Libia. Si combatte ad Aziziya ed è guerra anche nel sud

di Vanessa Tomassini

TRIPOLI. La situazione intorno a Tripoli resta fluida, dopo oltre quasi 2 settimane di pesanti scontri che hanno causato lo sfollamento di oltre 25000 persone oltre a centinaia di vittime, la maggior parte civili. In queste ore, la coalizione guidata dal maresciallo Khalifa Haftar e le forze allineate al Governo di Accordo Nazionale sembrano aver allentato la portata della battaglia sul fronte dell’aeroporto Internazionale, Tariq al-Matar, dove nel pomeriggio erano ancora in corso delle sparatorie. Sale invece la preoccupazione per centinaia di famiglie ad Aziziya, 55 km a sud ovest di Tripoli, caduta sotto il controllo dell’esercito orientale da giorni. L’operazione “vulcano di rabbia”, lanciata dal premier Fayez al-Serraj la scorsa settimana per respingere gli uomini di Haftar verso le precedenti posizioni, ha visto la regione militare centrale sotto il comando del generale Mohammed el-Haddad, quella occidentale di Osama al Juwaili e la regione militare di Tripoli combattere gli uomini di Khalifa Haftar su più fronti, dopo che l’aviazione di Misurata, su ordine dello stesso al-Serraj, ha sferrato diversi raid aerei nell’area di Gharian a partire da mercoledì mattina. I civili, che erano appena tornati nelle proprie case, dopo che l’esercito orientale aveva ristabilito l’ordine, ora si trovano nuovamente sotto ai bombardamenti che hanno già gravemente danneggiato le linee elettriche e telefoniche. Pesanti scontri sarebbero in corso inoltre ad Ain Zara. Il fatto che entrambe le parti non accettino alcun tipo di dialogo, sta facendo precipitare l’intero paese nel caos. Dopo un raid aereo ordinato da Serraj alla base aerea di Tamanhint, 30 km a sud-est di Sabha, violenti combattimenti tra le due fazioni hanno fatto scorrere altro sangue nel Fezzan, destabilizzando gli equilibri tibrali che caratterizzano la regione. Se i Tuareg hanno appoggiato il Libyan National Army nelle operazioni militari contro il terrorismo nella Libia meridionale, questa volta i Tebu potrebbero riconoscere Hassan Mossa, come comandante della regione militare di Sabha e schierarsi contro l’LNA. A dare un’idea della tensione tra le due parti i mandati di arresto emessi dal procuratore generale di Tripoli nei confronti del maresciallo Khalifa Haftar ed altri 6 ufficiali di alto ranco, tra cui Abdussalam al-Hassi, comandante della sala operativa occidentale ed il comandante dell’aviazione di Rejna, Saqr al-Jaroushi. Ieri il portavoce dell’LNA, Ahmed al-Mismari, ha negato ogni responsabilità circa i bombardamenti delle aree residenziali di Tripoli ed Abu Selim, affermando di essere in grado di documentare i crimini di guerra compiuti dalle milizie islamiste contro i civili. L’LNA ha aggiunto che gli attacchi sarebbero stati compiuti da lanciarazzi 107, in aree fuori dalla loro portata. Il portavoce ha affermato che l’esercito non ha mai bombardato le posizioni dei gruppi di Tripoli all’interno della capitale proprio per preservare proprietà pubbliche e private. Il Consiglio presidenziale ha emesso sempre ieri pomeriggio una dichiarazione con cui invitava la Corte Internazionale di Giustizia ad indagare sui crimini del maresciallo Haftar. Insomma, entrambe le parti non accennano a moderare i toni, nessuno è pronto a gettare la spugna sebbene al fronte tutti sperano in una tregua. La guerra intanto assume innumerevoli dimensioni. Si combatte non solo sul piano territoriale, ma ache su quello mediatico, dove i media e i giornalisti, schierati o cadendo nella trappola dei meccanismi controversi della propaganda, che vede attivi dei veri e propri apparati tanto a Tripoli quanto a Bengasi, stanno facendo collassare la veridicità e trasparenza dell’informazione, nel tentativo esasperato di orientare l’opinione pubblica, ma soprattutto eventuali decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.