Lo Stato Islamico e il controllo delle risorse idriche come arma di guerra

di Viviana D’Onofrio – 

L’accesso al cibo e all‘acqua è fondamentale per la sopravvivenza di individui e stati. Tali risorse sono però sempre più sotto pressione, complici vari fattori tra i quali l‘aumento della popolazione globale, la crescita economica, l‘inquinamento ed il cambiamento climatico, i cui potenziali effetti rischiano di aggravare ulteriormente la scarsità di tali risorse in alcune regioni del globo.
L‘Organizzazione delle Nazioni Unite ha stimato che entro il 2050, “nel peggiore dei casi 7 miliardi di persone in ben sessanta Paesi si troveranno a vivere in una situazione caratterizzata da scarsità d’acqua; nel migliore dei casi, sarà pari a 2 miliardi il numero di individui soggetti a scarsità idrica in quarantotto Paesi“.
Secondo quanto emerso da uno studio condotto dal Future Directions International, il mondo si prepara ad affrontare una significativa diminuzione delle risorse naturali disponibili, da un lato, ed un notevole incremento della popolazione globale, dall’altro. Questi due elementi, insieme, costituiscono una potenziale fonte di conflittualità, in particolare in quelle aree del pianeta che risultano essere maggiormente soggette ad una riduzione delle risorse vitali disponibili, quali appunto acqua e cibo. Di conseguenza, la lotta per il controllo delle scarse risorse della terra andrà a costituire in futuro (anche se, in parte, lo è già) fonte di forte instabilità in determinate aree del mondo.
Secondo lo studio in questione, la domanda globale di cibo potrebbe quasi raddoppiare entro il 2050 e la nostra capacità di farvi fronte è sempre più limitata dalla scarsità di risorse disponibili. Conseguentemente, la crescente competizione per le risorse alimentari ed idriche limitate potrebbe innescare conflitti civili e di natura interstatale, disordini e violenza comune. Tensioni potrebbero sorgere, inoltre, nei casi in cui le risorse in questione siano condivise tra più Stati o gruppi.
Nella competizione relativa al controllo delle risorse del pianeta e nell’intreccio che viene a crearsi con situazioni di vulnerabilità preesistenti, quali povertà, instabilità politica e presenza di istituzioni politiche deboli ed inefficaci, andrebbe individuata, dunque, l’essenza delle guerre del XXI secolo.
Nel 2003, la European Security Strategy dell’UE ha individuto proprio nella competizione per le risorse naturali una sfida di natura globale. Nel 2009 un rapporto del’UNEP ha messo in evidenza lo stretto legame esistente tra controllo di risorse scarse ed emergere di varie forme di conflittualità. Dal documento in questione emergeva che il 40 per cento delle guerre civili degli ultimi 60 anni può essere associato alle risorse naturali; inoltre, a partire dal 1990 vi sono stati almeno 18 conflitti violenti alimentati dalle risorse del pianeta, che possono anche essere sfruttate da gruppi armati per finanziare le proprie azioni.
Tra le aree del globo a maggior rischio di stress idrico vi sono il Medio Oriente ed il Nord Africa. Secondo il World Resources Institute, sono 33 i Paesi che, entro il 2040, si troveranno ad affrontare una situazione di estrema scarsità d’acqua; di questi, ben 14 sono in Medio Oriente.
L’area mediorientale presenta, infatti, un clima particolarmente arido. Come risulta da uno studio pubblicato dal Climate Institute, il clima dell’area è caratterizzato da temperature relativamente alte e da basse precipitazioni di carattere prevalentemente stagionale. Con l‘eccezione delle regioni montuose della Turchia, nella maggior parte dell’area mediorientale cadono in media non più di 300 mm di pioggia all’anno.
Conseguentemente, molti Paesi della regione si trovano a disporre di risorse idriche molto limitate. Il Bahrain ed il Kuwait, ad esempio, non dispongono di risorse idriche per uso domestico e devono, conseguentemente, soddisfare la maggior parte delle proprie esigenze attraverso il ricorso alla pratica della desalinizzazione.
Il Medio Oriente, che è da tempo una delle aree maggiormente problematiche ed instabili del mondo, è, quindi, particolarmente vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico, che sono suscettibili di aggravare ulteriormente i problemi già esistenti.
La scarsità di risorse e gli effetti del cambiamento climatico possono, dunque, avere conseguenze significative sulla stabilità politica e sulla sicurezza delle aree maggiormente vulnerabili ed instabili del pianeta. Ciò non significa affermare l’esistenza di un nesso diretto di causa-effetto tra i due elementi menzionati; tuttavia, la scarsità di risorse essenziali per la sopravvivenza, quali acqua e cibo, ed i potenziali effetti negativi del cambiamento climatico possono esacerbare le tensioni esistenti in determinate aree del globo e costituire, di conseguenza, una seria minaccia alla pace ed alla sicurezza di queste stesse regioni e del mondo intero.
In alcune parti del mondo, l’acqua viene utilizzata come una vera e propria arma di guerra da parte di gruppi armati che cercano di conseguire i propri obiettivi politici proprio attraverso il controllo di risorse essenziali per la sopravvivenza degli individui e che risultano essere particolarmente scarse.
Gli studiosi hanno segnalato già da tempo la possibilità che la carenza idrica, dovuta, tra l’altro, ai cambiamenti climatici, possa essere utilizzata come strumento di guerra nelle regioni più instabili e violente del mondo.
Abhishek Ramaswamy, ricercatore presso il New York University Center for Global Affairs, ha sostenuto che, da questo punto di vista, per i Paesi che vivono situazioni di violenza ed insicurezza l’impatto del cambiamento climatico non si farà sentire in futuro, tra 20, 30 o 40 anni ma che sia, in realtà, evidente già oggi; esso, inoltre, è inevitabilmente destinato a peggiorare in futuro.
I conflitti in corso in Iraq ed in Siria hanno costituito, secondo Ramaswamy, i primi esempi di uso strategico e tattico dell‘acqua come strumento di guerra; i gruppi di militanti che operano in entrambi i Paesi hanno, infatti, utilizzato le risorse idriche contro le popolazioni residenti nelle aree sotto il proprio controllo.
In zone particolarmente aride e caratterizzate da scarsità d’acqua, quali sono appunto l‘Iraq e la Siria, il controllo di questa risorsa essenziale risulta essere, dunque, particolarmente importante, ancor più del petrolio.
Come è stato messo in evidenza in un articolo pubblicato dal “Washington Post“, “Islamic State jihadists are using water as a weapon in Iraq“, l’acqua ha ricoperto anche in passato un ruolo di primo piano nell’ambito della lotta armata: basti pensare ai bombardamenti delle forze alleate contro le dighe tedesche durante la seconda guerra mondiale o, più recentemente, al drenaggio di paludi messo in atto da Saddam Hussein nel sud dell’Iraq nel 1990 per punire i residenti colpevoli di una ribellione.
Nel corso degli ultimi mesi lo Stato islamico dell’Iraq e della Siria ha iniziato a costituire una grave minaccia per la sicurezza dei bacini del Tigri e dell’Eufrate.
Lungo il corso di entrambi i fiumi vi sono numerose dighe, tra le quali vanno menzionate in particolare quelle di Mosul, Falluja ed Haditha; la possibilità che un gruppo radicale, peraltro di natura non statale, quale l’Isis potesse acquisire il controllo di infrastrutture idriche di importanza strategica nonché essenziali per la sopravvivenza delle popolazioni locali ha sollevato particolare preoccupazione.
Quando, nell’estate del 2014, i combattenti dello Stato Islamico hanno preso il controllo della diga di Mosul, situata sul fiume Tigri (che attraversa Baghdad), gli Stati Uniti hanno immediatamente compreso la gravità dell’evento, per cui hanno fatto ricorso al ​​potere aereo per sostenere le forze irachene e curde nel tentativo di riconquistare questa infrastruttura idrica di notevole rilevanza.
Daniel Pipes, il presidente del Middle East Forum, ha affermato in quella occasione che la conquista delle dighe è una tattica che il gruppo terroristico utilizza con l’obiettivo di ottenere il controllo di una città e della sua popolazione. La rilevanza strategica della diga di Mosul era talmente chiara che Pipes dichiarò alla CNN: “Se controlli la diga di Mosul, è possibile minacciare quasi tutti“.
La Diga di Mosul è, infatti, la più importante fonte di energia idroelettrica dell’Iraq e la quarta più grande del Medio Oriente. Essa fornisce acqua ed elettricità a milioni di cittadini; se l’ISIS avesse scelto di distruggere la diga, l’inondazione risultante avrebbe ucciso milioni di iracheni.
I livelli di acqua in Iraq sono notevolmente diminuiti nel corso degli ultimi anni, principalmente a causa del calo delle precipitazioni. Secondo l’ONU, il flusso dell’Eufrate dovrebbe scendere di oltre il 50 per cento entro il 2025. Di conseguenza, l’Iraq potrebbe essere colpito da una carenza di 33 miliardi di metri cubi di acqua all’anno. “Il Paese non ha abbastanza acqua“- ha affermato all‘epoca Kenneth Pollack, un esperto di affari militari del Medio Oriente presso la Brookings Institution-ragion per cui il tentativo dello Stato Islamico di tagliare i flussi idrici sarebbe enormemente dannosa“.
Nel mese di luglio del 2014 lo Stato islamico ha tentato di prendere il controllo del fiume Eufrate, il secondo corso d’acqua più lungo del Medio Oriente, attraverso la conquista della seconda diga più grande dell’Iraq, quella di Haditha. Qualora l‘ISIS fosse riuscito a farlo, avrebbe potuto provocare una catastrofe umanitaria senza precedenti; trentadue milioni di iracheni, infatti, dipendono dalle acque del fiume Eufrate per l’approvvigionamento idrico.
Lo Stato Islamico ha, inoltre, sfruttato il proprio controllo sulla piccola diga del Sudur, a nord di Baghdad, in modo tale da tagliare i rifornimenti idrici a Balad Ruz, una zona prevalentemente sciita della provincia irachena di Diyala.
In un articolo intitolato “Water Terrorism: How Militant Groups Are Taking Advantage of Climate Change Impacts”, il già menzionato Ramaswamy ha affermato che la tendenza al ricorso al cosiddetto water terrorism in Siria ha avuto inizio nel maggio del 2014, quando i ribelli del gruppo scissionista di al-Qaeda, Jabhat Al-Nasura, hanno tagliato le forniture idriche alla città sciita di Aleppo.
Da questo momento in poi, l’acqua è diventata una risorsa strategica di primaria importanza-ancor più del petrolio- per il gruppo terroristico guidato da al-Baghdadi ai fini della conquista del potere.
Secondo Ramaswami, l‘ISIS rappresenta il primo caso significativo in cui le conseguenze del cambiamento climatico vengono sfruttate come strumento di terrore. Lo Stato islamico “ha acquisito una parte significativa del proprio potere nella regione attraverso un fenomeno preoccupante: il cosiddetto water terrorism. L‘ISIS ha il potere di influenzare la vita di milioni di persone attraverso l‘acquisizione strategica del controllo delle risorse idriche“.
Gli uomini di al-Baghdadi hanno, dunque, adottato strategie differenti rispetto a quelle utilizzate dagli altri gruppi terroristici. “La strategia dello Stato islamico comporta la presa del territorio e delle sue importanti infrastrutture, in particolare quelle idriche ed energetiche. Nelle regioni desertiche dell’Iraq e della Siria, controllare l’acqua significa sostanzialmente controllare il conflitto. Per il gruppo jihadista prendere il controllo delle risorse idriche è ancora più significativo che acquisire il controllo delle raffinerie petrolifere, in quanto priva la popolazione di una risorsa necessaria per la sopravvivenza e dà al gruppo un significativo potere sui governi e sulle popolazioni locali“, ha aggiunto Ramaswami.
Il controllo delle risorse idriche è fondamentale per il conseguimento dell’obiettivo chiave dell’ISIS, ossia quello di istituzione di un nuovo califfato islamico.
Secondo Matthew Machowski, ricercatore presso la Queen Mary University, nell’ottica della creazione di uno stato islamico, non è sufficiente il controllo delle aree geografiche in Siria ed in Iraq, ma è necessario acquisire il controllo dell’infrastruttura più importante dello stato, che nel caso dell’Iraq è l’acqua (oltre al petrolio).
Il controllo delle acque è visto come un elemento di importanza chiave per la sopravvivenza del califfato islamico, di cui il Califfo al-Baghdadi ha annunciato la creazione nell’estate del 2014. Senza acqua, infatti, le siccità stagionali non possono essere gestite, l’elettricità non può essere generata e l’economia locale si blocca.
Secondo Ramaswamy, il modo in cui l’ISIS cerca di acquisire il controllo delle risorse idriche nella regione costituisce un pericoloso precedente che le altre organizzazioni terroristiche cercheranno sicuramente di emulare come tattica coercitiva e finalizzata a ricattare governi ed individui. In realtà, questa strategia è già stata imitata. al-Shabab, il gruppo terrorista legato ad al-Qaeda ed originatosi in Somalia, ha utilizzato una simile strategia contro il governo somalo. Al-Shabaab è, infatti, pienamente consapevole dell’importanza del controllo delle risorse idriche e del potere che scaturisce da quest’ultimo.
Il ricorso al controllo delle scarse risorse idriche come strumento strategico in dispute di natura politica è in aumento. Con l’intensificarsi, in futuro, degli effetti del cambiamento climatico, le regioni caratterizzate da scarsità d’acqua e dalla presenza di gruppi armati vedranno svilupparsi sempre più frequentemente battaglie per il controllo di questa importante risorsa strategica. In aree affette da grave scarsità d’acqua, acquisire il controllo delle risorse idriche disponibili diventa, infatti, per gruppi terroristici quali l’Islamic State, un formidabile mezzo per tenere sotto ricatto stati ed individui, in modo tale da perseguire i propri obiettivi politico-militari.
Fiumi, canali, dighe, ma anche impianti predisposti alla desalinizzazione sono diventati rilevanti obiettivi militari per tutti i gruppi armati che operano nelle regioni semi-aride, affette da water scarcity, dell’Iraq e della Siria.
Il fenomeno del water terrorism è, dunque, emerso come una significativa minaccia alla sicurezza ed alla stabilità delle regioni maggiormente vulnerabili del mondo ed è molto probabilmente destinato ad essere presente in misura maggiore nel prossimo futuro.
L’uso dell’acqua come arma di guerra, inoltre, è una chiarissima dimostrazione di come la mitigazione del cambiamento climatico rappresenti una priorità assoluta per la comunità internazionale, in quanto le gravi conseguenze di quest’ultimo costituiscono un “moltiplicatore di minaccia” e possono esacerbare notevolmente le condizioni già precarie di alcune regioni del globo, nelle quali affondano le proprie radici le più diverse forme di conflittualità, i fenomeni terroristici e tutte le altre manifestazioni di violenza che, da tempo, affliggono le aree più instabili ed insicure del mondo.