Libia. Malgrado la “riconciliazione” tra Zintan e Misurata si continua a morire

di Vanessa Tomassini

Ahmed Alsooy al-Saidi era un giovane uomo della tribù al-Sayan di Wershefana, era solito svegliarsi presto per lavorare la terra e raccogliere gli ortaggi che danno sostentamento alla sua famiglia. Ieri mattina, mentre stava andando al mercato, ad al-Hashan era fermo ad un semaforo quando alcuni uomini armati hanno aperto il fuoco. Ahmed è stato colpito da un proiettile, ha perso conoscenza ed è caduto a terra, colpevole soltanto di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. È morto oggi all’ospedale, per lui ogni cura è stata vana. La comunità locale che su Facebook si sta stringendo intorno alla famiglia, puntano il dito contro Osama al-Juwaily ed Imad Trebelsi, a capo delle milizie di Zintan, città che da poco ha stretto un ambiguo accordo di riconciliazione con Misurata. Quando a novembre avevamo intervistato il capo del Consiglio Supremo delle Tribù di Wershefana, al-Mabrouk Abu Amid, ci aveva detto: “Ci chiedono riconciliazione, riparazione e compensazione, ma le milizie che stanno controllando Tripoli ed altre aree sono sempre contro tutte le soluzioni e sappiamo che l’obiettivo finale, dopo Wershefana, è proprio la capitale, per distruggerla”. Ad incrementare i dubbi sulla genuinità della riconciliazione tra i due centri rivali si è aggiunto lo stesso consiglio degli anziani di Zintan. Anche loro temono che l’accordo possa avere dei risvolti negativi per Tripoli. Sembrerà strano se nel primo punto del comunicato congiunto dei rappresentanti dei due centri, emesso il 28 marzo, si legge: “Per evitare qualsiasi spargimento di sangue di tutti i libici”, se poi a spargerlo ancora una volta sono loro. Juwaili e Trabulsi avevano operato insieme lo scorso novembre nell’operazione contro “i criminali e i sostenitori di Gheddafi” nella regione di Wershafana.