RDC. Scontri in vista delle elezioni, ‘la Monusco deve lasciare il paese’

di C.Alessandro Mauceri

Di alcune guerre (e delle migrazioni che ne conseguono) non sembra importare a nessuno. Nessun giornale o telegiornale ha riportato che nella Repubblica Democratica del Congo in soli quattro giorni ben 37mila persone hanno dovuto lasciare le proprie case per fuggire verso l’Uganda. La causa è la rottura del cessate-il-fuoco e l’intensificarsi degli scontri tra i militari e i ribelli dell’M23 nel Nord Kivu.
In questo paese da decenni si combatte una guerra fratricida che ha causato un numero incalcolabile di morti, e in molti scappano per raggiungere l’Uganda o anche solo Kunyaruchinya, sperando di non rimanere uccisi, a volte a colpi di machete, negli scontri tra gruppi armati e forze istituzionali. Si stima che siano circa 120 i gruppi armati attivi nell’area: in un recente rapporto l’International Crisis Group ha parlato di ulteriore instabilità nel Congo orientale poiché, insieme alla ripresa dei combattimenti con i ribelli dell’M23, la RDC ha permesso sia all’Uganda che al Burundi di inviare truppe per inseguire gruppi armati nell’area.
Il Norwegian Refugee Council e l’International Rescue Committee hanno riportato che le persone che si rifugiano nelle scuole e negli ospedali hanno un disperato bisogno di cibo e acqua.
Il tutto in un contesto politico nazionale che a breve potrebbe cambiare: secondo alcuni analisti le elezioni previste per il prossimo anno stanno spingendo alcuni gruppi politici a fomentare i disordini., ma nessuno in Europa o negli USA, lancia appelli accorati e organizza raccolte umanitarie per aiutare queste persone, se non le Nazioni Unite. L’indifferenza dei paesi sviluppati per la situazione nella RDC ha creato una forma di repulsione nei confronti anche delle Nazioni Unite, tanto che dopo settimane di proteste mortali i manifestanti hanno rivolto le armi contro le forze di pace delle Nazioni Unite. Nelle ultime settimane sono morte 36 persone, tra cui quattro peacekeeper delle Nazioni Unite, e centinaia di manifestanti hanno vandalizzato e bruciato gli edifici dei Caschi blu in diverse città nelle province della frontiera orientale.
Una decina di giorni fa uno dei leader di Monusco, la forza di pace delle Nazioni Unite, è stato espulso dalla RDC a causa di alcune dichiarazioni “indelicate e inappropriate” che, secondo il governo attuale, avrebbero fomentato i disordini.
Monusco, che è attiva nel paese da oltre un decennio, è stata accusata di non essere in grado di proteggere la popolazione dalla violenza delle milizie. Duro il giudizio di Nelleke van de Walle, direttrice del progetto per la regione dei Grandi Laghi presso l’International Crisis Group: “La gente è in realtà arrabbiata con uno stato fallito, un governo fallito, un esercito incapace, ma Monusco ha una presenza molto visibile con le sue pattuglie e basi e quindi diventa un centro di frustrazioni popolari”. Sulle forze di pace delle Nazioni Unite gravano anche pesanti accusate di aver utilizzato la forza sulla folla, e secondo alcune fonti almeno parte delle proteste anti-ONU sarebbero state incoraggiate da gruppi politici allo scopo di mobilitare l’opinione popolare contro le forze di pace. In un sondaggio pubblicato dal Congo Research Group della New York University e dall’istituto Ebuteli di Kinshasa, il 44% degli intervistati ha dichiarato che Monusco dovrebbe lasciare immediatamente la RDC. Una posizione condivisa anche dal governo: il ministro degli Esteri, Christophe Lutundula ha dichiarato che Monusco dovrebbe accelerare la propria partenza, originariamente prevista per il 2024. “Siamo fondamentalmente in un periodo pre-elettorale ora con i sondaggi previsti per il prossimo anno. Quindi i politici stanno usando e alimentando le lamentele a proprio vantaggio”, ha detto Van de Walle. Il ramo giovanile di Goma del partito di governo UDPS ha rilasciato una dichiarazione chiedendo a Monusco di “ritirarsi dal suolo congolese senza condizioni perché ha già dimostrato la sua incapacità di fornirci protezione”. Anche il presidente del senato della RDC, Modeste Bahati, ha dichiarato che Monusco dovrebbe “fare le valigie”.
Come in Ucraina, in Medio Oriente e in molti altri conflitti, le cause sono sempre riconducibili agli interessi economici che ruotano intorno al controllo di territori ricchi minerali e altre risorse, e la RDC non fa eccezione. Non è un caso se diverse potenze internazionali stanno cominciando a mostrare interesse per il paese. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha annunciato la propria intenzione di recarsi il mese prossimo in Sud Africa, Ruanda e in Repubblica Democratica del Congo. Evidentemente l’obiettivo: arrivare prima dei concorrenti, come la Russia e la Cina. E l’Europa? L’unico paese ad agire è stato il Belgio, in ricordo dei tempi passati. Il governo belga ha annunciato che restituirà ai familiari congolesi un dente d’oro che è tutto ciò che rimane di Patrice Lumumba, primo premier della Repubblica Democratica del Congo assassinato da separatisti e mercenari belgi nel 1961. Una decisione quella di restituire ormai un’icona (gli assassini dissolsero i suoi resti nell’acido, rimasero solo i denti) della lotta contro il colonialismo in Africa, che è un palese tentativo di scrivere la parola fine sugli episodi più brutali e vergognosi nel sanguinoso sfruttamento dell’Africa centrale da parte del Belgio. Per ricominciare a fare affari con la RDC.
La prima missione Monusco nella RDC risale al 1999. Attualmente dispone di circa 16.300 militari. È la più grande missione delle Nazioni Unite al mondo. Finora 230 caschi blu hanno perso la vita in questa missione. Quattro solo nei giorni scorsi. Nella totale indifferenza dei media europei.