Turchia. La possibile crisi del neottomanismo rafforza gradualmente la teoria del neokemalismo

di Ehsan Soltani

Il neottomanismo è il modello di politica estera, rivolta soprattutto al Medio Oriente, del partito per la Giustizia e lo Sviluppo della Turchia, il quale ha preso piede in particolare con la nomina a ministro degli Esteri di Ahmed Davutoglu ed è nato circa tre decenni fa, quando la Turchia ha attaccato e conquistato la parte settentrionale di Cipro. Il termine è stato adottato per la prima volta dagli analisti greci ai tempi in cui era presidente della Turchia Turgut Özal, per poi gradualmente andare in disuso ed essere ripristinato con l’entrata in auge della dottrina di politica estera di Davutoglu: la politica del partito per la Giustizia e lo Sviluppo della Turchia appare quindi come un continuo di quella di Turgut Özal, cosa che si trae, per quanto non si rifaccia a questo termine, anche da alcuni passaggi del libro del ministro degli Esteri Profondità Strategica. La posizione internazionale della Turchia.
Nel testo Davutoglu spiega che la Turchia deve avere un ruolo più attivo nel Medio Oriente, altrimenti lo stesso paese viene a subire l’influenza dei vicini, come accade nel caso del Pkk; il ministro afferma inoltre che la Turchia è l’erede dell’Impero ottomano, concetto questo rifiutato dai governi precedenti, per quanto la geografia del Medio Oriente non potrebbe essere quella che è senza l’influenza del precedente impero. Infine, anche la tradizione dell’antico impero centrale si tradurrebbe oggi con un peso strategico che la Turchia potrebbe e dovrebbe avere in tutta l’area, compreso il Nordafrica. Diversi analisti, anche turchi, sostengono che il neottomanismo sia una fantasia politica, ma l’azione della Turchia nel Medio Oriente mostra che il partito per la Giustizia e lo Sviluppo è intenzionato a procedere su questa strada. In opposizione alla dottrina del neottomanismo, è scesa in campo quella del neokemalismo, ovvero degli attivisti politici laici, i quali si propongono di porre una resistenza politica allo strapotere del partito per la Giustizia e lo Sviluppo.
La salita al potere del neottomanismo rappresenta un processo logico della società tradizionale e conservatrice turca: nel 2012 il giornale Saba ha pubblicato un sondaggio secondo il quale negli ultimi 20 anni la popolazione dei credenti islamici è cresciuta in Turchia del 10 per cento, arrivando all’85 per cento, dei quali l’86 per cento osservano il ramadan ed il 57 per cento vanno in moschea una volta alla settimana; la società turca appare quindi conservatrice, legata alla religione e politicamente di destra, valori ben rappresentati dal partito per la Giustizia e lo Sviluppo, il quale ha potuto dar vita ad un nuovo modello di nazionalismo, del tutto diverso rispetto ai precedenti.
Il presidente Erdogan ha quindi introdotto di pari passo il pluralismo delle etnie e l’identità del nazionalismo, ha dato peso all’aspetto religioso-sunnita e di conseguenza ha diminuito il peso del militarismo; con le dimissioni del leader carismatico Deniz Baykal, dipinto dalla propaganda governativa come una persona amorale, il Partito popolare repubblicano si è indebolito di molto ed è così venuto meno un importante strumento di opposizione a Recept Erdogan, specialmente nelle fasi elettorali.
Nel momento in cui è stato eletto, Erdogan ha dichiarato che la vittoria non è solo quella delle città turche, ma anche dei partner alleati, citando Cipro, la Bosnia, la Tunisia, la Giordania, l’Egitto, Gaza e Ramallah ecc.
Soner Cagaptay, ricercatore del Washington Insitute e prima persona ad aver usato il termine “neokemalismo”, ha spiegato che la Turchia necessita, per uscire dal vicolo cieco della politica in cui si trova, di un’opposizione forte, indispensabile per controbilanciare il potere del partito per la Giustizia e lo Sviluppo. La via è quella della spartizione del potere politico fra più partiti, anche perché la tradizione laica della Turchia è antecedente all’esistenza del partito per la Giustizia e lo Sviluppo e lo stesso non può eliminare i vari meccanismi che vi sono nel paese da oltre ottant’anni. Secondo Cagaptay i kemalisti devono adoperarsi per ottenere riforme, mentre il partito per la Giustizia e lo Sviluppo deve accettare i valori liberali: ovviamente non si tratta di tornare al monocolore dei tempi di Ataturk, ne’ di entrare in un’antitesi del kemalismo tradizionale. Secondo il pensiero elitario-laico il neokemalismo può essere declinato in cinque passaggi:
– aggregazione dei valori liberali con il kemalismo classico;
– separazione netta della politica dalla religione, pur rispettando la tradizione religiosa;
– astensione dall’autoritarismo del kemalismo tradizionale;
– critica all’approccio del conservatorismo sociale e culturale e ridefinizione della relazione fra religione e politica;
– visione della Turchia quale partner integrante del mondo occidentale;
– diffusione della liberaldemocrazia in Turchia.
All’inizio il partito per la Giustizia e lo Sviluppo aveva un atteggiamento distensivo nella politica estera e con minimi problemi con i paesi vicini, ma dal 2011 tale strategia è cambiata proprio nei confronti delle nazioni confinanti, tanto che Ankara ha stretto amicizia con il presidente della regione del Kurdistan iracheno, Masoud Barezani, e con Tariq al-Hashimi, già vicepresidente  dell’Iraq dal 2005 al 2010, entrambi invisi all’attuale governo di Baghdad.
Arrivando alla Siria, la politica di Erdogan ha fatto sì che nel paese di al-Assad si creassero diversi movimenti laici; il partito Popolare repubblicano della Turchia, con altri esponenti del neottomanismo, hanno duramente stigmatizzato la politica del partito per la Giustizia e lo Sviluppo nei confronti della Siria, sostenendo che neppure all’epoca dei partiti laici in Turchia esistevano simili problemi con il paese mediorientale. La Turchia sostiene più la parte politica sunnita rispetto a quella sciita, cosa che appare interessante per diversi governi del Medio Oriente, come pure per i curdi sunniti dell’Iraq rispetto al governo sciita di Baghdad.
Per questo motivo l’Iraq è intenzionato a rompere l’accordo che prevede la possibilità per l’esercito turco di controllare la parte settentrionale del paese.
Per la Turchia, che trae una parte importate del proprio introito dal turismo e dagli investimenti esteri, la sicurezza rimane un valore irrinunciabile, per cui non sta giovando la situazione di crisi che si è evidenziata lungo i vari confini: si tratta di un quadro che sta generando molta insoddisfazioni nei confronti della politica di Erdogan, cosa che sta indebolendo la sua leadership e la robustezza del suo partito e gradualmente trasformando in qualcosa di più di una teoria la realtà del neokemalismo.