che non sono in pericolo di vita. Inoltre, da quei Paesi con cui è possibile un accordo serio, si definirebbero immigrazioni controllate e basate sulle nostre esigenze. Comunuqe sia, va ripensato il diritto di asilo che non può essere concesso a chiunque provenga da un Paese che non gode delle nostre libertà costituzionali poiché, se questo fosse il principio cui attenersi, dovremmo aprire le porte all’ottanta percento dei cittadini del mondo.
A proposito di libertà concesse dalle Costituzioni e dalle varie leggi nazionali europee, non è uno dei principi base delle democrazie la libertà di espressione? Non abbiamo tutti parafrasato il detto attribuito (sbagliando) a Voltaire: “Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo”? Non abbiamo tutti letto provandone disgusto e sentendoci superiori il famoso 1984 di Orwell in cui il Grande Fratello aveva istituito “la verità unica”? Come è successo allora che in nome di una sedicente lotta alle “fakenews” abbiamo re-istituito la censura a livello europeo e nazionale? Come è possibile che perfino dei premi Nobel competenti nella materia siano zittiti ed emarginati se affermano qualche loro verità non coincidente con la “verità ufficiale” (vedi la questione del cambiamento climatico)? Dove sta finendo la nostra tanto decantata democrazia liberale?
Purtroppo la sola conclusione che se ne può trarre è che le classi dirigenti europee sono cadute così in basso nella competenza, coraggio e personalità che, forse, nemmeno si accorgono dei disastri che stanno combinando. Oppure sono talmente disonesti intellettualmente da aver venduto le loro funzioni in cambio di qualche piatto di lenticchie promesso loro da qualche “potere forte”, politico e/o finanziario
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* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.