L’Italia al Brennero: il vaso di Pandora della nostra politica internazionale

di Marco Pugliese

renzi ng grandePaolo Serra, generale di divisione, senior advisor del rappresentante speciale del Segretario generale dell’Onu e Capo della missione Onu di supporto in Libia (Unsmil) per le questioni di sicurezza connesse al dialogo politico libico, in audizione davanti alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, ha dichiarato che “La tensione a livello politico (in Libia) è palpabile quanto in crescita, il governo non ha ancora avuto la fiducia del parlamento. Tripoli è una città senza risorse economiche, chi ha qualche soldo se lo tiene in casa. Ieri l’Italia ha aperto un nuovo corridoio per portare medicine”.
Serra poi ha tenuto a sottolineare la necessità di sbloccare i 67 miliardi di dollari congelati all’estero oltre ad aiuti umanitari “a pioggia” per incrementare una qualità della vita definita “infima”. A questo si aggiunge l’Is ormai in completo controllo di Sirte. “L’avamposto islamista va controllato, combattuto e vinto”, ha spiegato.
Senza milizie sul terreno però la questione al momento è accantonata. Per intervenire e gestire la difficile situazione ci vorranno tre passaggi: la richiesta delle autorità libiche, l’approvazione del parlamento e l’autorizzazione dell’Onu. Nei fatti un processo complesso, tra la volontà dell’Onu d’abbracciare tutti e tutto e la necessità di bloccare ciò che in Libia ormai è prassi, cioè l’anarchia militare e le coste nelle mani di scafisti e trafficanti d’uomini. Sia chiaro, chi parte dalla Libia non proviene dalla Siria, ma dall’Africa occidentale. Dati alla mano tra i paesi di provenienza principale vi sono Nigeria, Gambia, Mali, Costa d’Avorio, Senegal, Niger, Ciad. Paesi, bene ricordarlo, a trazione francese, con moneta legata a Parigi, presente nell’area con più di 12 basi militari a difendere i propri interessi.
Non va meglio in Medio Oriente, ove gli inglesi (insieme agli Usa) gestiscono di fatto l’asset economico e legato al petrolio. L’affaire De Giorgi non ci aiuta, l’ammiraglio ha si lavorato per dotare il nostro paese di una flotta che risponda al contesto ma ha dovuto scendere a troppi compromessi politici che inevitabilmente nella palude dell’incertezza. Il tutto in Qatar ci è costato 16 miliardi d’euro.
In una simile situazione l’ Italia si trova alle prese con il complesso caso Regeni. Il ragazzo torturato ed ucciso ha creato imbarazzo tra Roma ed il Cairo, l’Italia dal 2012 fornisce al regime di al-Sisi gli armamenti per rimanere al potere. Ovviamente insieme a francesi, inglesi, cinesi, russi, etc. Bloccare queste forniture significherebbe la destabilizzazione dell’Egitto (il Sinai lo è già) ed il rischio di una deriva estremista. Dietro all’uccisione del povero Regeni ci potrebbero essere mani diverse, europee forse. L’Egitto instabile, sommato alla Libia porterebbe l’Italia in una posizione d’assoluta precarietà. Le coste egiziane non posso diventare come quelle libiche, la Grecia non avrebbe più nessuna possibilità di gestire la situazione.
A questo aggiungiamo la preoccupante situazione tunisina, con investimenti esteri in caduta libera, sicurezza del paese precaria, esercito allo sbando, Italia anche qui osteggiata da Parigi perfino nelle forniture civili. Il nostro paese in questo preciso momento storico si trova più o meno in questa situazione: Libia, non può intervenire direttamente per mettere in sicurezza le coste ma deve subirne praticamente in solitudine i flussi migratori provocati da politiche francesi scellerate, economicamente perde milioni d’euro al mese per la precarietà della gestione d’impianti in loco; Egitto, situazione in stallo causa affaire Regeni, la questione però appare più squisitamente di politica interna italiana; Tunisia, servirebbe dare una mano in loco, ma Parigi mette i bastoni tra le ruote; Siria ed Iraq, i russi chiedono una nostra mediazione ed un nostro intervento congiunto in aiuto alla ricostruzione, il nostro governo tentenna a causa della Ue anti Putin; Golfo Persico e Teheran : siamo avanti a Parigi e Londra a livello commerciale; Grecia, ci tocca aiutare gli ellenici con la nostra marina militare; India, partner economico che non possiamo permetterci di perdere, da cui siamo palesemente ricattati, barattando il prestigio con il denaro, durerà? A questo aggiungiamo la posizione dell’Austria, che chiudendo i confini si chiama fuori dalla partita (come l’Europa del Nord) dimenticando completamente che il problema non è italiano ma occidentale, di fatto un capolinea per la Ue.
Il nostro paese è impegnato direttamente in Libano, Afghanistan, Somalia, Iraq ed Eritrea, ma non ha voci in capitolo riguardo teatri a lei vicini.
De Giorgi molto di ciò lo aveva previsto, bisogna dargliene atto, molti i colloqui con gli americani, da tempo (per bocca dello stesso Obama) svincolati nel Mediterraneo. Gli Usa nel 2013 erano stati chiari, a Letta venne spiegato che l’ombrello americano stava per chiudersi, che l’Italia avrebbe dovuto riprendere in mano le redini diplomatiche, trovare autonomia. Kerry fu ancora più chiaro in realtà, in un certo senso mise in guardia la governance italiana, troppo accondiscendente e sicura dell’amicizia (reale fino a quando?) dei partner europei. La nomina della Mogherini sembrò essere una mossa astuta da parte di Renzi, in realtà il ruolo fu “svuotato”, l’italiana infatti non è considerata come la predecessore inglese. Troppo legata ad una politica internazionale d’attesa, poco incline a battere i pugni sul tavolo, più legata al fazzoletto che all’abilità di tessere tele atte a far quadrare il cerchio intorno al nostro paese. Stesso discorso per Roberta Pinotti, un ministro della Difesa distante, che per formazione può solo fidarsi dei militari e relative commissioni (caso De Giorgi docet), Paolo Gentiloni se non altro ci prova, ma il suo peso specifico è relativo, il ministro degli Esteri è in realtà Renzi e solo Renzi. Il Brennero rappresenta la punta dell’iceberg, il muro è costruito per sottolineare l’incapacità italiana d’appaltare ciò che il nostro paese avrebbe dovuto fare.