Messico. Il punto sul caso dell’omicidio della giornalista Anabel Flores

di Marco Dell’Aguzzo –

flores anabelLo scorso 13 febbraio il governatore dello stato messicano di Veracruz, Javier Duarte de Ochoa, ha annunciato su Twitter la cattura del probabile mandante dell’omicidio di Anabel Flores Salazar, la cronista rapita l’8 febbraio e ritrovata senza vita il giorno dopo: si tratta della quindicesima giornalista uccisa in Veracruz durante i sei anni di amministrazione Duarte (2010-2016), che ha trasformato lo stato nel posto più pericoloso del Messico per chi esercita la professione giornalistica.
Secondo le istituzioni, il presunto responsabile della morte della donna sarebbe Josele Márquez, alias “El Chichi”, un narcotrafficante membro degli Zetas e responsabile della gestione dello spaccio nel Veracruz. Questa dichiarazione ufficiale è però interessante per tutta una serie di motivi.
Innanzitutto, la storia di “El Chichi” è piuttosto travagliata, un vero e proprio ‘strano caso’ alla messicana. L’uomo venne infatti ufficialmente dato per morto dalle autorità veracruzane il 13 agosto scorso in seguito ad una sparatoria in un bar in cui morirono cinque persone (tra queste c’era anche un giornalista, Juan Santos Cabrera). Il 2 febbraio, quasi sei mesi dopo, Duarte informò della cattura del “pericoloso criminale Josele Márquez alias El Chichi”, specificando poi che averne annunciato in precedenza la morte faceva parte di una precisa “strategia” per arrestarlo. “El Chichi” venne sorprendentemente liberato il 4 febbraio per mancanza di prove, poi riarrestato, e ora accusato dell’omicidio della giornalista Flores Salazar.
Escludere ogni possibile movente politico dell’omicidio di un giornalista (ma non solo), facendolo immediatamente confluire nel comodo – e buono per tutti gli usi – alveo della ‘violenza legata ai narcos’ è una mossa piuttosto comune in Messico. Sono del resto le stesse istituzioni che incoraggiano e ricorrono a questa ‘retorica del narco’ per occultare il proprio coinvolgimento negli episodi di violenza più eclatanti (uno su tutti, il ‘caso Ayotzinapa’), per celare il possibile movente politico di alcune morti (specie, appunto, quelle dei giornalisti) e per criminalizzare le vittime, insinuando l’esistenza di legami con il crimine organizzato. Javier Duarte ha recentemente dichiarato che, ad eccezione di quello di Regina Martínez (collaboratrice della nota rivista “Proceso” uccisa nel 2012), tutti gli altri casi di giornalisti assassinati in Veracruz sono riconducibili alla criminalità organizzata.
La stessa Anabel Flores – come tanti altri reporter prima di lei – è stata colpevolizzata. Appena qualche ora dopo il suo rapimento, la Procura generale del Veracruz rese nota una presunta e non provata relazione tra la donna e un membro degli Zetas. Ora, la stessa Procura ha affermato esplicitamente che le indagini sul caso si sono basate su “tutte le voci e i commenti trovati in rete” per non escludere nessuna pista: così, nonostante la giornalista sia stata prelevata da un gruppo di uomini pesantemente armati e vestiti come militari, le autorità ne hanno ricondotto il rapimento ad una relazione amorosa tra la donna e un poliziotto colluso con la criminalità.
È sempre interessante notare come, nel paese col secondo più alto tasso di impunità al mondo, gli assassini – o meglio, i presunti tali – dei giornalisti vengano assicurati alla giustizia in brevissimo tempo. La reporter Jazmín Martínez, per esempio, venne uccisa il 4 gennaio 2015, e lo stesso giorno fermarono i due sicari. Jesús Tapia venne ucciso il 5 gennaio, e sei giorni dopo arrestarono il colpevole. Per trovare il responsabile della morte di Armando Saldaña (4 maggio) ce ne misero diciotto. In soli cinque giorni arrestarono il primo presunto assassino del fotoreporter Rubén Espinosa (31 luglio). E anche il caso Anabel Flores è praticamente chiuso: in appena una settimana.

Nella foto: Anabel Flores.

Twitter: @marcodellaguzzo