Shalabayeva: indagati poliziotti e un giudice. Ma Ablyazov non è solo un “dissidente”

di Enrico Oliari

Ablyazov grandeVi sono bugie, omissioni e falsi alla base dell’espatrio forzato di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov prelevata dalla sua villa di Casal Palocco il 28 maggio 2013 con la figlia di 6 anni, condotta nel Cie di Ponte Galera (aveva anche un passaporto falso) e quindi imbarcata su un aereo per il Kazakistan, dove poi, grazie all’interessamento dell’allora ministro degli Esteri Emma Bonino, le è stato concesso di lasciare il paese dietro il versamento di una cauzione e di rientrare in Italia, dove ora gode dello status di rifugiato politico.
Gli interrogatori nei confronti degli 11 indagati, tra i quali due dirigenti di polizia e un giudice, sono già iniziati, e le ipotesi spaziano dall’abuso di atto d’ufficio al sequestro di persona. Tuttavia, più gli inquirenti scavano, più appare un inquietante quadro complesso fatto di intrighi e di interessi.
Sono infatti molti i lati oscuri di questa vicenda, a cominciare dal momento del fermo della donna, per cui è stato messo in piedi un blitz di cinquanta agenti di cui era informato l’ambasciatore kazako Andrian Yelemessov. Di certo il marito della Shalabayeva non è un semplice dissidente, come parte della stampa lo ha fatto passare: imprenditore e politico, oppositore dell’eternamente presidente Nursultan Nazarbaev (è in carica dal 1990, c’era ancora l’Unione Sovietica), Ablyazov è un ex banchiere e politico, oggetto di investigazioni da parte dell’Alta corte del Regno Unito per l’accusa di essersi appropriato indebitamente, tra il 2005 e il 2009, di 3,7 miliardi di dollari dalla BTA Bank. Nel 2002, quando era ministro, Ablyazov è stato dichiarato colpevole di abuso di potere e condannato a sei anni di prigione, ma molti osservatori internazionali, tra cui il Parlamento europeo e Amnesty International, hanno definito le accuse nei suoi confronti come politicamente motivate ed hanno riferito che in carcere l’uomo sarebbe stato oggetto di violenze e persino di torture. Liberato dopo 10 mesi, Ablyazov si è spostato a Mosca per ricostruire i propri rapporti d’affari e nel 2005 è diventato presidente del consiglio di amministrazione della BTA Bank. In Kazakistan si è ritenuto che con le risorse raccolte dirottando capitali, ha finanziato gruppi di opposizione e mass media indipendenti del Kazakistan, tradendo così la sua promessa di lasciar perdere la politica in cambio della liberazione.
I crediti offerti dalla BTA Bank non erano controbilanciati dai depostiti, per cui la banca si è trovata con crediti insoluti del 1100% in pochi anni; dalla Russia è stato emesso un mandato di cattura nei suoi confronti, in quanto imputato di reati finanziari, compresa una frode per 5 miliardi di dollari.
Nel 2011 Ablyazov si è recato in Gran Bretagna, dove ha ottenuto il permesso di rifugiato politico, e poi in Francia, dove è stato arrestato e dove si trova al momento in attesa di una decisione del governo francese, dopo che la Corte di cassazione ha recentemente stabilito la fondatezza della richiesta di stradizione presentata dal Kazakistan.
Vale, tuttavia, il principio per cui non sono la moglie e la figlia a dover pagare per le colpe di Ablyazov, per cui è naturale chiedersi il perché di un tale accanimento nell’espulsione di Shalabayeva?
L’Italia ha molti interessi in Kazakistan, dal campo dell’energia alle costruzioni alle forniture militari e civili, ed è proprio in questa direzione che gli inquirenti stanno indagando per valutare se vi siano state pressioni sui colossi italiani per arrivare al fermo e all’espulsione della donna. Eni ha precisato, attraverso il suo portavoce, che “Si ricorda che all’epoca dei fatti l’azienda comunicò la sua estraneità alla vicenda e per quanto noto a Eni non ci sono manager o ex-manager fra gli indagati”.