Tibet. Proteste per l’apertura di miniere cinesi in luoghi sacri

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Era il 2010 quando gli abitanti della Regione Autonoma del Tibet si ribellarono alla Cina, impegnata nella costruzione di una diga nei pressi del monte Naghlha Dzamba, considerato sacro dai residenti della zona e come tale meta di pellegrinaggi. Ecco che ora il governo cinese torna all’attacco, tentando di compiere l’ennesimo sopruso nei confronti del popolo tibetano, concedendo ad un’azienda cinese di occupare le aree del monte per un ingente sfruttamento minerario. Il Tibet è ricco di cromo, rame, bauxite e altri metalli e minerali, e si presta ad essere l’ultima frontiera per una rapida crescita cinese. Per manifestare contro gli operai, inviati per testare il terreno, sono scese in strada oltre 5.000 persone, cui si sono aggiunti pellegrini che si trovavano nella zona. Le autorità hanno invece dispiegato numerosi agenti per evitare scontri, che comunque non hanno avuto luogo. I tibetani non temono solo la rovina dei luoghi sacri, ma anche un impoverimento territoriale, dovuto alla totale incapacità del governo di Xi Jinping di salvaguardare l’ambiente. Pare infatti che i materiali di scarto verrebbero gettati nelle acque dei fiumi con un grave danno idrogeologico. Nella memoria dei tibetani è ancora viva la tragedia di marzo, quando vi fu il crollo di una miniera presso Lhasa con 83 vittime.