Russia. Prigozhin: Putin ne uscirà più forte o più debole?

di Dario Rivolta *

E’ ancora presto per poter affermare con certezza cosa sia realmente successo in Russia con la marcia su Mosca delle truppe della Wagner. Tuttavia, dopo il discorso che il presidente bielorusso Lukashenko ha tenuto ai suoi generali credo sia possibile offrire un’interpretazione già un poco più verosimile di quelle avanzate da vari commentatori immediatamente dopo l’inizio degli eventi.
Partiamo da una constatazione: nessun politico autoritario ha mai goduto di un potere unico e indiscutibile. Perfino i dittatori apparentemente più forti e sicuri del proprio potere hanno sempre avuto bisogno di collaboratori che li aiutassero a tradurre nei fatti i loro ordini. Che si trattasse di presunti (o reali) numeri due, tre o quattro delle gerarchie, la gestione della quotidianità e la posizione formalmente da loro ricoperta ha sempre contribuito a dare loro un qualche potere che, almeno in parte, rappresenta lo spazio di un potere personale. Si tratta pur sempre di un qualche potere limitato rispetto a quello del “capo in testa”, ma apre tuttavia degli spazi d’azione che sfuggono al controllo teoricamente minuzioso di chi li ha messi in quella posizione. La preoccupazione principale del “dittatore” (o dell’autocrate) è di controllare che, sotto di lui, non possano formarsi coalizioni tra subordinati tali da arrivare a mettere in dubbio il suo potere. Per ovviare a quel pericolo che si stava materializzando, Mao arrivò persino ad inventarsi la Rivoluzione Culturale.
Come fare per evitare il rischio? La soluzione adottata dalla maggior parte è il famoso detto “divide et impera”. In altre parole, si tratta di mettere l’uno contro l’altro i massimi subordinati e far sì che ognuno di loro si senta in diretto e privilegiato contatto con il “capo” ma, contemporaneamente, tema i “colleghi” e cerchi di sminuirli o denigrarli davanti al “massimo riferimento”. Berlusconi lo faceva perfino in azienda, nonostante la “ditta” gli appartenesse giuridicamente sotto ogni aspetto. Rizzoli figlio ed Giovanni Agnelli sottovalutarono questa tecnica e si ritrovarono l’uno con Tassan Din che gli “svoutò” la società quasi del tutto e il secondo con il tentativo (sventato) di De Benedetti di “scalare” la proprietà in Borsa.
E’ intuitivo immaginare che Putin abbia applicato il principio con i suoi subordinati più vicini. Soprattutto in periodo di guerra il potere dei generali e di chi li comanda direttamente (capo di Stato Maggiore e Ministro della Difesa) tende ad aumentare ed è quindi comprensibile, secondo la logica accennata in precedenza, che Putin abbia volutamente accettato, se non favorito, le critiche pesanti che Prigozhin indirizzava verso Shoigu e Gerassimov. Purtroppo può succedere che qualcuno, magari fraintendendo i desiderata del “capo”, esageri e pensi di essere autorizzato a “fare di più”. E’ possibile che questo sia esattamente ciò che è successo a Prigozhin. L’uomo, carismatico con i suoi e tronfio per i successi conseguiti sul campo di battaglia e la popolarità presso gran parte della popolazione, probabilmente pure non dotato di grande intelligenza politica, abbia pensato di poter aiutare Putin a ridimensionare o addirittura eliminare quelli che lo stesso Putin nella conferenza stampa aveva definito (riferendosi genericamente ad alcuni non nominati) “generali da salotto”.
In realtà è difficile immaginare un uomo avveduto come Putin credere che un’operazione quale quella intrapresa dalla Wagner in territorio russo potesse veramente spingerlo a sostituire Shoigu o i suoi principali collaboratori. Anche senza volerlo, un Ministro della Difesa in carica è possibile che possa contare su una buona fetta dell’esercito pronta ad obbedire agli ordini dell’autorità a loro più vicina e la possibile e naturale conseguenza di quella “marcia su Mosca” avrebbe quasi sicuramente potuto diventare una guerra civile. E’ stato quindi ovvio che Putin abbia immediatamente preso le distanze, alludendo all’azione di Prigozhin come un “tradimento”.
A questo punto sarebbe stato non opportuno che fosse lo stesso Putin a parlare telefonicamente con il “ribelle” poiché ciò avrebbe potuto far intendere una qualche intesa tra i due. Lo ha quindi chiesto a qualche suo vicino collaboratore ma, essendo necessaria una qualche autorità più elevata e credibile, il compito è stato assegnato a Lukashenko. Non sappiamo cosa si siano effettivamente detti e il bielorusso ha riferito ai suoi generali di aver dovuto minacciare il capo della Wagner che lo avrebbero “schiacciato come un insetto” e solo a quel punto Prigozhin ha accettato di ritirarsi. Che questa versione ufficiale fosse la più formalmente accettabile va da sé ma, detto tra noi, è improbabile che un uomo che aveva detto poche ore prima che migliaia di suoi soldati erano pronti senza battere ciglio a morire tutti per “la Patria” si sia fatto spaventare da minacce tutte da dimostrare. E’ molto più realistico pensare che Lukashenko gli abbia fatto capire che, anziché aiutarlo, quell’azione aveva creato difficoltà enormi a Putin e che occorreva rimediare.
In cambio era offerta l’impunità per lui e i suoi uomini, e forse anche una consistente donazione in denaro. Per aiutare Putin occorreva poi dimostrare che costui era totalmente estraneo all’accaduto e ciò si “doveva” ottenere portando alcuni degli effettivi della Wagner dentro l’esercito ufficiale. Inoltre le armi pesanti presenti in territorio russo dovevano essere restituite alle Forze Armate. Nessuno ha parlato del futuro della Wagner e dei suoi effettivi fuori dall’Europa.
Ora nasce la domanda: Putin è politicamente più forte o più debole di prima? D’istinto verrebbe da pensare che, in qualche modo, abbia dovuto quasi “giustificarsi” con gli altri suoi collaboratori poiché tutti conoscevano i rapporti che lui aveva tenuto nel passato con Prigozhin e il “colpo di testa” di quest’ultimo lo mostrava debole e scavalcabile. Tuttavia vedremo solo nelle prossime settimane se i suoi interventi decisi contro il tentato “golpe” abbiano sufficientemente convinto tutti della sua estraneità ai fatti e abbiano così confermato il suo potere o se, dopo tutto ciò, abbia dovuto (o dovrà) negoziare un nuovo tipo di rapporti con Shoigu e altri. Personalmente tendo a credere che, molto abilmente, abbia da tempo tante carte in mano tali da consentirgli di non essere vittima di ricatti da parte di uno o l’altro tra coloro che lo circondano.
Immediatamente non dovrebbe succedere nulla di eclatante, ma col tempo si vedrà se ci saranno cambiamenti nelle gerarchie e quali saranno. Non che lui conti molto, ma anche quale sarà il futuro di Medvedev potrebbe aiutarci a capirne di più.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.