TUNISIA. ‘Il governo ad interim non si dimetterà’, parola di Ali Laârayedh

di Ismahan Hassen –

laarayedh aliCome previsto, il discorso del capo del governo ad interim, Ali Laârayedh, trasmesso sabato sera  sul canale televisivo Al Wataniya 1, è stato ampiamente seguito dalla maggior parte dei tunisini ansiosi di conoscere la portata delle dichiarazioni che il premier avrebbe rilasciato.
Appena apparso dinnanzi alle telecamere, Larayedh ha affermato, forse un po’ per calmare gli animi, che attualmente non è sua intenzione quella di candidarsi alle elezioni presidenziali che verranno istituite non appena la Costituzione sarà completata e posta in vigore. Il premier ha poi precisato che neppure la figura di Hamadi Jebali, sebbene possa essere un ottimo candidato, verrà messa in gioco quando si tratterà di scegliere chi sarà il nuovo Presidente della Repubblica tunisina.
Dopo queste precisazioni iniziali, il discorso di Laârayedh si è mosso ad affrontare la questione del documento della CIA sull’assassinio di Mohamed Brahmi,  effettivamente ricevuto dal Ministero dell’Interno da parte dei servizi segreti degli Stati Uniti, e  sottovalutato dai funzionari del ministero prima dell’assassinio dell’esponente del Fronte Popolare, lo scorso 25 Luglio.
In riferimento a questa questione, il premier ha attribuito la responsabilità dell’assassinio di Brahmi  ad una “cattiva e tardiva valutazione delle informazioni ricevute dalla CIA”, sottolineando al contempo che il Ministero degli Interni , all’epoca,  aveva avuto informazioni che indicavano che non vi era alcun rischio per la vita dell’esponente del Fronte popolare.
Dopo aver portato avanti tutte le chiarificazioni secondo lui necessarie in merito al caso-Brahmi, il premier ha poi affrontato la questione spinosa delle dimissioni del governo.
A tale proposito,  Laârayedh  ha chiaramente annunciato che non vi è alcuna scadenza per le dimissioni del governo, aggiungendo che tali dimissioni saranno possibili solo una volta che il dialogo nazionale avrà portato a prospettive concrete per il futuro dell’ANC e dell’intero Paese.
In seguito a tali affermazioni, Laârayedh  ha motivato la sua decisione sostenendo come il suo governo non possa lasciare il Paese in un limbo, e che le dimissioni del governo ad interim avverranno  solo quando vi sarà una Costituzione, una data fissata per le elezioni e la presenza di una commissione organizzativa di questo processo.
Reagendo poi alle accuse mosse da più parti contro il governo ed il suo fallimento, Ali Laârayedh ha lamentato il fatto  che alcune parti politiche e civili abbiano emesso tale sentenza, prima ancora che il governo avesse potuto iniziato il suo lavoro.
Laârayedh ha fortemente ribadito poi come l’azione di governo non sia infallibile, ma anche come,  in termini di confronto con le esperienze dei Paesi vicini che hanno vissuto la Rivoluzione, la situazione in Tunisia sia buona in termini di sicurezza, stabilità e tassi crescita.
 Intervenuto anche in riferimento alla “questione terrorismo”, Laârayedh  ha poi affermato che in considerazione della difficile situazione in Libia, la Tunisia deve fare affidamento solo su sé stessa e le proprie forze armate, per proteggere i suoi confini. Il premier ha negato, a questo proposito, i riferimenti alla presenza di gruppi armati che operano in Libia e che avrebbero in programma di attaccare la Tunisia.
In risposta a tutte queste dichiarazioni del capo del governo ad interim, i rappresentanti di alcuni partiti politici hanno espresso preoccupazione e sospetto verso l’impegno profuso dal premier per l’effettiva messa in atto di un dialogo nazionale per portare il Paese fuori dalla crisi.
Alcuni esponenti politici, infatti, vedono nell’atteggiamento del capo del governo un continuo tergiversare sulla definizione di un assetto politico stabile, cosa che al Paese manca da ben due anni, piuttosto che una vera e propria volontà di azione per risolvere lo stallo politico ed economico della Tunisia.
Non a torto, la questione del dialogo nazionale sta ormai a cuore all’intera società civile tunisina, stanca degli infiniti “adeguamenti tecnici” portati avanti troppo lentamente da un’elite politica visibilmente intrigata dal mantenere del potere personale, più che dal perseguire il bene della nazione.