Perù. Castillo favorito al ballottaggio del 6 giugno

di Paolo Menchi

In Perù manca meno di un mese al ballottaggio del 6 giugno per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, che vedrà la sfida tra Pedro Castillo e Keiko Fujimori in un duello che al momento vede in forte vantaggio il primo.
Pur con l’incognita di oltre il 40% di indecisi, i sondaggi danno in testa Castillo con un vantaggio tra i 10 e 22 punti sulla sua rivale, anche se a Lima, che pesa per ben il 29% a livello di voti, i due candidati sono sostanzialmente alla pari.
Non è difficile comprendere l’alta percentuale di indecisi che probabilmente si tradurrà anche in una bassa affluenza, visto il profilo dei due candidati che lascia l’elettorato moderato senza una figura di riferimento.
Keiko Fujimori, figlia del dittatore che ha governato il Perù per tutti gli anni Novanta e che è stato condannato per aver ripetutamente violato i diritti umani attuando politiche repressive e anche fallimentari dal punto di vista economico, oltre a non aver mai preso le distanze dal padre si trova al centro di uno scandalo che la vede imputata con l’accusa di riciclaggio di denaro, partecipazioni ad organizzazioni criminali e ostacolo alla giustizia.
Pur essendo diventata il candidato dove indirizzeranno il voto gli elettori di destra pare poco probabile la sua elezione, perché, al di là dello zoccolo duro dei fujimoristi a cui si aggiungeranno coloro che temono l’estremismo di Castillo, è ancora troppo fresca la ferita lasciata da Alberto Fujimori ed appare poco probabile che possa essere eletto un presidente così legato al vecchio dittatore.
Lo scrittore Mario Vargas LLosa, premio Nobel per la letteratura nel 2010, che paventa i rischi di golpe se vincesse Castillo ed appoggia apertamente Keiko Fujimori, è esemplificativo di come la scelta di voto sia spesso forzata.
In un certo senso si può dire però che Pedro Castillo sta già studiando da presidente ed ha iniziato a rilasciare dichiarazioni meno forti ed estremiste di quelle che lo hanno contraddistinto in tutta la sua carriera politica, lasciando intravedere piccole aperture.
Maestro elementare, sindacalista, autodefinitosi comunista, Castillo è anche un personaggio molto mediatico, appare in pubblico sempre con un cappello in testa e spesso si sposta in sella ad un cavallo per far risaltare le sue origini contadine e andine, e proprio queste popolazioni saranno il principale serbatoio dove cercherà i voti per vincere le elezioni.
Si era presentato promettendo di nazionalizzare molte aziende, in particolare nel settore energetico, proponendo l’introduzione della pena di morte per delinquenti e corrotti, aveva minacciato di chiudere un organo istituzionale come la Defensoria del Pueblo perché ritenuto troppo poco favorevole alle popolazioni andine, si era detto contrario a qualsiasi rivendicazione sociale ormai accettata da molti paesi come l’aborto, il matrimonio tra persone dello stesso sesso e la parità di genere. Una posizione estremista che mischia valori della sinistra con quelli della destra estrema in una strana posizione indefinibile.
Negli ultimi giorni, rispondendo a chi lo accusa di voler instaurare una dittatura ha dichiarato che, nel 2026, al termine del suo mandato tornerà ad insegnare ed ha firmato un documento composto da dieci punti in cui si impegna a rispettare gli accordi internazionali e i diritti delle minoranze e a costituire l’Assemblea Costituente che dovrà riscrivere la costituzione, ancora ferma ai tempi di Fuijmori, seguendo le regole attualmente in vigore.
Castillo ha anche promesso di aumentare dal 3 al 10 per cento la percentuale del Pil che verrà destinata all’educazione e alla salute ed ha annunciato anche la creazione di un Plan Pandemia per gestire le vaccinazioni, ha preso le distanze dal venezuelano Maduro e incassato l’appoggio degli ex presidenti di Bolivia e Uruguay, Morales e Mujica.