Madagascar. La castrazione o l’Europa?

di Francesco Giappichini –

Nel quadro di uno scontro senza precedenti, il governo del Madagascar ha chiesto all’Unione Europea il ritiro della propria chef de Délégation ad Antananarivo, la francese Isabelle Delattre Burger. I rapporti tra la nazione insulare e l’Unione hanno così raggiunto il livello più basso di sempre, anche perché in passato certe tensioni avevano semmai coinvolto Parigi, o una Banca mondiale giudicata avara nelle elargizioni. Alla base del gelo diplomatico, l’invettiva dell’ambasciatore Delattre contro le recenti politiche malgasce, anche elettorali, e la pessima gestione dei fondi di provenienza europea. Le critiche della rappresentante europea, formulate durante una conferenza stampa, sono state indirizzate soprattutto (ma non solo) contro la riforma del Codice penale; quella che in febbraio ha imposto la sanzione della castrazione, nel caso di stupro di bambini con meno di dieci anni.
Si badi bene, non quella chimica (di cui si discute anche in Europa, e come misura volontaria e terapeutica) ma quella fisica, chirurgica, che potrà infliggersi anche alle donne colpevoli. L’affondo della capo delegazione è parso comunque a tutto campo. Non si è limitata alla barbara riforma penale, che contrasterebbe sia con la Costituzione, sia con gli accordi internazionali sottoscritti dal Paese. Dito puntato anche contro l’inottemperanza alle raccomandazioni da adottare, in vista di elezioni eque e trasparenti, (specie in seguito al recente boicottaggio da parte delle opposizioni). Senza dimenticare la pessima gestione dei fondi pubblici destinati alla viabilità stradale, che si aggiunge all’accertata appropriazione indebita degli stanziamenti concessi per combattere la pandemia.
Le autorità di Tana si sono subito ribellate a tali taglienti dichiarazioni: la capo della delegazione dell’Unione Europea in Madagascar e nell’Unione delle Comore è stata richiamata da Rasata Rafaravavitafika, titolare del Ministère des Affaires étrangères. Ciò però non è bastato, e la classe dirigente che si raccoglie attorno al presidente Andry Rajoelina, è andata oltre. Confermando quella deriva autoritaria che certi analisti fanno risalire alla campagna elettorale per le presidenziali, e che sarebbe poi proseguita con la destituzione dell’ex presidente dell’Assemblée nationale, Christine Razanamahasoa. In vista, ovviamente, delle elezioni legislative del 29 maggio.
Gli osservatori identificano tre ragioni, alla base dello scontro con Bruxelles. In primis, la volontà del capo dello stato di far dimenticare all’elettorato la cittadinanza francese, che secondo gli avversari avrebbe dovuto invalidarne la candidatura perché richiesta volontariamente. In secondo luogo, si tratterebbe di un presa di distanza dal nord globale, e dalle sue esigenze in termini di diritti umani e pratiche di buongoverno. Come dire: se continuano le ingerenze, aderiremo ai blocchi guidati da Russia, Cina, India o Turchia. Infine, si sarebbe lasciato intendere che certe pratiche corruttive e clientelari sono radicate, e non possono essere messe in discussione dagli stranieri. Secondo fonti di stampa, in seguito confermate dai diplomatici europei di stanza nel Paese, Bruxelles avrebbe preso atto con freddezza della decisione malgascia. E da un lato procederà sì alla sostituzione della capo missione, che avverrà tra luglio e settembre, quando ci si occupa di questo genere di nomine; ma dall’altro lato si lascia intendere che la vicenda avrà conseguenze, sia dal punto di vista politico, sia finanziario.