Nagorno Karabakh. Il conflitto potrebbe destabilizzare l’intera regione

di Shorsh Surme

In seguito all’offensiva fulminante e all’occupazione del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian il 19 settembre, le autorità separatiste hanno annunciato che l’enclave di etnia armena si sarebbe sciolta il 1 gennaio 2024. Di fronte alla prospettiva del governo dell’Azerbaigian, più di 68mila persone sono fuggite in Armenia, pari a oltre la metà della popolazione del Nagorno-Karabakh.
Nel 1923 l’Unione Sovietica istituì l’oblast autonomo del Nagorno-Karabakh, che ospitava il 95% di popolazione etnica armena, all’interno della Repubblica socialista sovietica dell’Azerbaigian. La legislatura regionale del Nagorno-Karabakh approvò una risoluzione nel 1988 in cui dichiarava la sua intenzione di unirsi alla Repubblica di Armenia, nonostante la sua posizione ufficiale all’interno dell’Azerbaigian. I combattimenti armati tra le due repubbliche, che hanno una lunga storia di tensioni etniche, furono tenuti sotto relativo controllo durante il dominio sovietico. Ma quando l’Unione Sovietica cominciò a crollare, anche la pace nella regione cominciò a crollare. Nel mezzo della dissoluzione sovietica nel 1991, proprio mentre Armenia e Azerbaigian diventavano stati indipendenti, il Nagorno-Karabakh dichiarò ufficialmente la propria indipendenza, che venne riconosciuta solo dall’Armenia.
Nella regione scoppiò la guerra tra Armenia e Azerbaigian, provocando circa 30mila vittime e creando centinaia di migliaia di rifugiati. Nel 1993 l’Armenia acquisì il controllo del Nagorno-Karabakh e di 7 provincie azere limitrofi, occupando di fatto il 20% dell’area geografica dell’Azerbaigian. Nel 1994 la Russia mediò un cessate-il-fuoco noto come Protocollo di Bishkek, lasciando il Nagorno-Karabakh de facto indipendente, con un governo autoproclamato a Stepanakert, ma ancora fortemente dipendente da stretti legami economici, politici e militari con l’Armenia.
Dall’accettazione bilaterale di un cessate-il-fuoco nel 1994, che è rimasto formalmente in vigore fino a settembre 2020, l’uso di droni d’attacco, bombardamenti e attività di operazioni speciali da parte delle truppe armene e azere hanno portato a scontri intermittenti. All’inizio di aprile 2016 si è assistito ai combattimenti più intensi dal 1994, che hanno provocato centinaia di vittime lungo la linea di separazione. Dopo quattro giorni di combattimenti, le due parti hanno annunciato di aver concordato di cessare le ostilità. Tuttavia l’interruzione dei colloqui ha portato entrambi ad accusarsi a vicenda di violazioni del cessate-il-fuoco e la tensione è rimasta elevata.
Senza sforzi di mediazione efficaci, le violazioni del cessate-il-fuoco e le rinnovate tensioni hanno minacciato di riaccendere un conflitto su vasta scala tra Armenia e Azerbaigian.
Poi si è arrivati alla guerra lampo del 2020, con la conquista della regione da parte degli azeri.
La prosecuzione del conflitto rischierebbe di destabilizzare la regione del Caucaso meridionale, interrompendo potenzialmente le esportazioni di petrolio e gas dall’Azerbaigian, che produce circa ottocentomila barili di petrolio al giorno, verso l’Asia centrale e l’Europa. La Russia si è impegnata per trattato a difendere l’Armenia in caso di escalation militare, mentre la Turchia ha dichiarato il sostegno all’Azerbaigian. L’appoggio esplicito degli Stati Uniti all’Armenia negli ultimi anni, insieme all’attuale coinvolgimento della Russia nella guerra in Ucraina, potrebbe creare un pretesto per un’escalation e complicare ulteriormente gli sforzi per garantire la pace nella regione.