Onu. Il governo Usa e le pressioni sulll’Iom

di C. Alessandro Mauceri

L’importanza delle Nazioni Unite non è mai stata messa in dubbio: sono indiscutibilmente la principale organizzazione mondiale per la gestione di crisi politiche e per la pace e la sicurezza. Ma anche per altri ambiti: il sistema, articolato in decine di enti che operano in diverse aree, va dalle esigenze sanitarie e umanitarie allo sviluppo economico e culturale, dalla sicurezza alle migrazioni. Uno sforzo enorme che per essere gestito necessita di enormi risorse. Basti pensare che da un bilancio poco superiore al miliardo di dollari (1,160), nel 1971, si è passati, negli ultimi anni, a un budget di diverse decine di miliardi, somma spesso insufficiente a portare a termine i programmi previsti.
A contribuire al funzionamento e alla sopravvivenza di questi enti sono per buona parte i contributi versati dai 193 paesi membri. Un importo però diverso da paese a paese: il “contributo valutato” è determinato da una formula complessa che tiene conto tra l’altro del reddito nazionale lordo e della popolazione dei singoli paesi. In testa ai sostenitori delle Nazioni Unite ci sono certamente gli Stati Uniti d’America: nel 2018, hanno contribuito a sostenere tra il 22 e il 28 percento dei bilanci delle varie agenzie dell’organizzazione. Una somma considerevole che supera i 10 miliardi di dollari.
Forse è per questo, oltre che per il fatto che sono uno dei paesi fondatori delle Nazioni Unite, che gli Stati Uniti sono considerati una sorta di “guida” delle Nazioni Unite. Recentemente però il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, ha dubitato della reale utilità di questa spesa. A questo si aggiunge che ogni volta che le Nazioni Unite hanno preso una decisione che contrastava con la posizione del governo a stelle e strisce, si pensi ad esempio al caso dell’eliminazione totale delle armi nucleari, la notizia ha destato un certo scalpore.
Nel luglio dello scorso anno all’inquilino della Casa Bianca non era piaciuto il modo in cui è stato seccamente bocciata la candidatura della persona indicata dagli USA a ricoprire la posizione di direttore generale dell’Agenzia per le migrazioni delle Nazioni Unite, l’IOM. Nel corso degli anni l’IOM è diventata la principale agenzia internazionale per la comprensione dei fenomeni migratori e al tempo stesso difendere la dignità e il benessere dei migranti. L’IOM è un punto di riferimento fondamentale nel dibattito globale sulle implicazioni sociali, economiche e politiche della migrazione. La leadership dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni per molti decenni è stata considerata patrimonio esclusivo (o quasi) degli Stati Uniti. Almeno fino allo scorso anno, quando la maggior parte dei 171 stati membri ha detto basta al “monopolio” americano dell’IOM e ha eletto direttore generale António Vitorino, portoghese, già commissario europeo per la Giustizia e gli Affari interni, oltre che ex vice primo ministro del governo socialista nel proprio paese, lo stesso governo nel quale c’era anche António Guterres. La spiegazione della bocciatura del candidato americano, Ken Isaacs, è stata fatta risalire ad alcuni commenti pesanti di quest’ultimo contro l’Islam e contro i cambiamenti climatici. Giudizi che lo avevano costretto rilasciare una dichiarazione nella quale si diceva “profondamente rammaricato per il fatto che i miei commenti sui social media abbiano causato danni”.
Sembrava che la questione fosse finita lì. Tuttavia qualche settimana fa un giornale britannico, il Guardian, ha pubblicato un report nel quale si parla di una e-mail inviata il 28 agosto da un dirigente dell’IOM ai propri colleghi in tutto il mondo, nella quale un funzionario il cui nome è rimasto anonimo avrebbe denunciato forti pressioni ricevute dall’IOM da parte di un Ente americano, l’Ufficio per la popolazione, i rifugiati e le migrazioni (PRM) del Dipartimento di Stato, affinchè le decisioni dell’IOM “non fossero in conflitto con le attuali sensibilità politiche (del governo USA)”. Se confermato sarebbe un fatto gravissimo. Significa infatti che non essendo riusciti ad assumere il controllo e la dirigenza dell’Agenzia, il governo americano avrebbe “invitato” l’IOM ad “autocensurarsi” su temi controversi come quelli legati ai cambiamenti climatici o al patto globale sulla migrazione. Argomenti peraltro che hanno un impatto rilevantissimo sugli obiettivi di sviluppo sostenibile. Secondo quanto riportato dal Guardian “I documenti relativi alle attività del programma, in particolare quelli che saranno pubblicati online, potrebbero richiedere una revisione e l’approvazione preventive da parte del donatore”.
“Il confronto con i cambiamenti climatici potrebbe essere il problema che definisce il nostro tempo. Le agenzie della famiglia delle Nazioni Unite non dovrebbero seguire la linea del partito Trump”, ha dichiarato Akshaya Kumar, direttore delle crisi di Human Rights Watch. Il punto è che circa un quarto del budget (poco meno di 2 miliardi di dollari) dell’IOM proviene da contributi versati dagli Stati Uniti d’America, e di questi una somma considerevole proverrebbe proprio dal PRM. Un motivo sufficiente, secondo alcuni, per pensare di avere il diritto di imporre una sorta di veto a quello che esce dall’IOM e che non piace alla politica adottata da chi governa negli USA.
La gravità dell’accaduto non è stata colta quasi da nessun giornale. Ma non è sfuggita a Jeff Crisp, docente presso il Refugee Studies Center dell’Università di Oxford ed precedenza dirigente dell’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati: ha dichiarato che il messaggio trapelato “solleva alcune serie domande sull’autonomia della IOM, sulla sua sensibilità alle posizioni adottate dall’amministrazione statunitense, e la sua capacità di essere membro del sistema delle Nazioni Unite”.
Dopo tutto questo, sarebbe stato normale veder scoppiare uno scandalo. Invece, quasi nessuno ne ha parlato. Pochissimi i media che hanno dedicato spazio a questa vicenda. Perfino il responsabile della comunicazione dell’IOM, Leonard Doyle, ha rilasciato una dichiarazione molto blanda: “IOM riconosce e rispetta le priorità e i limiti dei suoi donatori, compresi gli Stati Uniti. Cerchiamo di garantire che il personale sia consapevole di tali sensibilità durante la stesura di proposte di finanziamento per attività che rispondono alle tendenze migratorie e che seguono le migliori pratiche”. Come dire che visto che gli USA sono quelli che danno all’IOM buona parte dei soldi che servono per il suo lavoro, i tecnici dell’Istituto devono tenerne conto.