Luconi, ‘Kissinger, regista del mondo bipolare’

‘Elaborò la sua strategia dell’equilibrio in un momento di crisi per gli Usa’.

a cura di Gianluca Vivacqua

Henry Kissinger ci ha lasciato a cento anni il 29 novembre 2023. Per lui un posto nella storia accanto a Richelieu e Metternich. Proprio mettendolo in parallelo con lo statista austriaco lo ricordiamo aiutati dal professor Stefano Luconi, docente di Storia degli Stati Uniti d’America e Storia dell’America del Nord all’Università di Padova. Tra i suoi libri: La nazione indispensabile: storia degli Stati Uniti dalle origini a Trump (Le Monnier, 2020).

– Professore, Kissinger e Metternich: vite parallele?
Kissinger si interessò a lungo a Metternich, presentandolo come il principale protagonista del sistema internazionale europeo dopo la sconfitta di Napoleone in uno studio che intraprese per conseguire il dottorato di ricerca a Harvard nel 1954 e pubblicò nel 1957 col titolo “A World Restored: Metternich, Castlereagh, and the Problems of Peace, 1812-1822” (in traduzione italiana Diplomazia della Restaurazione, 1973). I media statunitensi, mai alieni dal sensazionalismo, non esitarono a ribattezzare Kissinger il “Metternich d’America” e lo stesso Kissinger non disdegnò mai di atteggiarsi a Metternich della guerra fredda, costruendosi l’immagine di colto statista forgiato dalla cultura politica europea e capace di infondere saggio realismo in una Washington fino ad allora condizionata da un idealismo ingenuo e ottimista nell’affrontare gli affari internazionali. Tuttavia, è problematico riscontrare analogie biografiche tra i due, al di là delle comuni radici germaniche e della constatazione che entrambi furono costretti a lasciare il proprio Paese. Metternich, però, fuggì dall’Austria, ormai settantacinquenne, in seguito alla rivoluzione del 1848 che mise fine alla sua carriera di statista. Kissinger si rifugiò con la famiglia negli Stati Uniti per sottrarsi alle persecuzioni antisemite del nazismo nel 1938, quando aveva appena quindici anni, e svolse quindi tutto il suo ruolo pubblico per il Paese di adozione. Inoltre, Metternich, figlio di un diplomatico, era un aristocratico, la cui casata affondava le sue radici nell’epoca feudale, e guidò la politica dell’Impero austriaco, non solo in campo internazionale, per un quarantennio tra il 1809 e il 1848. Kissinger apparteneva a una famiglia della piccola borghesia tedesca (il padre era un modesto maestro elementare) e gestì la politica estera degli Stati Uniti per non più di otto anni dal 1969 al 1977, come consigliere per la sicurezza nazionale prima e segretario di Stato poi, nelle amministrazioni repubblicane di Richard Nixon e Gerald Ford. Fu escluso in modo definitivo da funzioni decisionali con l’ingresso alla Casa Bianca del democratico Jimmy Carter il 20 gennaio 1977 e a un suo reintegro al governo nel 1981 si oppose con intransigenza perfino il repubblicano Ronald Reagan, che lo detestava, anche se Kissinger fu consultato informalmente da alcuni presidenti successivi. Metternich e Kissinger condivisero il ricorso alla diplomazia segreta, una buona dose di cinismo nella conduzione degli affari di Stato e una tendenza alla Realpolitik. Tuttavia, rispetto a quello del principe austriaco, il realismo di Kissinger fu molto più flessibile e disposto a conformarsi alle esigenze politiche del momento, richiamandosi così a una matrice di pragmatismo tipicamente americano, che non era mai scomparso nemmeno quando l’idealismo era sembrato trionfare nella storia degli Stati Uniti. Non a caso, Kissinger, che era stato consulente per la politica estera del progressista Nelson Rockefeller nelle primarie repubblicane del 1968, pochi mesi più tardi non ebbe alcun problema ad accettare la carica di consigliere per la sicurezza nazionale del conservatore Nixon contro cui proprio Rockefeller si era battuto, uscendo sconfitto“.

– Come pensa che il principio metternichiano della Restaurazione sia stato realizzato da Kissinger?
Così come concepita da Metternich, la Restaurazione si fondava non solo e non tanto sul ritorno sul trono dei sovrani deposti nel periodo rivoluzionario e napoleonico (il principio della “legittimità” fu avanzato in particolare dal francese Talleyrand), ma anche e soprattutto sul principio dell’equilibrio che avrebbe dovuto definire un bilanciamento tra le grandi potenze europee in maniera che nessuna potesse predominare sulle altre e approfittare di tale primazia per far precipitare nuovamente il continente in un’epoca di guerre. A un secolo e mezzo di distanza, Kissinger ritenne che gli Stati Uniti dovessero abbracciare la stessa strategia del balance of power. In particolare, sarebbe stato opportuno che Washington rinunciasse all’aspirazione a instaurare la propria egemonia planetaria, prevalendo sull’Unione Sovietica nella guerra fredda, e si accordasse con Mosca in base a un equilibrio di potenza che garantisse l’assetto delle rispettive sfere di influenza così come risultavano configurate alla fine degli anni Sessanta. L’obiettivo di Kissinger non era tanto scongiurare un conflitto nucleare, bensì evitare che la rivalità con l’Unione Sovietica portasse a una sovraesposizione di Washington col rischio di un indebolimento degli Stati Uniti all’interno del blocco occidentale. Nei rapporti con i propri alleati, la leadership degli Stati Uniti era stata messa in discussione dalle critiche politiche della Francia, che non era disposta a vedersi ridimensionata al ruolo di potenza regionale, e dalla concorrenza economica e finanziaria soprattutto della Germania occidentale e del Giappone, che avevano ormai completato la ricostruzione postbellica. Secondo Kissinger, invece di disperdere risorse ed energie rivaleggiando con Mosca a livello planetario, era preferibile che gli Stati Uniti portassero avanti una politica di distensione e raggiungessero un accordo con l’Unione Sovietica per la spartizione del mondo in due grandi sfere di influenza. In questo modo, Washington avrebbe potuto concentrarsi sul consolidamento del proprio primato in Occidente, respingendo le sfide provenienti soprattutto da Francia, Germania occidentale e Giappone. Kissinger era convinto che il Cremlino avrebbe accettato la proposta di un ritorno alle sfere di influenza e al bilanciamento tra le grandi potenze dal momento che, all’interno del proprio blocco, Mosca si trovava in una situazione analoga a quella statunitense: la Repubblica popolare cinese stava contestando la guida sovietica del mondo comunista e la Primavera di Praga aveva messo in discussione anche la lealtà della Cecoslovacchia proprio nel cuore dell’Europa orientale. Tuttavia, mentre Metternich aveva formulato la strategia dell’equilibrio come base dell’ordine mondiale dopo che l’Impero austriaco era uscito vincitore dalle guerre napoleoniche, Kissinger riesumò questa teoria in un momento di arretramento degli Stati Uniti in campo internazionale, manifestatosi a partire dall’oramai imminente sconfitta nella guerra del Vietnam e con la perdita di competitività dell’economia americana sui mercati planetari“.

– Qual è stato il congresso di Vienna di Kissinger, se c’è stato, e quale meccanismo teorizzato nella sua idea di ordine mondiale può essere paragonabile a una Santa Alleanza?
Escluderei che gli accordi di Parigi del 1973, che posero fine all’intervento militare statunitense in Vietnam ma non alla guerra tra il Vietnam del Nord e il Vietnam del Sud, possano configurarsi come il congresso di Vienna di Kissinger. Al di là del ristretto numero di presenze nella capitale francese (Stati Uniti, Vietnam del Nord, Vietnam del Sud e governo provvisorio rivoluzionario del Vietnam del Sud) rispetto alla partecipazione di tutti i principali attori statali all’assise del 1814-15 nella capitale austriaca, Metternich si presentò a Vienna da vincitore, mentre Kissinger rappresentava un Paese di fatto sconfitto. Vi si avvicinò di più il summit di Mosca del 1972 tra il presidente Nixon e il segretario generale del partito comunista sovietico Leonid Brežnev. Con la firma dei trattati per la limitazione degli arsenali militari (SALT) e dei missili anti-balistici (ABM), questo incontro sancì, infatti, l’apice del processo di distensione teorizzata da Kissinger in termini di equilibrio tra le due grandi potenze dell’epoca. Infatti, nonostante l’apertura di Washington alla Repubblica Popolare Cinese (sancita dalla visita del presidente Nixon a Pechino nel 1972), Kissinger aveva una concezione bipolare del sistema internazionale, che – a suo giudizio – avrebbe dovuto continuare a essere incentrato su Stati Uniti e Unione Sovietica. Non a caso, non fu mai realizzato un vertice a tre, tra Washington, Mosca e Pechino. Al congresso di Vienna, invece, presero parte tutte le grandi potenze europee dell’epoca – Impero austriaco, Prussia, Regno Unito, Impero russo e Francia – in una prospettiva che, con un linguaggio odierno, potremmo definire multipolare. Inoltre, se l’assise di Vienna inaugurò il “sistema Metternich” di congressi internazionali come fondamento di un “concerto europeo”, questi congressi continuarono a vedere la partecipazione di tutti i principali Stati. Invece, gli Stati Uniti di Kissinger seguitarono a privilegiare i vertici bilaterali con l’Unione Sovietica (il summit di Mosca del 1972 fu seguito da quello di Washington del 1973, un altro a Mosca nel 1974 e infine quello di Vladivostok ancora nel 1974). Fece eccezione la Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE), tenutasi a Helsinki tra il 1973 e il 1975, con la partecipazione di trentatré Paesi europei, del Canada e degli Stati Uniti, allo scopo di rilanciare il dialogo tra i due blocchi, rafforzare la distensione e scongiurare una guerra nucleare. Ma a Helsinki Kissinger tenne un profilo molto basso, salvo minacciare di serie conseguenze in un incontro bilaterale il presidente del Consiglio italiano Aldo Moro e il suo ministro degli Esteri Mariano Rumor qualora rappresentanti del partito comunista fossero entrati a fare parte del governo italiano. La Santa Alleanza era un’alleanza personale tra lo zar, l’imperatore di Austria e il re di Prussia per contenere la diffusione del secolarismo e del liberalismo in Europa. La formula dell’alleanza personale era – ed è – del tutto estranea dalla diplomazia dell’età contemporanea in cui operò Kissinger. Inoltre, la Santa Alleanza rappresentò il nucleo delle successive Quadruplice e Quintuplice Alleanza, una sorta di allargamento rispettivamente a Regno Unito nel 1815 e Francia nel 1818 per salvaguardare l’equilibrio tra le potenze e, quindi, la pace in Europa nell’ambito del “concerto europeo” accennato prima. Ammesso che la distensione come nuovo fondamento dell’ordine mondiale sia stata la versione kissingeriana della Restaurazione metternichiana, i trattati tra Unione Sovietica e Stati Uniti non portarono mai ad alcuna alleanza tra le due superpotenze né a un meccanismo di attuazione degli accordi. L’Unione Sovietica, infatti, si rifiutò di autorizzare un regime di verifiche per accertare il suo rispetto del limite all’incremento degli arsenali militari, sostenendo che ipotetiche ispezioni avrebbero violato la sua sovranità nazionale. Non a caso, quando Reagan annunciò nel 1983 la Strategic Defense Initiative, il sistema di difesa del territorio statunitense da attacchi con missili armati di testate nucleari, e Mosca denunciò il progetto come una violazione del trattato sugli ABM, l’Unione Sovietica non poté andare oltre le proteste verbali, proprio per la mancanza di un meccanismo di attuazione degli accordi del 1972. Nel 1973 Kissinger cercò anche di superare le precedenti divergenze con gli alleati europei sulla base di una nuova Carta Atlantica, a cui avrebbe voluto associare perfino il Giappone, in modo da rafforzare il blocco occidentale sotto la leadership di Washington e ottenere un maggior contributo per la sua difesa proprio da parte dagli europei. Ma il suo progetto non ebbe seguito. La stessa distensione patrocinata da Kissinger, che si fondava su un congelamento dell’assetto delle sfere di influenza statunitense e sovietica così come si presentavano all’inizio degli anni Settanta, cominciò a incrinarsi in breve tempo di fronte all’avanzata del comunismo nell’Africa subsahariana e nello stesso Vietnam (per la caduta del regime di Saigon nel Sud nel 1975), mentre Kissinger era ancora segretario di Stato, e finì per naufragare con l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979. Inoltre, nonostante nell’Atto finale di Helsinki i capi di Stato e di governo firmatari si fossero espressi nel senso di voler “proseguire il processo multilaterale avviato alla Conferenza”, gli incontri successivi della CSCE (Belgrado 1977-1978 e Madrid 1980-1983) si svolsero quando Kissinger era ormai tornato a essere un privato cittadino e, in ogni caso, non conseguirono risultati rilevanti a causa del riacutizzarsi della Guerra fredda“.